Che i procedimenti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contro le navi Ong siano puntualmente archiviati dai giudici per le indagini preliminari è prassi. Ma nell’analoga richiesta del pubblico ministero di Agrigento Salvatore Vella c’è un aspetto inedito che parla dell’ultimo anno e mezzo di soccorso civile nel Mediterraneo. Nell’atto depositato il 7 ottobre scorso il Pm ripercorre il salvataggio compiuto dalla Mare Jonio il 9 maggio 2019 e le fasi successive, fino allo sbarco a Lampedusa.
Per Vella l’equipaggio ha adempiuto al dovere di soccorso e correttamente individuato l’Italia come Place of safety per lo sbarco dei naufraghi. Seguendo lo stesso ragionamento, basato sulle convenzioni internazionali che tutelano la vita in mare, la Gip di Agrigento Micaela Raimondo ha archiviato due settimane fa l’accusa di favoreggiamento contro Arturo Centore, comandante della Sea-Watch 3 che il 19 maggio 2019 è entrato in acque territoriali italiane con a bordo 65 migranti.
A MEDITERRANEA, però, oltre a questo reato è contestata la violazione di due articoli del codice della navigazione: il 1215, partenza in cattivo stato di navigabilità, e il 1231, inosservanza di norme sulla sicurezza marittima. Il rimorchiatore non aveva osservato una diffida ricevuta dalla capitaneria di porto di Palermo per la mancanza delle certificazioni necessarie a svolgere «in modo stabile e organizzato» operazioni di salvataggio di persone.
È lo stesso argomento che la guardia costiera avrebbe utilizzato da maggio 2020 per disporre i fermi amministrativi delle le navi Ong al termine di ogni missione. Una pratica interrotta solo il 21 agosto di quest’anno, quando la Sea-Watch 3 è ripartita da Trapani senza subire il puntuale Port state control e il conseguente blocco.
LA CONCLUSIONE a cui giunge il Pm dopo l’analisi delle norme vigenti è che nell’ordinamento italiano non esiste alcuna certificazione per le navi civili che svolgono attività di ricerca e soccorso (Sar). È quello che le Ong, soprattutto Sea-Watch, Sea-Eye, Open Arms e Msf, hanno ripetuto per mesi contestando i fermi amministrativi: le certificazioni Sar non esistono né in Italia, né nei loro Stati di bandiera (Germania, Spagna e Norvegia). Vella aggiunge poi un altro punto determinante: nessuna normativa può stabilire un numero massimo di naufraghi salvabili perché si porrebbe in contrasto con le convenzioni internazionali a tutela della vita in mare.
Solo il comandante della nave che fa il soccorso può decidere quante persone è capace di imbarcare senza mettere in pericolo la sua unità, perché questa valutazione è legata a fatti contingenti «che variano caso per caso». La guardia costiera italiana, invece, ha fermato per 17 mesi le navi Ong accusandole di aver soccorso troppe persone, cioè un numero superiore a quelle previste dalle certificazioni statutarie. Alla richiesta di archiviazione del Pm dovrà rispondere il Gip, in casi analoghi ci è voluto anche un anno.
NEL FRATTEMPO le fughe dall’inferno libico continuano. Fortunatamente anche i soccorsi. Con l’interruzione dei fermi amministrativi nelle acque internazionali che uniscono Libia e Italia sono presenti contemporaneamente più navi umanitarie. Tra domenica e martedì hanno salvato 552 persone. In 24 ore la Sea-Watch 3 ha realizzato sette interventi mettendo al sicuro 412 migranti. Tra loro 93 donne e 153 minori, di cui 108 non accompagnati. Colpisce la presenza di 52 cittadini libici. Uno dei soccorsi è stato molto complesso: il gommone era sgonfio e c’erano persone in acqua. Ieri tre donne con gravi ustioni da carburante sono state evacuate dalla guardia costiera e trasferite a Lampedusa. La nave è entrata in acque italiane ma non ha ricevuto alcuna risposta alla richiesta del porto.
L’ok ad approdare sulla maggiore delle Pelagie è invece arrivato ieri pomeriggio al veliero Nadir che domenica aveva salvato 35 persone, tra cui una donna all’ottavo mese. Per 48 ore sono dovute rimanere sulla piccola imbarcazione di soli 18 metri insieme ai sei membri dell’equipaggio, in attesa che il solito ping pong tra Roma e La Valletta terminasse. L’ultimo soccorso l’ha fatto ieri la Aita Mari: appena arrivata in zona Sar ha ascoltato via radio l’Sos diffuso da un peschereccio. Su una barca di legno azzurro partita dalla Libia quattro giorni prima, ma da due alla deriva, c’erano 105 persone. Ora sono al sicuro, in attesa di un porto.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 20 ottobre 2021