Esitono in tutto il mondo disuguaglianze di classe, di sesso, d’età, d’istruzione, di salute, e soprattutto per il colore della pelle, tutte inaccettabili e insopportabili. In Italia, però, ce n’è un’altra, insidiosa e duratura, che esaspera ancora di più quelle elencate: è la disuguaglianza per luogo di nascita. Se vivi, lavori, studi, ti ammali o invecchi al Sud cambiano radicalmente le tue opportunità e le tue possibilità.
Una delle più stridenti incongruenze del nostro Paese è che una parte di esso (pari a ben 20 milioni di abitanti e al 41% dell’intera superficie geografica) vive in condizioni sociali, economiche e civili così differenti da farla sembrare quasi una nazione a parte, un’Italia minore. Certo, anche in altri Paesi le disuguaglianze territoriali esistono. In Francia, tra la Bretagna, la Corsica, il Pas de Calais e l’area metropolitana di Parigi; così come nel Regno Unito tra le Highlands scozzesi, il Galles e la regione di Londra; o in Spagna tra la Catalogna, l’Extremadura e la Mancia.
Ma in nessun’altra nazione europea esse si concentrano massicciamente in una ben delimitata parte del territorio e persistono da così lungo tempo storico. La singolarità delle disuguaglianze italiane consiste nel fatto che esse sono riferite a ben otto regioni meridionali e si protraggono da almeno un secolo e mezzo. Altre regioni del Centro-Nord hanno conosciuto povertà, emigrazione, durissime condizioni di vita e di salute, ma queste condizioni si sono allentate nel tempo fino a scomparire.
Anche il Sud d’Italia ha fatto notevolissimi passi in avanti, sono cresciuti nel tempo benessere, civiltà e istruzione, ma nonostante ciò non si è ridotta la distanza con altri luoghi, anzi in alcuni settori si è accentuata. Il Sud resta il luogo delle disparità per eccellenza.
Un bambino meridionale avrà più difficoltà a frequentare un asilo pubblico perché ce ne sono in funzione molti meno; e se avrà problemi dovrà scontare la differenza tra il numero di assistenti sociali di cui dispone un Comune centro-settentrionale rispetto a uno meridionale. L’evasione e la dispersione scolastica sono imparagonabili tra Bologna e Napoli. Un giovane di Palermo sarà costretto a emigrare per trovare lavoro qualificato e si iscriverà a un’università del Centro-Nord per avere qualche chance in più; mentre nel Sud le università hanno minori risorse per assicurare un sostegno per i meno abbienti o residenze universitarie adeguate.
Una ragazza di Bari avrà la metà delle possibilità di non fare la casalinga rispetto a una sua coetanea di Milano. Un anziano di Reggio Calabria non godrà della stessa assistenza domiciliare di Bolzano e in linea di massima morirà due anni e mezzo prima di un nonno di Trento. Un ammalato di Potenza dovrà prenotare un intervento delicato in un ospedale del Centro-Nord, mentre quasi mai avviene il contrario.
Si vive, dunque, in due Italie nettamente distinte. Dove l’economia è meno sviluppata si muore prima, ci si cura peggio, si apprende di meno, si emigra in massa, si hanno minori possibilità di trovare lavoro e più probabilità di restare a casa se si è donna. Le differenze territoriali, se si basano su apparati economici fortemente sbilanciati, non sono affatto un arricchimento della nazione ma un suo progressivo indebolimento. Solo in Italia avviene in maniera così continuativa che le differenze geografiche si trasformino in disuguaglianze sociali. Alle ingiustizie tradizionali se ne somma una del tutto particolare: l’ingiustizia di luogo. Se nascere in un posto determina un handicap di partenza, ciò è contro la Costituzione e la dignità.
Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica il 4 febbraio 2022