Terzo mandato a De Luca prospettiva agghiacciante vietata dalla Costituzione

di Massimo Villone /
18 Marzo 2022 /

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La lettera al segretario PD che mette sotto accusa il presidente De Luca non ha avuto l’attenzione che avrebbe meritato. Le notizie e le immagini terribili della guerra in Ucraina, i profughi, i primi contraccolpi sull’economia e sulla vita quotidiana, unitamente alle cifre di una pandemia ancora aggressiva, hanno generato una tempesta perfetta che ha assorbito la politica, i media, l’opinione pubblica.

Così Letta ha affrontato il problema mettendolo da parte. Se ne occuperà quando sarà possibile. Anche Provenzano non è andato al di là di generiche assicurazioni. Eppure, la lettera non esprime certo i moti dell’animo e le personali insoddisfazioni di alcuni. Il malessere è certificato. Una direzione regionale mai convocata da due anni, e per di più quelli della pandemia. Commissariamenti in cui il territorio si ribella, mandando deserte le convocazioni dell’inviato da Roma. Un voto per la città metropolitana in cui non esistono un partito e il suo progetto, ma un groviglio di cordate, affiliazioni, capi e capetti, sodali e seguaci. Un contrasto con Napoli che comincia a montare. Su tutto, l’”odiatore seriale” di Santa Lucia proiettato, a quanto si legge, verso un terzo mandato.

Sul punto non aggiungo nulla a quanto ho già scritto su queste pagine il 6 agosto 2021. Il terzo mandato è in contrasto con l’art. 122 della Costituzione, che pone un limite di due consecutivi, e con la legge 165/2004, art. 2, lett f, che a quel principio dà attuazione. Probabilmente, il think-tank deluchiano guarda a un trucco analogo a quello messo in campo dal veneto Zaia, al suo terzo mandato. La regione approva una legge elettorale con il limite dei due mandati, che si rende però applicabile dalla prima elezione successiva all’entrata in vigore della stessa legge. In Veneto così è stata aperta la via a Zaia. Per De Luca, il limite dei due mandati potrebbe farsi decorrere a partire dall’elezione del 2025. Potenzialmente De Luca forever, fino al 2035 e per venti anni sulla poltrona di governatore. Una prospettiva agghiacciante.

Ovviamente, tutto ciò è in contrasto insanabile con la Costituzione e con la legge statale. Esistono strumenti efficaci per impedire tale esito sul piano giuridico, a partire dal ricorso in via principale presentato dal governo contro una legge regionale sospetta di incostituzionalità. Ci sarebbe anche un modo semplice di bloccare il terzo mandato di De Luca: negargli la candidatura. Ma è una semplicità solo apparente. Nei partiti del bel tempo che fu – quelli veri – un caso De Luca non sarebbe mai scoppiato, perché non sarebbe esistito un De luca. Ma i partiti evanescenti di oggi sono in realtà un assemblaggio di potentati locali. De Luca è diverso da Bonaccini o Zaia solo nei modi di esternare, e nella voglia di considerare la sua abituale diretta TV come il balcone di Piazza Venezia. Nella sostanza, sono eguali: controllano il partito localmente, e servono al gruppo dirigente nazionale più di quanto quel gruppo serva a loro.

Non dimentichiamo che a ogni turno elettorale ci sono stati blandi tentativi di evitare la candidatura De Luca, naufragati sulla probabilità che si sarebbe candidato comunque, consegnando la vittoria allo schieramento avversario. Un ricatto politico. Una domanda però resta. Perché De Luca attacca tutto e tutti? Perché progressivamente isola la Campania nella politica nazionale? Una irritabilità che viene dagli anni? O un disegno politico?

Optiamo per il disegno politico. E allora ci colpisce che De Luca non fa il playmaker per il Sud in una partita cruciale in corso sul PNRR e sulla riduzione del divario con il resto del paese. Mentre tace sul ritorno di fiamma del regionalismo differenziato, e nemmeno risponde ai rimbrotti della Carfagna. Al confronto, il sindaco di Bologna che si oppone a Bonaccini è un vero statista. Viene un dubbio: che De Luca stia scommettendo su una ulteriore inevitabile frammentazione del paese, avviata da altri, ma con ricadute di briciole di potere dal banchetto altrui. Una regione più pesante di oggi ma chiusa in sé è coerente con il regno deluchiano. 

Speriamo che Letta, quando vorrà occuparsi del caso campano, non si limiti a generiche esortazioni al cambio generazionale. Per dirne una, basterebbe cambiare due o tre parole nella legge 165/2004 per rendere inequivocabile più di quanto già non sia la decorrenza e quindi insuperabile il limite dei due mandati. Al tempo stesso, il PD potrebbe essere decisivo negli equilibri di governo per il ricorso in via principale avverso la legge regionale. Potranno o vorranno i nostri eroi… 

Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica Napoli il 16 marzo 2022

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