Quella domanda di un cronista a Lotta Continua

di Riccardo Lenzi /
6 Maggio 2021 /

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C’era una volta «una compagnia di giro, una brigata di pronto intervento, abbiamo tenuto duro per un decennio, i più testardi anche di più, poi ciascuno è tornato nel suo brodo, non siamo mai diventati una lobby, nessuno di noi ha mai indossato l’eskimo, nessuno di noi ha fatto carriera, mentre molti di quelli che indossavano l’eskimo sono diventati direttori, direttori editoriali, editorialisti, commentatori con fotina, savonarola televisivi, vignettisti buoni per tutti i giornali e tutte le stagioni, da Lotta Continua al Corriere della Sera, da Repubblica a Cuore, moralisti osannati a destra, a sinistra e al centro, professionisti dell’antidietrologia, in verità fustigatori di tutte le dietrologie degli altri ed esaltatori di una, la propria».

Inizia così “Il pistarolo” di Marco Nozza, ultimo libro (postumo) del colto cronista – “esente da vanità” – del Giorno. Classe 1926, Nozza è scomparso nel 1999. Negli anni Sessanta il quotidiano milanese era diretto da un altro grande giornalista lombardo, ex partigiano: Italo Pietra. Quest’ultimo era amico di Enrico Mattei, che nel 1960 lo aveva fortemente voluto alla direzione del giornale fondato dall’Eni (oggi è di Monrif, che possiede anche Il Resto del Carlino e La Nazione). Pietra e Mattei si erano conosciuti durante la Resistenza, erano diventati amici. Su quel Giorno hanno scritto Alberto Arbasino, Giorgio Bocca, Pier Paolo Pasolini, Camilla Cederna, Gianni Brera, Umberto Eco, Ernesto Rossi, Pietro Citati, Vittorio Emiliani… Il “top del top”, come direbbero gli ‘intellettuali’ contemporanei. Un giornale bello, ben fatto, ben scritto, che per dieci anni è riuscito a restare indipendente. Nel 1975 Nozza vincerà il premio Saint-Vincent. Altri tempi, altro giornalismo.

Non sono molti i saggi o gli articoli di giornale che resistono all’usura del tempo, spesso quando si tratta di fatti complessi, magari avvenuti 60 anni fa. In alcuni casi si tratta di storie che, nonostante anni di depistaggi e rimozioni, riemergono dall’oblio. Anche in questo periodo. In tv, sui giornali, su internet. A volte persino nei tribunali. “Il pistarolo” è uno di questi libri, resistente, resiliente. Vale la pena leggerlo e rileggerlo, come un romanzo. Ogni volta scoprirete, o ricorderete, qualcosa che difficilmente avete già letto altrove. Faccio un esempio, tanto per incuriosirvi. Le pagine 179-181 si chiudono con una domanda di Nozza a Marco Boato, cofondatore di Lotta Continua. Una domanda a cui nessuno dei protagonisti di questa storia ha mai dato una spiegazione convincente. A meno che qualcuno non consideri credibili la risposta di Boato, che leggerete qui sotto. Siamo nel 1980.

«Giuseppe Caputo era un docente universitario di Diritto canonico. Insegnava a Bologna. Aveva fatto parte dei radicali di Pannella, dei quali era stato anche un esponente nazionale. Poi era entrato in crisi e aveva scritto una lettera di dimissioni, indirizzandola a Notizie radicalivia Dandolo 8, Roma. La direzione di Notizie radicali non aveva pubblicato la lettera. Allora Caputo aveva pensato di andare a riprendersela. Siccome la tipografia che stampava Notizie radicali era una certa Stacmor, l’aveva cercata sulla guida telefonica di Roma. Ma sulla guida telefonica non c’era. Qualcuno gli aveva consigliato di cercare sull’elenco un’altra denominazione: Dapco. Questa c’era. Ma, accanto alla sigla Dapco, c’era scritto Editrice del Daily American. Oltre il giornale degli americani di Roma, la Dapco stampava anche altri giornali e periodici. Tra questi, Nuova Repubblica, il settimanale del movimento omonimo diretto da Randolfo Pacciardi, notissimo antifascista, e da Giano Accame, notissimo neofascista (quello che aveva tenuto una lezione al convegno del Parco dei Principi [3-5 maggio 1965] su come avrebbero fatto i colonnelli greci a prendere il potere). Tutti e due, tanto Accame quanto Pacciardi, si battevano per l’instaurazione in Italia di una repubblica presidenziale. C’era poi un altro settimanale stampato dalla Dapco ed era L’Assalto diretto da Pietro Caporilli e Nino Capotondi, il cui numero uno era uscito nel giugno del 1969 con un titolo a tutta pagina: “Usare le mitragliatrici”. Sottotitolo: “Popolo italiano, svegliati!” […].

