Innovazione tecnologica, è corsa contro il tempo: lo Stato deve creare lavoro

di Roberto Marchesi /
25 Febbraio 2022 /

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Tutti aspettavamo già da più di un anno questi segnali di resa del virus, che ha fatto nel globo, in un tempo inferiore a quello della seconda guerra mondiale, una quantità di vittime forse maggiore. Tuttavia e inutile farsi troppe illusioni, la fase della ripresa non sarà una passeggiata. Il mio però non è semplice pessimismo: il motivo è che eravamo in piena corsa e ci siamo dovuti fermare. Se prima, magari ansimando, riuscivamo (come accade spesso nelle corse ciclistiche) a stare ancorati in fondo al gruppo, adesso rischiamo di perdere definitivamente il contatto e rimanere staccati.

Ma non è tutta colpa nostra, anzi…! Sul piano nazionale, già lo sappiamo, di colpe ne abbiamo molte (il livello degenerativo del nostro sistema politico ha raggiunto un punto molto vicino a quello di non ritorno). Ma sul piano globale le cose stanno andando anche peggio. Tutto va troppo in fretta.

E’ passato solo un secolo da quando i fratelli Wright, molto coraggiosamente, fecero il primo volo con un aereo a elica inventato da loro. E a pochi decenni prima risale anche il primo treno a vapore. Mezzo secolo prima l’unico mezzo di trasporto erano ancora i cavalli. Provate a pensarci, l’esercito di Napoleone ha conquistato mezza Europa… a piedi! Solo trent’anni fa per fare una telefonata quando eravamo fuori casa dovevamo ancora cercare una cabina telefonica o un bar. Adesso in ogni parte del globo civilizzato tutti hanno in tasca un aggeggio che non è solo telefonino ma è anche calcolatrice, macchina fotografica e, con il collegamento internet, un concentrato di sapere e di nozioni che nemmeno l’Enciclopedia Britannica può più competere, soprattutto per la rapidità che dà per ogni risposta e per la velocità con cui si aggiorna.

Ma la scienza e la tecnologia non solo non possono risolvere tutti i problemi dell’uomo: addirittura gliene possono creare! Siamo infatti arrivati a un punto in cui le macchine possono sostituire l’uomo nella maggior parte dei suoi lavori e, siccome la pandemia ha creato la crisi e con la crisi sono arrivati in Italia e in Europa migliaia, forse milioni, di licenziamenti, nella ripresa nessuno vorrà più assumere lavoratori che sono già – o diventeranno molto presto – tecnicamente obsoleti. Nel secolo scorso abbiamo assistito all’avvento della tecnologia che sostituiva il lavoro manuale ma, in fondo, si trattava solo di organizzare dei corsi di aggiornamento per gli operai, che imparavano così a usare i moderni strumenti tecnologici aumentando anche la produzione con minor costo (ottenendo così la fatidica crescita della produttività, indispensabile per competere sui “mercati”, nazionali o globali).

Oggi è in via di superamento anche questo “escamotage” industriale, ormai gli automi fanno tutto da soli nelle produzioni di un sacco di cose. Le uniche persone che servono ancora sono i tecnici. Sostanzialmente solo gli ingegneri elettronici hanno oggi, e in futuro, qualche speranza di trovar lavoro nelle fabbriche. Ma ci vogliono almeno quindici anni per formarne uno, e comunque, visto che anche il numero delle fabbriche diminuisce, anche quei pochi rischiano, nel tempo, di diventare in sovrannumero.

L’obiettivo di correre per fermare l’inquinamento e salvare la Terra è importantissimo, ma anche quello per creare lavoro non può essere considerato di minore importanza in questa fase dell’umanità. E piantiamola per favore di dire, con quel tono “pseudo-sapiente”, che “non è lo Stato a creare lavoro ma sono le imprese”. Certo che sono “anche” le imprese di ogni dimensione a farlo, ma solo quando a loro conviene e ci guadagnano, se no (in ossequio alle regole di mercato) è certo che, se non lo hanno ancora fatto, licenzieranno presto i lavoratori per sostituirli coi robot (e in molti casi sarei proprio io, se facessi ancora il mio vecchio lavoro di analista fidi bancario, a imporre questa scelta a chi chiede prestiti per la propria impresa, perché se non lo facesse finirebbe presto “fuori mercato”).

Quindi siamo in una fase di transizione tra l’era tecnologica e quella dell’Intelligenza Artificiale (A.I.) con la quale tutti si dovranno misurare: non saranno certo gli imprenditori privati a risolvere questo enorme problema che investe in pieno tutta la società civile. Solo lo Stato può risolverlo trasformando temporaneamente quasi tutti i lavoratori “tecnologici”, diventati obsoleti ed emarginati, in fornitori di servizi (previo rapido addestramento) di cui c’è ancora gran bisogno, specialmente rallentando il più possibile il passaggio all’automatismo e fermando il vergognoso espatrio delle imprese sane.

E’ scritto in testa alla Costituzione che il nostro Stato è fondato sul lavoro, quindi chi lavora nello Stato si dia da fare per crearlo innanzitutto, il lavoro, cominciando dalle regole per la tassazione e utilizzando il Reddito di Cittadinanza, creato inizialmente proprio a questo scopo.

P.s. A conferma del mio allarme che ormai “Tutto va troppo in fretta”, non abbiamo nemmeno il tempo di uscire da una crisi che già ne inizia un’altra persino peggiore: l’attacco di Putin all’Ucraina non è soltanto una regolazione di confini, è anche un chiaro attacco alle democrazie! Avrà un costo altissimo e colpirà, per le sanzioni, soprattutto l’Europa.

Questo articolo è stato pubblicato su il Fatto Quotidiano il 24 febbraio 2022

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