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Questione meridionale, le disuguaglianze negli asili tra nord e sud

Si รจ concluso il 31 maggio l’ultimo bando per gli asili nido con ulteriori 70 milioni messi a disposizione dal “Pnrr-Istruzione” per le regioni meridionali, con prioritร  alle domande provenienti dai comuni della Basilicata, del Molise e della Sicilia, in quanto per queste regioni non era stato raggiunto il budget loro assegnato. Anche per il bando precedente era stata necessaria una proroga dal 28 febbraio al 31 marzo perchรฉ il numero delle richieste provenienti dal Sud era inferiore alla disponibilitร  del 40% che, come รจ noto, รจ riservato dal Pnrr ai territori al di sotto del Garigliano.

Lo sforzo fatto dai vari ministeri, a partire da quelli retti da Patrizio Bianchi e Mara Carfagna, non รจ stato vano: i due bandi complessivamente hanno raggiunto un numero di domande che garantisce un passo avanti nella dotazione di asili nido nei comuni meridionali e la quota loro riservata รจ andata oltre il 40%. Ad oggi le regioni da cui sono arrivate piรน richieste sono nell’ordine la Campania (206), la Lombardia (157), la Calabria (144) e il Lazio (138). E dalle tre regioni piรน in ritardo (Molise, Basilicata e Sicilia) le richieste arrivate entro il 31 maggio sono in linea con le disponibilitร  finanziarie. Questa volta la Sicilia ha presentato altre 22 domande, il Molise e la Basilicata altre 9.

Tutto bene, allora? No. Al di lร  di questo sforzo notevole per garantire che le risorse raggiungano gli obiettivi fissati, forse รจ venuto il momento di una riflessione piรน ampia sulle misure adottate per fare fronte alla sproporzione di servizi tra Centro-Nord e Sud, di cui la dotazione differenziata di asili รจ uno degli esempi piรน clamorosi in Italia.

La prima domanda da porsi รจ la seguente: siamo sicuri che la migliore scelta per ovviare a questa sproporzione sia la selezione con bando pubblico dei bisogni da soddisfare? In fondo, sappiamo esattamente quanti asili mancano nei territori meridionali per avvicinarli alla dotazione delle regioni del Centro-Nord e lo sanno benissimo i vari ministeri preposti. Non conveniva stabilire per ogni comune una soglia minima di dotazione di questo servizio assegnando le risorse a chi รจ sotto quella soglia e poi, successivamente, provvedere a quelli che l’hanno ampiamente superata?

In effetti, c’รจ una trappola nell’Italia diversamente dotata di asili: chi ha giร  uno standard ottimale vuole averne di piรน e accusa chi sta indietro di volerne bloccare l’ulteriore crescita, mentre chi questi servizi non li ha deve prima dimostrare (partecipando ai bandi) di voler colmare questo gap, anche se le risorse non sono sufficienti a gestirli o gli uffici non sono attrezzati neanche per presentare le domande.

Quindi viene spontanea un’altra riflessione: l’incapacitร  o l’impossibilitร  di chi amministra localmente di soddisfare bisogni elementari dei cittadini possono privare questi ultimi di ciรฒ che lo Stato ritiene fondamentale per la formazione dei loro figli? Per i servizi essenziali non sarebbe utile applicare meccanismi di sostituzione del comune inadempiente? Non รจ piรน saggio stabilire che, se c’รจ un bisogno civile non soddisfatto, altre istituzioni si assumano il compito di farlo in sua vece? Altrimenti si verifica il paradosso che l’inefficienza di una parte del Paese (senza servizi) premia l’altra che ne ha meno bisogno. 

Scuola d'infanzia Clorofilla, Milano. Fonte: L'Espresso
Scuola d’infanzia Clorofilla, Milano. Fonte: L’Espresso 

Ciรฒ vuol dire, forse, che nessun altro comune italiano, al di fuori di quelli meridionali, deve chiedere finanziamenti e costruire altri asili nido? No, assolutamente. Ma se si accede a finanziamenti dello Stato (e non si ricorre a risorse proprie) sarebbe equo che si seguisse un obiettivo di riequilibrio prima di aumentare ulteriormente gli squilibri! In quale parte della Costituzione sta scritto che a condizioni economiche differenziate deve corrispondere necessariamente anche una diversitร  di dotazioni di servizi? Piรน disoccupati e meno asili? Senza lavoro e senza servizi?

