A fine aprile Stellantis ha annunciato una “svolta” elettrica per la fabbrica a Sud di Belgrado. I sindacati denunciano nuovi licenziamenti e proposte irricevibili, come andare a lavorare in Germania, Polonia, Slovacchia o Italia a proprie spese e senza garanzie. Il tutto dopo 10 anni di aiuti pubblici alla multinazionale.
“Qui a Kragujevac le cose non stanno proprio come le racconta la Fiat”, dice a inizio giugno Rajko Blagojević, segretario territoriale dei metalmeccanici del sindacato serbo “Samostalni”. Dietro all’annuncio di una “nuova piattaforma elettrica” fatto a Belgrado a fine aprile 2022 dall’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, e dal presidente della Repubblica Aleksandar Vučić, ci sarebbero infatti nuovi e pesanti licenziamenti. Con proposte alternative a quella di perdere il posto a dir poco ardite: ad esempio, spostarsi per due anni a lavorare in Germania, Polonia, Slovacchia o Italia a proprie spese e senza garanzie per il futuro.
Il tutto dopo oltre 10 anni di incentivi pubblici del governo serbo, condizioni fiscali di favore e costi del lavoro ridotti all’osso a beneficio della “FCA Srbija d.o.o. Kragujevac”, joint venture privato-pubblica che per il 67% è in mano a Stellantis (il colosso dell’automobile nato nel gennaio 2021 dalla fusione tra Fiat Chrysler Automobiles e PSA Groupe) e per il 33% all’esecutivo di Belgrado.
Incontriamo Blagojević in un bar di Kragujevac -140 chilometri a Sud della capitale-, non troppo distante dal mega stabilimento dove Fiat, annunci alla mano, avrebbe dovuto produrre dal 2012 300mila esemplari della 500L ogni anno, garantendo 30mila nuovi posti di lavoro, indotto incluso.
Le cose non sono andate però come promesso. Nel 2015, stando ai bilanci della stessa FCA, le 500L uscite da Kragujevac furono meno della metà, 91.769. Nel 2018 appena 56.303. Nel 2020 (ultimo anno disponibile) addirittura 23.272, neanche il 10% del target iniziale, tanto che quell’anno la società serba ha fatto registrare una perdita a bilancio di oltre 20,1 milioni di euro (2,3 miliardi di dinari serbi). Identico trend per i lavoratori: 3.200 nel 2016, 2.400 a fine 2019, oggi 2.016. “La fabbrica ora è praticamente ferma -dice il sindacalista-. Nel 2021 i giorni lavorativi sono stati 60 e i lavoratori hanno percepito il 65% dello stipendio (340 euro circa al mese in media, ndr)”. I giorni di sciopero lo scorso anno sono stati 12.
Il futuro non fa ben sperare, osserva il rappresentante del Samostalni (che in italiano significa “Indipendente”). Sarebbero infatti in corso trattative con il governo per “capire che cosa fare con 1.500 operai che la Fiat sostiene di non volere più”, continua Blagojević. A 500 sarebbe già stata comunicata l’interruzione del contratto, con una liquidazione complessiva pari a 2.500 euro (anche se la cifra esatta di questo “programma sociale” è ancora “incerta”), mentre per gli altri 1.000 si starebbe “cercando una soluzione”.
Il racconto di Blagojević stride molto con la versione pubblica di Stellantis. Contattata da Altreconomia l’azienda si è limitata a ribadire l’annuncio di Tavares e cioè che “installerà una nuova piattaforma elettrica a Kragujevac per produrre veicoli compatti a partire dalla metà del 2024”, riaffermando che “la Serbia e il suo stabilimento di Kragujevac svolgeranno un ruolo chiave nel piano strategico Dare Forward 2030 dell’azienda”.
Ma i 1.500 posti di lavoro tagliati o a rischio su 2.000? “Poiché lo stabilimento vedrà già nel corso del 2022 l’avvio delle attività per la realizzazione della nuova linea di produzione per la nuova piattaforma che sarà lanciata nel 2024, stiamo costruendo un ecosistema industriale flessibile e agile che vedrà una necessaria fase di transizione compresa la riqualificazione del personale”, è la tesi di Stellantis -che si è rifiutata di incontrarci e di rilasciare interviste approfondite nel merito-.
La circostanza riferita dal sindacato per la quale l’azienda abbia intenzione di “interrompere completamente la produzione dello stabilimento di Kragujevac inviando i lavoratori a lavorare all’estero e licenziando i lavoratori”, sempre secondo Stellantis, “non corrisponde al vero”. Al contrario la produzione della Fiat 500L “verrà sospesa per consentire l’ammodernamento delle linee produttive e ai lavoratori verrà offerta un’opportunità di lavoro all’estero (Europa) negli stabilimenti di Stellantis che già sono partiti sul fronte dell’elettrificazione”.
Quella che la multinazionale definisce “opportunità di lavoro” o “reskilling on the job” è riassunta in una tabella che sarebbe stata distribuita a maggio ai lavoratori in fabbrica con l’invito di far sapere presto le proprie intenzioni. Rajko ne mostra una copia. Le ipotesi per il trasferimento biennale sono quattro: Slovacchia (800 euro di salario netto), Polonia (850 euro), Italia (1.400 euro), Germania (1.900 euro). Nota numero uno: “L’alloggio è a carico dei dipendenti”.
“Com’è possibile proporre una cosa del genere a persone che hanno una famiglia?”, si domanda Blagojević, sottolineando come i lavoratori siano uniti nella protesta. “Abbiamo già manifestato tre volte dalla fine di aprile, andremo avanti”. L’obiettivo è far pressione sul governo di Belgrado che si sarebbe impegnato a investire sulla nuova “piattaforma” di Stellantis a Kragujevac 48 milioni di euro.
Accanto a Blagojević siede Rajka Veljovic, ex dipendente della Zastava, la fabbrica che produceva armi automobili e armi a Kragujevac, bombardata dalla Nato nella primavera del 1999. Da anni svolge un preziosissimo ruolo di “ponte” tra il sindacato e le associazioni di volontariato che promuovono progetti umanitari in Serbia (come “Mir Sada” di Lecco o “Non bombe ma solo caramelle Onlus” di Trieste). Mentre ascolta il racconto del sindacalista, Veljovic scuote ripetutamente la testa. “Di che cosa ci meravigliamo? Fin dal principio avevamo capito che con la Fiat nulla sarebbe stato normale”. Ripensa alla consegna dell’area produttiva di 370mila metri quadrati a Fiat da parte del governo senza oneri (all’epoca il presidente era Boris Tadic) o all’indicazione della stessa come “zona franca”, o ancora ai contributi economici per ogni operaio assunto (“9mila euro”, afferma). “Ricordo ancora gli striscioni ‘Benvenuti a casa’ affissi in giro per la città”. Oggi resta ben poco. Dalla facciata dello stabilimento è sparita anche la grande 500L che era formata da tanti piccoli operai. È rimasto solo lo slogan “Mi smo ono što stvaramo”, cioè “Siamo quello che produciamo”. Blagojević prende la penna e riscrive lo slogan cancellando due lettere dell’ultima parola. Diventa “Mi smo ono što varamo”: “Vuol dire ‘Siamo quelli che imbrogliamo’”.
Questo articolo è tato pubblicato su Altreconomia il 7 giugno 2022