Una lettera per la scuola

di Comitato Priorità alla Scuola /
4 Novembre 2020 /

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Condividiamo qui di seguito la lettera del comitato Priorità alla Scuola, pubblicata il 2 novembre 2020

Al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ai Presidenti di tutte le Regioni italiane, ai Ministri del governo e Al Presidente della Repubblica 

Siamo quel gruppo di cittadine e cittadini, genitori, con figli e figlie di varie età, scolare e prescolare, e di insegnanti, di educatrici e educatori e operatrici e operatori della scuola, di professioniste/i che, nell’aprile 2020, aveva deciso di interpellare direttamente la ministra Lucia Azzolina con una “lettera a una professoressa”: in merito alla scuola quale diritto e servizio essenziale che, allora, era necessario ripristinare al più presto in presenza, in sicurezza e in continuità.
Ora, ci troviamo nell’imminenza di provvedimenti che minacciano di far tornare la scuola al febbraio-marzo 2020 (laddove questo non è già accaduto, come in Campania e in Puglia e per gli studenti e le studentesse delle scuole superiori). Per questo, quel gruppo di cittadini, ora costituito in Comitato Priorità alla Scuola, ha deciso interpellare di nuovo direttamente le istituzioni della Repubblica italiana, rivolgendosi al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, ai Ministri del governo, ai Presidenti delle Regioni.
Consapevoli della necessità di misure per contenere l’epidemia e ridurre i contagi , sosteniamo che sia essenziale, per il presente e il futuro del Paese, adottare provvedimenti in grado di tutelare il diritto alla salute insieme al diritto all’istruzione.
È questa la scelta fatta dalla grande maggioranza dei nostri partner europei , tra cui Francia, Germania, Olanda, Irlanda, Gran Bretagna, le cui misure di lockdown prevedono che servizi educativi per l’infanzia e scuole restino aperte. Sono proprio di queste ultime ore le notizie relative alla drastica diminuzione di contagi in Irlanda, il Paese che per primo ha adottato forme di lockdown piuttosto drastiche, mantenendo però le scuole aperte.
Invitiamo le istituzioni italiane a seguire questi esempi , e richiamiamo al senso di responsabilità verso una materia così importante come la scuola, che non può essere liquidata come «settore improduttivo», e verso i minorenni che risiedono in Italia. Sin dalla prima ondata dell’epidemia, è stato dato per scontato che i diritti dei minori siano quelli revocabili senza discussione né conseguenze. Ci opponiamo fermamente a questa logica.
È proprio mantenendo le scuole aperte che i diritti alla salute e all’istruzione potranno conciliarsi.
Nelle scuole sono stati applicati i protocolli sanitari più stringenti e più verificabili. Le scuole aperte sono quelle che garantiscono il corretto uso dei dispositivi di sicurezza individuale per un’ampia parte della giornata; quelle che inducono comportamenti virtuosi attraverso un continuo autocontrollo; quelle che pertanto garantiscono un monitoraggio di massa e infine il tracciamento di casi sospetti e contagi, che altrimenti sfuggirebbero a ogni controllo . Le scuole sono già un presidio per la prevenzione e non ci riferiamo solo ai protocolli sanitari in vigore: è noto che oggi c’è una spiccata correlazione tra livello di istruzione e malattie, vale per il covid come per le altre patologie che continuano a insidiarci; chi è istruito-a fa prevenzione e si cura meglio di chi non lo è.
Le scuole sono “salutari” da ogni punto di vista , e questa loro funzione può essere incrementata: non chiudendole, ma potenziando la medicina scolastica . Inoltre la scuola, per la sua capillare distribuzione territoriale, può essere anche luogo di informazione, per trasferire le comunicazioni sanitarie a tutti, incluse le comunità straniere: attraverso circolari tradotte in arabo, in cinese, spagnolo, francese e inglese.
Le scuole aperte sono garanti contro la dispersione del tracciamento e contro la dispersione e l’abbandono scolastico. Ormai è assodato che la chiusura delle scuole dei mesi scorsi ha compromesso il diritto all’istruzione dei e delle minori, così come il diritto all’infanzia, inteso in senso ampio, quale diritto alla relazione e al confronto con i coetanei. Sappiamo che maestri, maestre, docenti, all’avvio del nuovo anno scolastico, si sono trovati a svolgere un massiccio lavoro di ri-alfabetizzazione e ri-scolarizzazione di bambini, bambini, ragazze e ragazzi che, tra febbraio e settembre, sono regrediti in competenze fondamentali. Le conseguenze di una nuova chiusura sarebbero catastrofiche, con una ulteriore “regressione” relazionale, culturale, di competenze basilari e di saperi.
