I nuovi muri contro i migranti. Dall’inizio del 2021 fino al 15 novembre, secondo il dossier del Comitato Nuovi Desaparecidos redatto da Emilio Drudi, sarebbero morti 3.017 profughi: 2.868 nel Mediterraneo o nell’Atlantico, 149 lungo le vie di terra, nei paesi di transito in Africa, nel Medio Oriente e nella stessa Europa. Una media di circa 300 al mese
Al confine tra Polonia e Bielorussia continuano ad essere bloccati circa 4/5 mila profughi costretti a vivere al freddo, senza cibo e acqua, per via del ricatto sull’Ue del premier bielorusso Lukashenko. Da settembre a oggi, ci sono stati almeno 10 morti lungo quella tratta, deceduti per ipotermia e sfinimento, compreso un bambino di appena un anno.
Un dramma identico a quello di circa trenta persone morte su una barca alla deriva per oltre un mese e mezzo nell’Atlantico, giunta a fine ottobre su una spiaggia di Sau Nicolau (Capo Verde), a migliaia di chilometri dalla costa del Sahara Occidentale da cui era partita.
Lukashenko è infatti solo l’ultimo ad usare i profughi come arma. Lo fece Gheddafi, che apriva e chiudeva i flussi di migranti dalla Libia a seconda delle richieste che poneva. Lo ha fatto e continua a minacciare di farlo il presidente turco Erdogan col suo braccio di ferro che da anni conduce con l’Europa, e lo fanno e continuano a farlo le milizie libiche, da noi ben finanziate, trasformatesi in Guardia Costiera.
Dall’inizio del 2021 fino al 15 novembre, secondo il dossier del Comitato Nuovi Desaparecidos redatto da Emilio Drudi, sarebbero morti 3.017 profughi: 2.868 nel Mediterraneo o nell’Atlantico, 149 lungo le vie di terra, nei paesi di transito in Africa, nel Medio Oriente e nella stessa Europa.
Una media di circa 300 al mese. Quasi 10 al giorno. Con questo ritmo a fine dicembre si arriverà a 3.500 vittime.
L’anno peggiore resta il 2016, con 5.822 tra morti e dispersi a fronte di 392.791 sbarchi: una vittima ogni 67/68 migranti arrivati. Segue il 2015 che, a fronte di 1.039.000 arrivi, ha fatto registrare 3.882 vittime: una ogni 256. Poi il 2017, con 3.498 morti su 187.792 sbarcati: uno ogni 67/68. Nessuno di questi tre anni presenta però un tasso di mortalità pari a quello del 2021 che, sempre al 15 novembre, risulta di 1 ogni 45.
Nel conto delle vittime (3.017), potrebbero entrarne altre 793 che erano in 18 barche disperse nell’Atlantico.
La via di fuga più letale è quella per la Spagna, nell’Atlantico verso le Canarie e nel Mediterraneo Occidentale verso le Baleari e la Penisola Iberica, con 1.639 morti, una ogni 26 migranti arrivati.
Segue quella del Mediterraneo centrale, verso l’Italia e Malta: 1.201 vittime, con un tasso di mortalità di una ogni 49/50 sbarchi.
Nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale, infine, i morti o dispersi risultano 28 su 6.418 arrivi in Grecia o a Cipro (uno ogni 231). All’Egeo spetta il triste primato della dissuasione attiva, respingimenti violenti attuati dalla Guardia Costiera e dalla polizia greca o da uomini in divisa militare i quali sequestrano in mare il motore fuoribordo delle barche dei migranti per lasciarle alla deriva, oppure costringono gruppi di profughi già sbarcati nelle isole egee a stiparsi su zattere di salvataggio poi rimorchiate dalle motovedette al largo e abbandonate nelle acque turche.
L’altro elemento inaccettabile sono i respingimenti di massa delle forze di sicurezza di diversi Stati Ue e dell’agenzia europea Frontex oppure dati in appalto alla polizia di vari paesi africani e mediorientali sulla base di accordi miliardari stipulati dall’Ue o da singoli governi, come il Processo di Rabat (2006), di Khartoum (2014), i trattati di Malta (2015), il patto con la Turchia firmato nel 2016 sulla base di 6 miliardi e rinnovato di recente, il memorandum Italia-Libia (2017) e tutti i successivi adattamenti.
A fronte di 135.773 migranti giunti in Europa al 15 novembre, ne risultano bloccati, respinti e tratti in arresto 136.437, quasi mille in più. Il primato va alla Turchia, con 49.850, seguono il Marocco (42.188), la Libia (37.957), la Tunisia (4.108) e l’Algeria (2.174). Inoltre, qualche decina tra Senegal, Mauritania e Sudan. Alcuni governi includono anche fermi e arresti di profughi divenuti semi-stanziali ma in attesa di proseguire. È il caso della Turchia e del Marocco, come una recente inchiesta del magazine dell’Eurispes ha messo in luce. È quella libica la polizia che nel 2021, secondo Drudi, ha respinto più migranti, destinandoli ai centri di detenzione lager dove le violenze sono pratica quotidiana.
In dettaglio, 29.427 sono stati bloccati in mare dalle motovedette fornite dall’Italia alla Guardia Costiera libica; 8.177 a terra, nell’imminenza dell’imbarco, negli hub dove erano nascosti, vicino il confine meridionale con il Sudan e il Niger, lungo le strade che dal sud portano alla costa mediterranea, a Tripoli e in altre grandi città; 353, infine, catturati sulle spiagge dove sono rientrati per via di guasti ai natanti.
Se ai 37.957 profughi sequestrati dalla Libia si aggiungono i 4.108 fermati dalla Tunisia, con un totale di 42.065 la rotta del Mediterraneo centrale è la più presidiata e difficile da superare.
Insieme dunque alle responsabilità di Lukashenko, Gheddafi in passato, Erdogan e milizie libiche adesso, resta ferma la responsabilità dell’Ue che continua a costruire muri consegnando nelle mani di vari criminali migliaia di persone in fuga per la vita.
Questo articolo è stato pubblicato su Il manifesto il 20 novembre 2021