Sono questi i paradossi di un sistema istituzionale che lascia tutta la responsabilitร  agli enti territoriali. L’ipocrisia dell’autonomia locale che se inefficace viene punita dagli elettori ha fatto ampiamente il suo tempo.

Insomma, bisognerebbe rapidamente passare ad un’altra fase dell’istruzione pubblica in Italia, nella quale รจ prioritario garantire l’asilo nido a tutta la popolazione in etร  da zero a tre anni al di lร  delle domande fatte dai comuni e delle loro disponibilitร  finanziarie per gestirli. Perchรฉ รจ indubbio che se si รจ riusciti nel 2015, con la legge sulla “Buona scuola”, a fare rientrare (finalmente) gli asili nido nel campo dell’istruzione e non dei servizi sociali a domanda individuale, ora รจ necessario un ulteriore e conseguente salto in avanti politico, culturale e civile. E se, com’รจ giusto, alcuni beni pubblici sono ritenuti fondamentali (cioรจ se nessuno degli aventi diritto ne puรฒ essere privato al di lร  di chi amministra localmente e delle risorse che quel singolo comune ha a disposizione per gestirli) essi debbono essere universali, cioรจ gli asili debbono coprire tutto il fabbisogno dei richiedenti, come avviene per la scuola primaria e secondaria. Certo, ciรฒ deve avvenire gradualmente ma con una strategia che sia chiara, definitiva e valida su tutto il territorio nazionale.

Vediamo come stanno le cose nelle varie regioni in rapporto agli asili giร  costruiti e funzionanti. Rispetto al 33% di rapporto tra posti disponibili e totale dei bambini che l’Unione Europea poneva come obiettivo da raggiungere entro il 2010, l’Italia ha una media del 25,47%, cifra che comprende anche l’apporto di asili privati. Ma questa media รจ formata dal 38,87% del Lazio e dal 9,3% della Campania, dal 37,44% dell’Umbria e dal 9,54% della Sicilia, dal 36,94% dell’Emilia Romagna e dall’11,03% della Calabria, dal 36,91% della Toscana e dal 17,78% della Basilicata, dal 29,99% della Lombardia e dal 18,03% della Puglia, dal 29,5% del Veneto e dal 19,71% dell’Abruzzo. Nella graduatoria sembrano in controtendenza i dati della Sardegna (28,4%) e del Molise (24,88%) che si allineano alle statistiche dell’Italia centrale, ma nonostante ciรฒ non c’รจ nessuna regione meridionale che superi una del Centro-Nord.

Se questa era ed รจ la situazione, si poteva agire diversamente per modificarla in senso piรน equo? Una soluzione semplice esisteva: prendendo come obiettivo il 33% di copertura richiesto dai parametri dall’Unione Europea, si finanziavano tutti i comuni al di sotto del parametro fino al suo raggiungimento, cioรจ tutte le regioni meridionali piรน quelle del Centro-Nord al di sotto della media. Ciรฒ invece non รจ stato fatto: รจ indubbio che grazie alla riserva del 40% molte regioni meridionali miglioreranno la loro dotazione di asili, come abbiamo visto, ma lo faranno anche quelle che giร  ampiamente superavano la dotazione standard. Sarebbe stato piรน giusto avviare con le risorse del Pnrr (a cui aggiungerne altre nazionali) un piano di costruzione e gestione di asili nido come avvenne per la scuola primarie e secondaria pubblica: ogni bambino da zero a tre anni deve poter andare all’asilo in qualunque parte d’Italia, perchรฉ l’asilo รจ riconosciuto come un diritto universale e quindi non deve contare il tuo reddito, non deve contare dove sei nato, dove vivi e chi ti amministra!

Nido d'infanzia Gianni Rodari, Reggio Emilia. Fonte: L'Espresso
Nido d’infanzia Gianni Rodari, Reggio Emilia. Fonte: L’Espresso 

Come mai si รจ formata questa disparitร  cosรฌ alta tra diverse regioni del Centro-Nord e del Sud, e qualche volta all’interno delle stesse regioni del Centro-Nord? Sicuramente nel tempo hanno inciso diversi fattori. Essendo l’asilo una competenza essenzialmente locale, si รจ riprodotta una differenza di servizi sulla base delle risorse a disposizione dei singoli comuni. In effetti รจ avvenuto nel campo degli asili nido quello che avvenne nei primi anni dopo l’Unitร  d’Italia nell’istruzione primaria: poichรฉ i maestri e le maestre erano pagati dai comuni, molti sindaci non diedero corso all’obbligatorietร  dell’istruzione in base a un calcolo economico di convenienza o a causa della scarsitร  di risorse. In questo modo l’Italia, che era arrivata all’unificazione con tassi di analfabetismo piรน alti nel Sud, li vide ampliare nei decenni successivi a causa di questo assurdo: istruzione di base obbligatoria per tutti, ma garantita a seconda delle risorse delle amministrazioni locali!

