Il ministro per il Mezzogiorno Peppe Provenzano punta alla quota minima del 34% delle risorse. I leghisti gli ricordano che «la vera pandemia c’è stata soprattutto a Nord». La battaglia si giocherà in Conferenza Stato Regioni tra i governatori regionali.
La spartizione dei 209 miliardi del Recovery Fund sembra essere destinata a riaprire lo scontro tra Nord e Sud ancora prima dell’arrivo delle risorse nelle casse dello Stato. In audizione al Senato, il ministro del Sud Peppe Provenzano ha ribadito che «almeno il 34%» delle fondi del piano nazionale dovrà andare alle regioni del Mezzogiorno. Una «quota minima», ha detto, se non di più. Visto che sul tema delle infrastrutture al Sud, ad esempio, «i fabbisogni di investimento sono anche superiori».
Non si è fatta attendere la reazione dei leghisti. «La vera pandemia c’è stata soprattutto a Nord», ha ribattuto il senatore Simone Bossi. «Quando ripartiamo i fondi, ricordiamoci che la macchina si è ingessata soprattutto al Nord, non solo al Sud».
La vera battaglia sia sulla ripartizione dei fondi strutturali europei in arrivo sia su quelli del Recovery Fund, comunque, si giocherà nella Conferenza Stato Regioni. Il neoeletto governatore della Puglia Michele Emiliano lo ha già annunciato, sperando soprattutto nell’appoggio del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia. E lo stesso faranno i governatori del Nord, a partire da Luca Zaia, che ha subito posto l’autonomia come obiettivo primario dei prossimi cinque anni.
Una cosa è certa: le Regioni vogliono avere voce in capitolo nella stesura del piano. La presidente leghista dell’Umbria Donatella Tesei, coordinatrice degli Affari europei della Conferenza, chiede un «ruolo politico» degli enti regionali. «Troppo centralismo», ha detto in Parlamento.
Alla carica anche il presidente dello Svimez Adriano Giannola che – presentando in audizione alla Camera uno studio che dimostra come all’aumentare degli investimenti al Sud cresca l’intero Paese – è tornato a parlare dello “scippo” dei 60 miliardi l’anno al Mezzogiorno, contestato a dir la verità da diversi economisti. E lo stesso ha fatto il ministro Boccia, chiedendo di andare ben oltre la soglia del 34% dei fondi nella ripartizione.
La crisi ha colpito le zone produttive del Settentrione, ha ricordato Provenzano al Senato. Ma «sul piano sociale le ricadute sono state maggiori nel Mezzogiorno», con il rischio di arrivare a fine anno «con 600-800mila posti di lavoro in meno al Sud». Da qui il negoziato difficile che si è aperto a Bruxelles per prolungare fino al 2029 la riduzione del cuneo fiscale del 30% prevista nel decreto agosto per le assunzioni al Sud, anche sui contratti a termine. Provenzano la scorsa settimana ha incontrato a Bruxelles il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, la vicepresidente responsabile per la Concorrenza Margrethe Vestager, e i commissari alla Coesione, Elisa Ferreira, e al Lavoro Nicolas Smith, per rendere gli sgravi compatibili con le regole europee sugli aiuti di Stato.
Uno strumento già visto – hanno criticato in tanti – che in passato non ha funzionato. E che anzi, ha attirato le imprese al Sud solo per il minor costo del lavoro. Salvo poi fare le valigie una volta finito lo “sconto”. «Non vogliamo ripetere questo errore», ha detto Provenzano, «defiscalizzazione e investimenti non sono alternativi. C’è un gap tra Nord e Sud che dobbiamo colmare in termini di investimenti: per ogni dieci euro investiti al Sud, quattro tornano al Centro Nord come domanda di beni e servizi».
«Il problema non è solo di investimenti pubblici, ma anche di efficacia e di tempi», ha ricordato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco dal Festival dell’Economia di Trento. «I tempi degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno sono quasi il doppio rispetto al Centro Nord e le opere incompiute sono prevalentemente nel Mezzogiorno».
Provenzano, intanto, ha fatto i conti sulle risorse. Non solo il 34% dei 65 miliardi di soli sussidi (grant) del Recovery, pari ad almeno 25 miliardi che finiranno al Sud. «Sulla base delle stime di riparto e delle interlocuzioni con la Commissione», ha spiegato, «avremo complessivamente una quota di 43 miliardi di fondi strutturali europei per il ciclo 2021-2027, a cui vanno aggiunti il cofinanziamento regionale e nazionale che, parametrato al ciclo precedente, attiverebbe una quota di risorse per programmi operativi nazionali e regionali di circa 80 miliardi di risorse fresche, di cui 52 andrebbero al Mezzogiorno».
A questi si sommano buona parte dei 10 miliardi del programma React Eu e l’80% del Fondo sviluppo e coesione, «che per il prossimo ciclo 2021-27 cresce fino allo 0,6% del Pil, oltre 73,5 miliardi». Risultato: «La spesa “aggiuntiva” attivabile al Sud raggiungerebbe circa 140 miliardi di euro, oltre l’1% del Pil nazionale in media annua». Più dello 0,8% del Pil della Golden Age dell’intervento straordinario.
Ma «niente contrapposizioni territoriali. La questione della coesione territoriale non si esaurisce nella frattura tra Nord e Sud. Non esiste un Nord, ma regioni con diverse problematiche. E non esiste un unico Sud», ha precisato il ministro. «Non voglio essere trascinato in questa dinamica». Eppure, davanti a una mole di risorse del genere, i segnali che la lotta all’ultimo spiccio tra Nord e Sud del Paese si scatenerà a breve ci sono tutti.
Questo articolo è stato pubblicato su Linkiesta il 29 settembre 2020