A chi apparteneva questa strana stamperia che si chiamava Dapco? Il professor Caputo aveva fatto le sue brave indagini ed era venuto a sapere che ne era proprietaria una società, il cui amministratore unico era un americano degli Stati Uniti, tale Robert Hugh Cunningham […]. Era arrivato a Roma nel 1968 e a quel tempo aveva come socio, nella tipografia, un vecchio americano ultrasettantenne, tale Samuel Meek, amministratore del Daily American dal 1964. Questo Samuel Meek (venne a sapere il Professor Caputo, con suo grande sbalordimento) agiva per conto della Cia, sia pure solo come fiduciario, non come vero e proprio agente. L’agente vero era Robert Hugh Cunningham. E questo Robert Hugh Cunningham era un fedelissimo collaboratore di Richard Helm. Il quale, della Cia, era il capo dei capi.

Lotta continua, a dire la verità, non era stampato dalla Dapco. Era stampato dalla Art-Press. Che, però, aveva la sede nello stesso indirizzo della Dapco: via Dandolo 8, Roma. A dire proprio tutta la verità, non erano nemmeno due cose diverse, la Dapco e l’Art-Press, perché i soci erano gli stessi. Ed erano i tre Cunningham: padre, madre e figlio […]. Il professor Caputo aveva fatto altre scoperte, dopo quella (veramente clamorosa) che Notizie radicali e Lotta continua erano stampati da una tipografia i cui proprietari erano uomini della Cia. Aveva scoperto che nel 1971 era avvenuta una cosa strana, veramente molto strana. Presso la cancelleria delle società commerciali esistenti nel tribunale civile e penale di Roma, i membri del consiglio di amministrazione della Spa Rome Daily American si erano dimessi per far posto a due signori […]. Il primo di questi signori si chiamava Matteo Macciocco, nato a Olbia (Sassari) il 1° aprile 1929, domiciliato a Milano in via Turati 29. Il secondo si chiamava Michele Sindona, avvocato, nato a Patti (Messina) l’8 maggio 1920, domiciliato a Milano in via Visconti di Modrone 30 […]. 

Nel 1971, dunque, Sindona era succeduto a Cunningham senior nella gestione del Daily American. Più tardi, quando era fallito Sindona, era fallito anche il giornale. E a sostituire il Daily American ecco che era comparso, a Roma, un altro quotidiano per i cittadini Usa in Italia. Si chiamava Daily News. I proprietari del Daily News? Robert Hugh Cunningham senior e Robert Hugh Cunningham junior. A questo punto anche Lotta continua aveva cambiato la tipografia. L’8 settembre 1975, infatti, era nata una nuova società, che avrebbe dovuto durare fino al 31 dicembre 2010. Nome della società: Tipografia 15 giugno. Soci: Angelo Brambilla Pisoni, Pio Baldelli, Marco Boato, Lionello Massobrio (…) quei signori si erano dichiarati cittadini italiani. Tutti meno uno. L’ultimo dell’elenco. Questo si chiamava Robert Hugh Cunningham junior. Il figlio, insomma, aveva preso il posto del padre. E oltre a Lotta continua si era messo a stampare molti giornali dell’Autonomia organizzata (che in quel momento stava vivendo il suo periodo migliore, diciamo così), compreso l’organo ufficiale, registrato a Padova con la testata Autonomia, settimanale politico comunista.

Verso gli anni ottanta, lo slancio di Lotta continua aveva preso a languire. Il giornale si stava spegnendo. Proprio mentre negli Stati Uniti era apparsa la stella nuova, quella di Ronald Reagan. Appena eletto presidente degli Stati Uniti, Reagan aveva preso una decisione che aveva lasciato sbalorditi quei tontoloni di Lotta continua. Responsabile del suo partito, il partito repubblicano, per quanto riguardava l’attività informativa in Europa, aveva nominato Robert Hugh Cunningham junior. (…)Puzzava, questa storia della Cia che stampava Lotta continua (e stampava anche i giornali dell’Autonomia di Toni Negri). Mi domandavo che interesse aveva, la Cia, a far uscire giornali che prendevano a bastonate i governi italiani favorevoli alla Nato e raccontavano le cose più oscene sulla stessa Cia, descritta alla stregua di un nido di vipere e di una fabbrica di killer. (…)

Un giorno l’avevo chiesto a Marco Boato, ridendo (ma non troppo): “Lo sai che quei Cunningham che stampano il vostro Lotta continua puzzano un po’ troppo di Cia?”. Boato mi aveva risposto che lo sapeva. L’importante, comunque, era poter pubblicare tutto, tutto quello che si voleva. Lotta continua godeva di una libertà assoluta. Loro, i Cunningham, non ci mettevano becco proprio per niente. “E poi” aveva aggiunto Boato “ci fanno prezzi molto buoni”.».

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