La situazione cambiรฒ radicalmente quando i maestri furono pagati dallo Stato, azzerando il costo per i municipi. Intanto perรฒ il guaio era stato fatto; ci vollero decenni per recuperare, cosa che avvenne essenzialmente con la scuola di massa nel secondo dopoguerra, grande riforma del centrosinistra, che eliminรฒ completamente l’analfabetismo.

Ha influito, certo, anche la diversa situazione del mercato del lavoro nel Centro-Nord. Per consentire a piรน donne di svolgere la loro attivitร  lavorativa era necessario dotarsi di strutture pubbliche. L’asilo, infatti, considerato piรน uno strumento di emancipazione delle donne che un primo momento di socializzazione e di istruzione fuori dalla famiglia, divenne la principale rivendicazione dei sindacati, del mondo imprenditoriale e degli stessi movimenti femministi. Le loro istanze trovarono maggiore ascolto in alcuni partiti che amministravano gli enti locali. Gli asili nido, e poi le scuole materne, divennero uno dei fiori all’occhiello del riformismo municipale e della realizzazione di servizi pubblici di stampo europeo nella parte del Paese che piรน si sviluppava economicamente, produttivamente e socialmente. L’Emilia Romagna fu in testa a questo movimento che interessรฒ tutto il Centro-Nord, meno il Sud proprio a causa della minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

L'asilo nido della-fondazione Mast, Bologna. Fonte: L'Espresso
L’asilo nido della-fondazione Mast, Bologna. Fonte: L’Espresso 

Non bisogna dimenticare che in passato i sindaci meridionali hanno fatto meno richieste di asili sia alla Cassa Depositi e Prestiti sia in base a specifiche leggi nazionali. Certo, alcuni di essi hanno ritenuto che costruire un’opera pubblica di abbellimento fosse piรน importante che costruire e gestire un asilo, ma in genere lo scoraggiamento veniva dalle difficoltร  dell’indebitamento e dei costi di gestione. Anche nel bando scaturito da un decreto del 2017 (che per la prima volta stanziava risorse specifiche solo per gli asili nido) l’esigenza di riequilibrare in senso territoriale il finanziamento di nuovi asili era relegata a semplice “eventualitร ”, come ricorda Marco Esposito nel libro Fake Sud. Il criterio del riequilibrio nei servizi รจ un dovere pubblico, non puรฒ essere una eventualitร !

Ora perรฒ che il finanziamento con il Pnrr รจ 10 volte superiore si deve cambiare strada. Il bando deve essere fatto per l’impresa che deve costruire l’asilo, non per selezionare i bisogni territoriali. Che sono ampiamente noti. Lo ripeto: al Sud ci sono in linea di massima tre volte meno asili che al Centro-Nord. Non รจ accettabile. I test Invalsi che vedono una minore propensione degli alunni meridionali verso alcune materie potrebbero dipendere anche da questa sproporzionata presenza di strutture per l’infanzia. La povertร  educativa รจ definita da Save the Children come “la privazione della possibilitร  di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacitร , talenti e aspirazioni”. Se gli stimoli per un bambino debbono arrivare fin dal primo giorno di vita, non possiamo lasciare che ciรฒ avvenga solo all’interno delle rispettive famiglie. La povertร  educativa non รจ inevitabile e non รจ irreversibile.ย รˆย lo Stato che con le sue scelte puรฒ consentire che “non si diventi quello che si รจ nati”, come in molte realtร  meridionali purtroppo sempre di piรน avviene. A partire dai quartieri popolari e da quelli sorti troppo numerosi nelle periferie urbane. Se poi le famiglie vogliono scegliere un asilo privato, ciรฒ deve restare nell’ambito di una loro volontร  e non di una necessitร .

Questo articolo รจ stato pubblicato su Repubblica il 23 giugno 2022

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