1974, annus horribilis. Troppo lontano dal biennio rosso ’68-’69 e dalla sua creatività, troppo flebili ormai l’ottimismo e le promesse di quella stagione, con le speranze chissà se ingenue, certo pulite, sostituite sempre più spesso dalla virilità ottusa dei servizi d’ordine che armavano i sogni con gli stalini, o barotti come li chiamavano a Torino: insomma, bastoni. Ancora non si vedevano i cambiamenti politici nelle città, solo l’anno dopo le sinistre sarebbero riuscite a espugnare Milano con Aniasi, Roma con Argan, Torino con Novelli. Eppoi, per i protagonisti del romanzo Gli uccelli della tempesta. Un romanzo nel 74 di Pierluigi Sullo, la sinistra sognata era di un’altra specie. Il clima era plumbeo, segnato dalla controrivoluzione autoritaria iniziata a piazza Fontana per fermare il conflitto operaio nelle fabbriche e nelle strade e la rivolta dei giovani, degli studenti che proprio nella ribellione contro l’autoritarismo si erano fatti spontaneamente movimento. Il ’74 è l’anno del golpe bianco di Edgardo Sogno, Cavallo e Pacciardi, un sogno infranto di gollismo all’italiana in chiave anticomunista. È l’anno delle stragi nere di piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus. La polizia spara nelle strade. I movimenti hanno già iniziato a frantumarsi mentre si moltiplicano i partitini e si fa spazio un antifascismo dai toni cupi sotto la spinta dello stragismo nero e dello squadrismo impuniti. Non sono solo i gruppi extraparlamentari a organizzare la difesa, lo stesso Pci presidia le sedi, vigilanza compagni. Tanti ragazzi cominciano a scappare di casa, latitanti preventivi. Qualcuno scappa dalla vita, magari con una siringa in vena. Oppure pensando che la lotta democratica non sia più sufficiente a fermare la reazione, e nei cortei compaiono le prime pistole. 1974, il governo Rumor V segue il Rumor IV, ed è la volta del Moro IV. Persino il Festival di Sanremo vola basso e in pochi ricorderanno le prime tre canzoni classificate, “Ciao cara come stai” con Iva Zanicchi, “Questa è la mia vita” con Domenico Modugno e “Occhi rossi” con Orietta Berti. Eppure. Eppure, a guardar bene, la “nuova Italia” intravista nel biennio rosso non è stata del tutto sommersa da trame, servizi segreti “deviati” (qualcuno ne ha incrociati di “retti” negli anni Settanta?) e governi democristiani: è proprio del ’74 la straordinaria vittoria nel referendum sul divorzio che segna un’inversione di tendenza. E, fuori casa, il piccolo Vietnam sta sconfiggendo il gigante a stelle e strisce, nelle vie di Lisbona i carri armati non sparano più proiettili e bombe ma garofani rossi sulla folla in festa.
Enrico è cresciuto, ora è un giovane storico all’Università. Sono passati sei anni dalla ribellione che resta nel cuore e nei sogni degli attori del nuovo romanzo di Sullo ma nella quotidianità ora c’è l’Organizzazione – l’autore non dice quale nella costellazione rivoluzionaria, lo lascia solo intendere ad addetti e nostalgici dell’ultima parte dello scorso millennio. Con Enrico ecco di nuovo i vecchi compagni di liceo, quelli che abbiamo conosciuto in La rivoluzione dei piccoli pianeti. Un romanzo nel ‘68, ritrovati dopo il ritorno a Roma, in fuga da Milano e dal grande amore perduto, Annamaria, la più bella, che ha scelto un operaio, un’avanguardia operaia per la precisione. Il secondo atto di una trilogia letteraria (si attende il terzo su Genova 2001: ricordate il nuovo movimento contro la globalizzazione neoliberista, l’uccisione di Carlo Giuliani, la macelleria messicana alla Diaz?) è ancora una storia d’amore. Anzi, di amori, le ragazze si susseguono passandosi il testimone, ormai mature, per occuparsi senza mediazioni possibili del proprio corpo e delle proprie scelte. Il femminismo irrompe in un mondo virile, in una stagione di svolta, e di paure.
Adesso si scappa, dalla famiglia e dai suoi scheletri nell’armadio, si scappa dalle ventilate minacce di golpe. Enrico ha il suo buen retiro in val d’Orcia dove vive lo zio anarchico con la sua compagna, entrambi ex combattenti della guerra civile spagnola. In val d’Orcia c’è una bussola per aiutare Enrico a trovare la strada da imboccare in mezzo alla nebbia. Queste sono le pagine più fresche del romanzo.
Non ci sono solo i vecchi compagni di liceo, oggi nell’Organizzazione, nel viaggio dell’autore nell’annus horribilis c’è anche Italo, il camerata frustrato che nel ’68 leggeva il Mein Kampf e non si è mai pentito. Cercherà un contatto con Enrico per informarlo di un possibile colpo di stato autoritario contro estremismi di destra e, soprattutto, di sinistra. Poi scompare; anche a destra si intensifica la scelta della latitanza, spesso sostenuta dai soliti servizi segreti. Enrico, di transito nella Spagna fascista in un viaggio verso il Portogallo che dal fascismo si è da poco liberato, intravedrà Italo per un attimo mentre si rifugia in una sede franchista, e da lui riceverà un messaggio che forse annuncia la fine di una rincorsa, diventata ormai incerta e troppo pesante, del Mein Kampf. E la fine di una vita segnata fin dalle origini.
Battaglie e amori si intrecciano nella tempesta politica e ormonale. Probabilmente Enrico sta cercando di liberarsi dalle regole e dai rituali dell’Organizzazione alla ricerca di un futuro più allegramente libertario. Il lettore dovrà aspettare il terzo romanzo della trilogia di Sullo per sapere se ce la farà.