«Se Londra fa estradare Assange sarà la fine della libertà di stampa»

di Stefania Maurizi /
4 Settembre 2020 /

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È il processo che deciderà i confini della libertà di stampa nelle nostre democrazie. Lunedì, a Londra, il dibattimento sull’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks entrerà nel vivo. Il Fatto Quotidiano ha chiesto un’analisi a Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani.

Quando l’anno scorso Julian Assange è stato arrestato, lei ha scritto un editoriale per il Guardian sostenendo che ‘il modo in cui le autorità inglesi risponderanno alla richiesta di estradizione degli Usa determinerà quanto è seria la minaccia che questo processo pone alla libertà di stampa in tutto il mondo”. Un anno dopo, è chiaro come rispondono: tengono Julian Assange in un carcere di massima sicurezza da oltre un anno, con il rischio che venga infettato dal Covid. È un trattamento compatibile con la libertà di stampa?

Rimango dell’opinione che sia completamente sbagliato perseguire Assange per aver semplicemente pubblicato i documenti segreti del governo che gli ha inviato Chelsea Manning. Ed è particolarmente sbagliato usare l’Espionage Act, che non consente una difesa dei whistleblower, quindi se Assange finirà davanti a una Corte negli Stati Uniti, non potrà difendersi dicendo che ha rivelato quei file nel pubblico interesse. Il governo americano – perfino l’Amministrazione Trump – si rende conto della minaccia che pone al giornalismo l’Espionage Act usato contro la pubblicazione di documenti, quindi quello che sta cercando di fare è dipingere Julian Assange come un hacker.

Un esperto di sicurezza informatica e giornalista che non è affatto un suo sostenitore ha analizzato le accuse di hacking e ha concluso che ciò che Assange ha fatto non ha nulla a che vedere con l’hacking: ha assistito Manning nell’accedere ai computer del governo preservando l’anonimato. Noi giornalisti facciamo ogni giorno cose analoghe per proteggere le nostre fonti…

Mi rendo conto: spesso i giornalisti forniscono alle loro fonti dei sistemi per inviare informazioni in modo confidenziale. È la regola, per esempio, nel giornalismo che si occupa di sicurezza nazionale. Il governo americano sostiene che Assange sia andato oltre e abbia aiutato Manning non semplicemente a proteggere la sua identità, ma ad hackerare i computer. Non so se sia vero o meno e mi rendo conto che Assange sostiene di non averlo fatto. Se si dovesse procedere con l’estradizione, è importante che il governo inglese ponga una barriera a difesa della libertà di espressione: non deve dire sì a un’estradizione finalizzata a punire la pubblicazione di documenti segreti o l’aiuto a una fonte giornalistica per proteggerne l’identità.

Le autorità inglesi amano mostrare fair play e hanno nominato Amal Clooney come loro rappresentante per la libertà di stampa. Eppure, nel caso Assange, gli inglesi hanno detenuto arbitrariamente un giornalista per nove anni, come ha stabilito il Working Group (Unwgad) delle Nazioni Unite, e hanno completamente ignorato l’Inviato Speciale Onu contro la Tortura, Nils Melzer, che ha denunciato la tortura psicologica subita da Assange. Come fare affinché l’Inghilterra rispetti le leggi internazionali?

A questo punto la domanda importante che si trovano ad affrontare la Corte e il governo inglesi è se estradare Julian Assange o no. Sono in gioco principi fondamentali come la libertà di espressione e di stampa. Quello che succederà dipende da Londra.

Il dato di fatto più scioccante è che, dopo aver rivelato crimini di guerra e torture degli Usa, Assange non ha mai più conosciuto la libertà, mentre i criminali di guerra e i torturatori esposti da WikiLeaks non hanno passato un solo giorno in prigione. Non è un mondo alla rovescia?

Il governo americano ha un terribile record in materia di punizione dei suoi criminali di guerra. E non solo l’Amministrazione Trump: il problema risale a Obama e Bush. Ho discusso personalmente questo argomento con il presidente Obama: semplicemente non voleva pagare il prezzo politico che comportava il perseguire i torturatori di Bush. Creare questo precedente è pericoloso, perché suggerisce che quei crimini di guerra possono essere commessi di nuovo nell’impunità e indebolisce le regole internazionali, perché per giustificare il fatto che non rispondono dei loro abusi, i dittatori puntano il dito sistematicamente verso il fallimento degli Usa nel punire i loro criminali di guerra.

Se gli Usa possono estradare un giornalista ed editore per aver pubblicato documenti segreti, lei crede che altri Paesi come Arabia Saudita, Egitto, Cina, Russia, proveranno a fare lo stesso, innescando un effetto domino che distruggerà la libertà di stampa?

Tutti i governi che lei ha citato perseguono già ora i giornalisti semplicemente perché li criticano. Non facciamo finta che il governo cinese abbia bisogno di Trump per perseguire i giornalisti. Ma se lui riuscisse a imprigionare Assange, sarebbe una minaccia alla stampa Usa e occidentale.

Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 3 settembre 2020

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