La didattica a distanza ha dimostrato di mancare di quella componente essenziale che è la relazione con l’altro e tra pari, senza la quale il processo di costruzione della personalità dei bambini e degli adolescenti non si compie. La scuola è luogo di occasioni di scambio e di rimescolamento: degli sguardi, dei linguaggi, delle esperienze, delle condizioni culturali e sociali, del pubblico e del privato. A distanza tutto questo non può accadere, al contrario. È assodato infatti che l’isolamento personale e relazione prodotto dalla Dad è stato un moltiplicatore di disuguaglianze di ogni genere – sia sul piano umano che su quello didattico e culturale – penalizzando i più fragili:studenti con disabilità, bisogni educativi speciali, di origine straniera e vittime del disagio e della violenza in contesti familiari e sociali.
La Didattica a Distanza resterebbe un problema anche qualora le istituzioni scolastiche garantissero la fornitura di strumenti informatici e connessioni: perché in tutti i casi non potranno mai fornire anche una stanza in più, una situazione familiare serena, le opportunità che in troppe case mancano. La retorica del “restate a casa” della scorsa primavera non può nascondere quella spaventosa realtà che è la violenza domestica. Persino nei contesti più solidi e avvantaggiati sul piano socio-economico-culturale, i minori saranno privati allo stesso tempo di autonomia e socialità, due dimensioni di cui la scuola è componente essenziale. È nota la definizione di “salute” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: è uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non semplice assenza di malattia”. Secondo il recente rapporto delle Nazioni Unite, presentato dalla direttrice del dipartimento salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche la salute mentale, non solo quella fisica, è a rischio a causa della pandemia di coronavirus: l’isolamento amplifica paure e incertezze, con pesanti conseguenze psicologiche.
La scuola è “salutare” anche per questo.
Infine, ma non ultimo per importanza, i danni sul piano didattico e formativo, che ci trasciniamo dalla perdita dello scorso anno scolastico, diventerebbero di portata inimmaginabile tanto che i giovani di questo paese non saranno in grado di tenere il passo dei loro coetanei europei .
Nelle ultime settimane la scuola è stata usata come comoda scorciatoia, capro espiatorio di carenze che riguardano altri settori: dalla sanità stessa ai trasporti pubblici. Sanità e trasporti pubblici devono essere al servizio di alunni, alunne, studenti e studentesse, non viceversa.
Chiediamo pertanto che le scelte di Governo e Regioni siano all’altezza di quelle dei principali partner europei: restiamo in Europa, non solo in termini monetari e finanziari, ma in materia di diritti e di rapporti tra Stato e cittadini e cittadine.
Chiediamo che siano tutelati i diritti di fasce della popolazione che hanno già pagato caro la crisi in corso, e a cui al momento garantiamo solo il ruolo di debitori perpetui. Le scuole siano mantenute aperte, in presenza, in continuità, in sicurezza.
Chiediamo che le risorse siano indirizzate a tal scopo: potenziando finalmente i servizi scolastici in ogni territorio del Paese, facendone un presidio di salute e di istruzione; potenziando il trasporto pubblico necessario per lo spostamento di studenti e studentesse delle scuole superiori; potenziando la sanità, a tutela della generale salute pubblica.

La chiusura delle scuole sarebbe un fallimento di cui dovrete rendere conto di fronte a tutta l’Europa, a tutto il paese e soprattutto alle giovani generazioni. 

Priorità alla scuola


Il Comitato nazionale “Priorità alla Scuola
” 
è costituito da una rete di docenti, genitori, educatori e educatrici, dirigenti, studenti e studentesse, personale Ata provenienti da oltre 60 città italiane, che si battono per la riapertura della scuola in presenza, sicurezza, continuità e senza riduzioni di tempo. Il Comitato Priorità alla Scuola, nato nell’aprile 2020, quando vigeva ancora il lockdown generale, è sceso in piazza per la scuola la prima volta il 23 maggio in 18 città per chiedere un ritorno nelle scuole in presenza e in continuità. La seconda il 25 giugno in 60 città. Il 13 luglio ha organizzato presidi davanti a 10 regioni, tra cui l’Emilia Romagna (in quanto sede del presidente della Conferenza Regioni). Il 26 settembre ha organizzato una manifestazione nazionale a Roma, in piazza del Popolo, a cui hanno aderito tutti i sindacati confederali della Scuola (Cgil, Cisl, Uil, Gilda, Snals) e Cobas per la prima volta insieme nella stessa piazza dopo decenni.

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