Nella discussione in corso sotto il post «Va bene tutto» sono stati disseminati spunti e link a inchieste e ricerche che rischiano di sparire nel marasma di commenti, e che vale la pena segnalare a parte.
Una delle questioni più importanti emerse è questa: cosa vuol dire, oggi, «essere positivi al tampone»? Quale tampone? «Impennata dei positivi», «oggi tot positivi»… Ma positivo in che senso?
Già a fine agosto un’inchiesta del New York Times metteva in guardia contro il problema dei falsi positivi, dicendo che forse riguardava addirittura il 63% dei tamponi eseguiti a New York e concludendo che il tampone naso-faringeo è uno strumento inadeguato per comprendere le reali dimensioni della pandemia e isolare i focolai. Questo perché da un lato è troppo sensibile e rileva anche minimi residui di RNA virale non infettanti, e dall’altro la procedura è troppo lenta e dunque si è sempre in ritardo sui focolai.
A fine settembre il New England Journal of Medicine riprendeva il tema in uno studio dove si affermava che «migliaia di persone sono messe in quarantena per dieci giorni in seguito a tamponi RNA-positivi nonostante abbiano già superato la fase di contagiosità».
Il NEJM raccomandava di usare i cosiddetti «test rapidi», ovvero i test genici CRISPR a basso costo, che sono sì meno sensibili, ma in un’epidema l’importante è scoprire chi è contagioso, non chi ha una bassa (o nulla) carica virale.
Sulla proposta, ovviamente, non abbiamo competenze per esprimerci. Il punto è che chi dice di averle non si esprime. L’inchiesta del BYT e lo studio del NEJM sono stati ignorati dal Comitato Tecnico-Scientifico, dal governo, dai nostri virologi televisivi. Possibile che, su 750 «esperti» nominati da Conte, nessuno abbia pensato che se in tre mesi la percentuale dei “positivi” asintomatici aumenta a dismisura qualcosa non torna in termini di diagnostica?
Visto che da noi nessuno faceva inchiesta su questo, ci si è dedicato Alessandro Chiometti, che ha telefonato a laboratori e produttori chiedendo: «Qual è la precisione dei vostri tamponi?» Il suo articolo riassume l’intera faccenda, compresa l’inchiesta del NYC e lo studio del NEJM, si intitola Il bisturi e l’accetta ed è qui.
Non solo il problema è stato ignorato: chiunque, nei mesi e nelle settimane scorse, si sia azzardato a far notare che positivo non vuol dire per forza ammalato e non vuol dire nemmeno contagioso, è stato subito oggetto di un fuoco di sbarramento mediatico. Secondo un titolo di Repubblica di qualche giorno fa, quella era «la teoria di Salvini». Non sappiamo dire se un titolo del genere indichi più malafede o più provincialismo.
Purtroppo si è creata una situazione di vuoto del pensiero critico in cui a dire queste cose – ovviamente male e senza la minima credibilità – è Salvini, così se le fa notare qualcun altro gli si può dire «Sei come Salvini!», e scatta l’anatema.
Ma la questione è cruciale: la ridda di provvedimenti contraddittori e iniqui presi nelle ultime settimane è stata aizzata dai media a colpi di «aumentano i contagiati», «aumentano i contagiati», «aumentano i contagiati», laddove per «contagiati» si intendono sempre i positivi.
Se tali provvedimenti – anche su questo Chiometti ha fatto un buon riassunto con tanto di grafici – non sono serviti a piegare la curva dei positivi, forse non è per colpa degli “italiani indisciplinati”. Forse dovremmo cercare di capire meglio cosa ci sia, dentro quella curva.
Quella curva, a dirla tutta, ha funzionato da diversivo: è servita a scaricare tutte le responsabilità sui comportamenti individuali. Un perfetto esempio di governance neoliberale.
Intanto, se i reparti di terapia intensiva rischiano di ritrovarsi esattamente come a marzo, è perché dopo la prima ondata non si è fatto niente per invertire la rotta delle politiche che avevano semi-smantellato la sanità pubblica e in generale il welfare.
Ma no, media e politici dicono che è colpa tua, tua.
Colpa delle tue vacanze (fatte col bonus che ti aveva dato il governo).
Colpa delle tue cene.
Colpa delle tue chiacchierate e passeggiate e visite a non-congiunti.
E via coi «non ce la possiamo fare», «gli italiani sono così», «capiscono solo il bastone» ecc. ecc.
Che questi discorsi siano falsi lo dimostrano proprio gli ultimi provvedimenti, che colpiscono gli operatori più “virtuosi”: quelli di cinema, teatri, sale da concerti, e quelli di palestre, piscine e altre strutture sportive.
Avevano applicato certosinamente tutte le disposizioni. Avevano preso ogni misura necessaria e anche alcune non necessarie. Erano stati disciplinatissimi. Ma il governo li stanga lo stesso, e rischiano di andare in rovina, perché va tenuta in piedi la narrazione che «gli italiani» in generale sono irresponsabili e le colpe sono tutte loro, e vanno adottati provvedimenti puramente spettacolari, apotropaici, diversivi. Ovvero: bisogna pure far vedere che si chiude qualcosa. Qualcosa che non turbi Confindustria.
Se dici queste cose, incredibilmente, ti danno del “negazionista”, che ormai è l’accusa-passepartout per chiudere qualunque discussione prima ancora di aprirla. Accanto al negazionista “classico”, quello che nega l’esistenza della pandemia, ne esiste un altro, perfettamente speculare al primo, che nega ogni aspetto critico della gestione governativa, ignora le ricerche internazionali, e si affida a pensiero magico e talismani.
A questo punto, se proprio bisogna adeguarsi al pensiero magico, come consulente tecnico-scientifico scegliamo il re Julien di Madagascar.
Proponiamo un sacrificio umano per placare il dio Covid: gettiamo un governante in ogni vulcano attivo del Paese.
Di sicuro, male non può fare.
Questo articolo è stato pubblicato su Giap il 26 ottobre 2020