Nel vortice di drammi legati al terrorismo islamico può emergere la tentazione di assegnare un successo postumo alla controversa tesi degli anni novanta in merito allo “scontro di civiltà”.
Nel 1989 il politologo statunitense Samuel Huntington scatenò un acceso dibattito affermando che dopo la guerra fredda i conflitti non sarebbero più stati segnati dalle ideologie, ma da uno scontro tra culture e identità. Huntington fu sommerso di critiche, e quella controversia lo ha accompagnato fino alla morte, nel 2008.
Le reazioni alle ultime tragedie in Francia – la decapitazione di un insegnante nei pressi di Parigi e l’assassinio di tre fedeli in una chiesa di Nizza – sembrano sostenere la tesi del professore di Harvard. Nelle dichiarazioni di alcuni leader di paesi musulmani – mi riferisco chiaramente al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ma non solo – e in alcune reazioni nello spettro politico francese traspare la tentazione di vedere il mondo come uno “scontro di civiltà”.
Ma non bisogna andare lontano per leggervi una lettura discutibile di cosa sta accadendo e soprattutto una trappola da evitare.
Pensare che gli islamisti attacchino soprattutto l’occidente cristiano è sbagliato
La prima obiezione è che le vittime di questo “scontro” forzato dai gruppi islamisti non sono solo quelle che vediamo oggi in Francia: i fedeli in preghiera in una chiesa, un professore, il pubblico di un concerto rock o i disegnatori di Charlie Hebdo.
La maggioranza delle vittime del terrorismo nel mondo è costituita da altri musulmani, uccisi non perché fossero “cattivi fedeli” ma per “terrorizzare” i sopravvissuti e spingerli a sottomettersi. Dall’Afghanistan alla Nigeria, dal Caucaso all’Algeria, la storia degli ultimi quarant’anni è scritta con il sangue, soprattutto nel mondo musulmano.
Pensare che gli islamisti attacchino soprattutto l’occidente cristiano è semplicemente sbagliato, anche se questo occidente così disprezzato, a cominciare dalla Francia laica, costituisce senz’altro un bersaglio.
Di conseguenza non è giusto parlare di conflitto tra l’islam e l’occidente, anche se i leader islamisti come Erdoğan o l’ex primo ministro della Malaysia Mahatir, autore di un intervento sconvolgente su Twitter il 29 ottobre, approfittano di questa ambiguità.
Uno dei principali critici della tesi di Huntington è lo storico israeliano Yuval Noah Harari, autore di diversi libri di successo. Harari ritiene che l’integralismo islamico non sia una guerra contro l’occidente, ma una guerra contro qualsiasi civiltà.
La trappola che ci è stata tesa è quella di spingerci a reagire come se l’occidente fosse l’unico a essere colpito e dovesse dunque difendersi dagli attacchi di un’altra civiltà. Se così fosse, i terroristi avrebbero vinto, perché sarebbero riusciti a trasformare tutti i musulmani in presunti colpevoli dei loro crimini. La risposta, dunque, dev’essere inclusiva e non discriminante.
Questa linea è sicuramente più difficile da mantenere quando le emozioni sono fuori controllo. Ma è più vicina alla realtà del mondo rispetto al presunto “scontro di civiltà”, un’idea che favorisce solo gli estremisti.
Questo articolo èstato publicato su Internazionale il 30 ottobre 2020