L’Unione Europea si fregia da sempre del titolo di baluardo nella difesa della privacy dei propri cittadini, una narrazione certamente fondata su fatti concreti, ma che si trova frequentemente a imbattersi in contrattempi di diversa natura. L’ultimo dosso affrontato dalla Commissione UE è stato quello del decidere come tutelare la riservatezza degli europei senza dover cedere alla lotta contro la circolazione del materiale pedopornografico; la soluzione approvata martedì è lungi dall’essere soddisfacente.
La questione presa in analisi è elementare: molti social si stanno muovendo verso la crittografia dei messaggi inviati dai propri utenti, un procedimento che contribuisce a tutelare la riservatezza delle parti coinvolte, ma che rende anche più complesso l’intercettarne il contenuto, cosa che a sua volta crea un terreno fertile per diverse pratiche illegali.
Per ovviare a questa criticità, le Big Tech si sono sempre “offerte” di supervisionare in via automatica i contenuti presenti sui propri portali, scandagliando con algoritmi la vita delle persone pur di identificare quei tratti che rimandano al terrorismo e alla pedopornografia. Alle autorità preposte vengono dunque consegnati quei pacchetti di dati che un’intelligenza artificiale reputa compromettenti, così che poi stia ai vari Governi il portare avanti i dovuti controlli.
Difficile dire quante di queste segnalazioni si dimostrino effettivamente attendibili, tuttavia molti sospettano che la generosità delle aziende digitali sia solamente una copertura con cui continuare indisturbate a infliltrarsi nell’esistenza dei rispettivi iscritti. Una pratica che, almeno su carta, sarebbe resa in ogni caso illegale dalla General Data Protection Regulation (GDPR) europea.
Nella realtà dei fatti, martedì l’UE ha garantito alle Big Tech una deroga triennale con cui circumnavigare goffamente la legge, una deroga che è stata votata in un clima di vero e proprio “ricatto morale” e per la cui approvazione l’Europa ha subito le pressioni di Regno Unito, Canada e Stati Uniti. Le ditte digitali – perlopiù statunitensi – potranno dunque continuare a immergersi nella privacy dei cittadini europei, indisturbate.
Una vera e propria manna dal cielo per realtà quali Facebook, la quale aveva deliberatamente sospeso i suoi filtri antipedofilia in segno di protesta ben prima che le autorità potessero imporre quel giro di vite che non si è mai effettivamente concretizzato. La stessa Facebook che in passato era stata accusata di muoversi contro la pedofilia solamente quando gli era economicamente conveniente.
I promotori della risoluzione promettono ora che verrà presto redatto un documento contenente i binari guida con cui garantire che il meccanismo di sorveglianza di massa si muova “in equilibrio con la tutela dei diritti”. Un’accortezza che sarebbe stato il caso di concretizzare a monte del voto e che comunque non manca di riconoscere alle aziende private un ruolo da leoni in quello che invece dovrebbe essere il campo di lavoro delle Intelligence europee.
Questo articolo è stato pubblicato su L’indipendente il 9 luglio 2021