Su La Stampa di Torino è comparso un articolo in cui si riportano vari commenti all’ultimo decreto economico varato dal governo, tutti improntanti a un diffuso mugugno antimeridionale. In ambienti confindustriali si qualificano alcune delle misure come prova incontrovertibile di “razzismo verso le imprese del Nord”. Si dà poi conto di una dichiarazione di Maurizio Martina in cui l’ex coordinatore nazionale del Pd è preoccupato del prevalere di “sentimenti antisettentrionali” nelle decisioni prese. Pochi giorni prima il nuovo direttore del giornale della Fiat, Massimo Giannini, aveva scritto un editoriale dall’incredibile titolo “La doppia questione settentrionale” (una sola non basta più, evidentemente).
Insomma, si è aperta ufficialmente la stagione politica del vittimismo settentrionale anche su la Stampa, stagione a cui aveva già dato il suo contributo il Corriere della Sera meravigliandosi delle (giuste) critiche agli amministratori lombardi per i disastri compiuti nella gestione della pandemia. La lagna nordista è comunque una novità rispetto al recente passato, e rappresenta evidentemente l’apertura di una fase inedita nel gruppo industriale e mediatico torinese: la Fiat ha sempre cercato di presentarsi come impresa italiana, non schiacciata sul Piemonte e su Torino, né tantomeno sul Nord, sia perché ha stabilimenti in tutt’Italia sia perché le sue auto debbono essere acquistate da un pubblico nazionale. Perciò è’ strano che a dare il là a questa campagna di mugugni sia il giornale di proprietà del gruppo imprenditoriale più agevolato nella storia economica del nostro Paese, e che ha ricevuto un grande aiuto finanziario da decisioni del governo in carica e un ulteriore aiuto all’acquisto di auto da questo decreto appena approvato. Basta, poi , fare la somma dei vari bonus previsti per imprese e cittadini per capire quanto sia inopportuno per il Nord bofonchiare.
La decisione di introdurre una agevolazione fiscale del 30% per le nuove assunzioni nel Sud d’Italia è un’ottima decisione, ed è coerente con le indicazioni del ministro per il Mezzogiorno Provenzano e con una strategia economica che punta finalmente ad accendere un altro motore dello sviluppo (nelle aree del Paese dove il Pil è da lunghissimo tempo più basso) per rendere la ripresa economica post/Covid più solida e duratura. Complimenti al premier e al ministro dell’economia che hanno accettato la proposta del loro giovane collega.
Le reazioni negative, quelle esplicite e quelle che per ora si manifestano sotto traccia in ambienti confindustriali e politici (coinvolgendo- come si è visto- anche alcuni settori del Pd del Nord, definibili a ragione “demoleghisti”) segnalano quanto la
talpa di una politica legata solo ai territori abbia scavato nel profondo, compromettendo una visione unitaria degli interessi della nazione e una dimensione nazionale dei partiti politici.
Due cose vanno evidenziate sul piano politico. La Lega di Salvini non riesce a trasformarsi in un “partito della nazione”. Ogni volta che si spinge oltre le acque del Po, viene richiamato alla primazia lombardo-veneta, all’autonomia differenziata voluta dai suoi presidenti di Regione. Le origini e la cultura politica della Lega fanno a pugni con un riconoscimento effettivo delle ragioni storiche del meridionalismo e di ogni ipotesi di un reale superamento del divario economico tra le varie parti dell’Italia. Non ce la fa proprio. Non è assolutamente in grado di sostituire al rancore antimeridionale, al rancore antistatalista, al rancore contro gli immigrati, un’altra ipotesi politica: il razzismo e la paura sono incompatibili con una visione unitaria della nazione.
Il Pd, invece, viene da una tradizione di prevalenza degli interessi nazionali su quelli territoriali, ma si sta trasformando in un partito dei territori, non della nazione. Con cambiamenti radicali della sua struttura organizzativa davvero preoccupanti. In alcune zone dominano dei satrapi, dei feudatari delle tessere, dei promotori delle loro famiglie. Più il Pd pensa di trasformarsi in partito dei territori e più si espone a queste degenerazioni. E il modo in cui si pensa di rappresentare il Sud è la cartina di tornasole di tutto ciò: sempre più in alcune aree i gruppi dirigenti del Pd somigliano agli uomini delle precedenti clientele meridionali, esposti strutturalmente all’affarismo e incapaci di porre il tema della lotta al malaffare e alle mafie come propria priorità. Non ci si oppone alla penetrazione della Lega nel Sud alleandosi con il vecchio notabilato meridionale.
Fare come la Germania: dovrebbe essere questo l’obiettivo di una classe dirigente nazionale che voglia essere all’altezza del compito che la fase storica richiede. In Italia è poco conosciuto e studiato il caso della riunificazione tedesca e delle politiche messe in atto per affrontare il profondo divario esistente nel 1989 tra la Germania dell’Ovest e quella dell’Est. Si trovano pochissimi libri e saggi in circolazione. Certo, non è stata raggiunta la totale parificazione tra l’economia dei Lander occidentali e di quelli orientali, la disoccupazione è ancora più elevata ad Est, e più di 2 milioni di persone sono emigrate dal 1989 ad oggi all’Ovest, ma la “convergenza” fra le due parti della nazione tedesca è in atto, e in meno di trenta anni sono stati fatti dei passi avanti impressionanti rispetto alla situazione di partenza. Si tratta, dunque, di un caso interessantissimo di tendenziale successo delle politiche di convergenza e di riduzione dei divari. Non lo si studia semplicemente perché va contro tutti pregiudizi alimentanti in questi anni dalla Lega, da vari leader d’opinione e anche dalla stampa e dalla televisione.
Il caso della Germania, infatti, dimostra che non è vero affatto che i soldi spesi nell’area più arretrata di una nazione sviluppata sono uno spreco, un elemento antieconomico, una perdita secca per lo Stato e per i territori più ricchi. È vero esattamente il contrario: investire nella parte meno sviluppata è un affare per l’intera nazione. Può sembrare un sacrificio in un primo momento, poi si trasforma
in una straordinaria opportunità. La Germania di oggi è di gran lunga la nazione europea più sviluppata, economicamente più ricca di quanto lo fosse prima della riunificazione e prima dei grandi investimenti nell’Est. Recuperando la parte più arretrata, la ricchezza investita si è trasformata in ricchezza generale. La Germania di oggi deve quello che rappresenta nell’economia mondiale alle scelte del 1989. L’Italia diventerebbe la prima nazione d’Europa se recuperasse il suo Sud. Ma come si fa a ragionare di futuro quando una misura necessaria come l’agevolazione per le assunzioni nel Mezzogiorno viene considerata come un danno per le imprese settentrionali? In Italia abbiamo un assoluto bisogno di Helmut Kohl del Nord.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Mattino l’11 agosto 2020