Dopo vent’anni di centrosinistra, lo scorso 20 settembre, la città è passata alla destra, e lo stesso è accaduto in Regione dopo 26 anni. È successo quel che tutti da tempo s’aspettavano.
Cattolica, bonacciona, “bianca” ma in fondo solidale (almeno nei confronti di uomini e donne fatti a propria immagine e somiglianza). Insomma, “Civitas Mariae”, com’è scolpito sul muro del municipio. Così era Macerata, prima del terremoto e della sua gestione pessima, prima che un miserabile fascio-leghista aprisse il fuoco contro lo straniero – il “negro” – senza destare scandalo neanche tra tante anime belle; prima del Covid-19, della chiusura di 14 ospedali in regione, della promozione a commissario straordinario di Bertolaso e lo sperpero di 18 milioni per un ospedale Covid finora inutilizzato a Civitanova, nonostante nella prima ondata della pandemia abbia rastrellato medici e infermieri dagli ospedali sopravvissuti alla mannaia e carenti di organico. E prima della crisi del 2008 che ha acuito la deindustrializzazione, non solo della provincia ma dell’intera regione. Finché, cronaca di una morte annunciata, sono arrivate le elezioni e il Pd biancovestito è stato stracciato, con la Lega primo partito. A Macerata e in tutte le Marche, Senigallia compresa, con la sola esclusione di Fermo. Mentre Salvini subiva un secco colpo d’arresto in tutt’Italia, in questo quieto e dimenticato “angolo di paradiso” a cavallo tra l’Adriatico e i Sibillini asfaltava un centrosinistra moderato, pasticcione, mangiatutto, così abituato a vincere da ritenere di non doversi neanche impegnare per conquistare una sia pur misericordiosa riconferma.
Tanto c’è l’inerzia, pensavano gli ottimisti. I rassegnati, invece, forse la maggioranza, davano per scontata la vittoria delle destre fino ad allora deboli e divise in regione, così come a Macerata. Cosicché l’unico interesse dei media locali non era il conflitto tra il centrosinistra uscente e la destra entrante bensì quello tra Salvini e Meloni per l’egemonia nella destra. Né ha fatto scandalo che a guidare la compagine avversaria questa volta compatta fosse in regione un fascista orgoglioso di esserlo, Acquaroli, ex Fronte della gioventù, delfino della Meloni, uno che partecipa alle cene di commemorazione della marcia su Roma ad Acquasanta (Ascoli Piceno), nel luogo della strage nazifascista del ’44 in cui furono sterminate 42 persone, compresa una bambina di undici mesi.
I “pistacoppi” – così vengono chiamati i maceratesi per la presenza in città di tanti pesta tegole, insomma piccioni – hanno dismesso il saio per indossare la mimetica. Quasi senza dirselo, sottovoce, hanno scelto di stare dalla parte sbagliata della storia: con lo sparatore Traini, contro lo straniero. L’emozione per l’orrendo delitto di una giovane romana fatta letteralmente a pezzi da un nigeriano ha dato la stura ai peggiori sentimenti dei bravi maceratesi e la caccia al “negro” di Traini è stata accolta da una Macerata silente.
Traini, già candidato dalla Lega, aveva scatenato la sua rabbia sparando oltre che sugli africani anche contro una sede del Pd, senza scatenare alcuna reazione del partito di governo. Traini ha scoperchiato un pentolone in ebollizione. Eppure, Macerata aveva avviato un’esperienza di ospitalità nei confronti dei minorenni non accompagnati in fuga dai paesi in guerra e in miseria, ma sempre sottovoce, senza tanto dirlo in giro, senza rivendicare il suo stare con i più deboli. E così, quando un movimento di base promosso da associazioni che andavano dall’Arci ai centri sociali alla Fiom ha lanciato l’appello a manifestare a Macerata contro il razzismo, le istituzioni si sono chiuse a riccio e hanno voluto la militarizzazione della città, sbarrata alle migliaia e migliaia di pacifici manifestanti spinti fuori dalle mura. Si è soffiato sul fuoco creando allarme e paura nella mite popolazione: arrivano gli unni, chissà che danno faranno alle nostre bellezze. Il Pd non c’era in quella piazza, dopo aver fatto pressione sulle organizzazioni amiche a dare forfait. Ha avuto paura della sua antica ospitalità, ha avuto paura di perdere consensi e sicuramente ha perso la faccia e i voti, perché i sentimenti peggiori alla fine scelgono di farsi rappresentare dall’originale (la Lega) e non da sfocate fotocopie.
La prima mossa della nuova giunta di destra guidata dal sindaco Sandro Parcaroli è stata la cancellazione del progetto “Macerata accoglie” per la protezione dei bambini stranieri non accompagnati. Ora si indignano, sinceri democratici e anime diocesane. Troppo tardi.
La crisi del 2008 nelle Marche si è fatta sentire pesantemente nel tessuto fragile della piccola e media impresa, per esempio quella calzaturiera tra Civitanova e Montegranaro, e del sistema bancario con il crac di Banca Marche, colpendo i ceti medi e bloccando definitivamente l’ascensore sociale. Piccole filiere produttive e commerciali sono saltate in tutta la regione. A ciò si è accompagnata la trasmigrazione di alcuni personaggi dell’establishment dal centrosinistra al centrodestra e la parola cambiamento – rispetto alla débâcle nella gestione del terremoto e poi della pandemia – è diventata parola d’ordine della destra.
Il Pd, a Macerata e nelle Marche, ha gestito male il governo della regione e della città e poi la campagna elettorale, ogni capetto per conto suo senza mai fare blocco e massa d’urto, senza un’autocritica, in sostanza senza una visione per il futuro. È diventato il partito degli amministratori e dei sindaci (oggi ex), sempre più autocentrati, arroccati, troppo vicino ai centri di potere (pronti a cambiare cavallo quando alla bonaccia si sostituisce la tramontana), troppo lontano dalla società civile. Lo stato maggiore del Pd ha rifiutato un confronto serio con i 5 Stelle spaccati al loro interno e ha imposto il suo candidato risultato inadeguato, per i suoi limiti e per una pessima eredità lasciatagli dal presidente e dalla giunta uscenti. A sinistra del Pd, un onorevole tentativo di presentazione in solitaria non ha ottenuto risultati apprezzabili né frenato la frammentazione.
Dopo 26 anni di centrosinistra le Marche e dopo vent’anni Macerata sono passate alla destra, cioè è successo quel che tutti s’aspettavano. Il vento soffia dove vuole, ma questa volta si sarebbe dovuto capire da dove arrivava e in che direzione spingeva e tentare, almeno tentare, di porvi rimedio.
Questo articolo è stato pubblicato su Ytali il 30 ottobre 2020