Sono stati anni difficili ma entusiasmanti. Ridisegnare un museo è un’impresa complessa ma affascinante. L’obiettivo che mi sono prefissata è offrire un museo che racconti delle storie: a Palazzo Barberini stiamo completando il riallestimento delle sale per dare al percorso un nuovo respiro e un rinnovato equilibrio. I visitatori potranno finalmente apprezzarne le opere e gli spazi in tutta la loro ampiezza, da un capo all’altro, dallo scalone di Bernini a quello di Borromini. Abbiamo riallestito le 10 nuove sale dell’ala sud, restituite quattro anni fa dal Ministero della Difesa che le aveva in gestione da più di ottant’anni, dedicandole agli artisti della fine del Seicento e a quelli del Settecento. Lo scorso dicembre abbiamo inaugurato il riallestimento delle 10 sale dell’Ala Nord dedicate al Seicento. Il prossimo autunno proseguiranno i lavori che interesseranno le sale delle opere cinquecentesche; tutto si concluderà infine nel 2021, quando verrà riallestito anche il piano terra. Si tratta del frutto di nuovo impianto concettuale del Museo a cui penso sin dal mio insediamento, nel dicembre 2016, e che focalizza a Palazzo Barberini una struttura espositiva narrativa dal Medioevo al Settecento, cercando di valorizzare anche la storia del palazzo e dei Barberini. La Galleria Corsini, unica quadreria settecentesca con allestimento originale, deve rimanere integra e l’abbiamo valorizzata con delle mostre che esaltano la collezione stessa. Mi riferisco a esempio all’eccezionale esposizione della scorsa primavera su Robert Mapplethorpe, ispirata alla pratica collezionistica dell’artista, dove abbiamo messo in luce aspetti del suo lavoro che risuonano in modo particolare con la Galleria Corsini, intesa come spazio — fisico e concettuale — del collezionismo. Uno dei nodi principali e più importanti è infatti il dialogo, l’intreccio tra passato e presente, ben rappresentato dall’esposizione di Parade di Picasso nel 2017 e la rassegna Eco e Narciso nel 2018. In generale tutte le mostre che abbiamo organizzato finora sono rivolte alla valorizzazione delle nostre straordinarie collezioni e della storia dei due palazzi e dei loro proprietari, come quelle ora in corso, su Orazio Borgianni a Palazzo Barberini e di Rembrandt a Galleria Corsini.
Veniamo alla situazione attuale: Barberini e Corsini hanno riaperto al pubblico l’11 giugno, dopo più di tre mesi di chiusura. Di cosa vi siete dovuti occupare, e come avete lavorato in questo periodo? Come state lavorando ora?
Non abbiamo mai smesso di lavorare e abbiamo riaperto con grande gioia! Per farlo abbiamo dovuto prendere decisioni, come ad esempio quella di adottare un orario di apertura relativamente ridotto (le due sedi sono aperte dal giovedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle 18.00), con l’intenzione di procedere in modo flessibile. Il doppio obiettivo alla base di questa scelta è stato quello di tutelare i lavoratori e di contribuire, per quello che possiamo, a ridurre l’impatto sulla mobilità urbana negli orari di punta.
Abbiamo preso tutte le precauzioni necessarie e adottato ogni dispositivo previsto per accogliere i nostri visitatori in piena sicurezza. Abbiamo creato un percorso unidirezionale, a Palazzo Barberini con distinzione di punto di ingresso e di uscita, alla Galleria Corsini con opportuni sfalsamenti. Il costo del biglietto è rimasto invariato (12 euro intero, 2 euro ridotto), ma è raddoppiato il periodo di validità in cui potrà essere utilizzato in entrambe le sedi (20 giorni anziché 10).
Le caratteristiche intrinseche delle Gallerie Nazionali, ma anche le scelte della sua direzione, già prima del Covid-19 andavano in controtendenza rispetto al modello di un turismo di massa un po’ inconsapevole che forse sarà ora superato, almeno momentaneamente. In generale, in questo periodo si è osservata una riappropriazione, da parte dei romani e degli italiani, di quei luoghi dai quali i grandi numeri dell’industria del turismo li avevano fatti sentire esclusi. Cosa si può leggere in questo avvicinamento? Sarà possibile trattenere qualcosa di questa esperienza?
Durante il lockdown musei e luoghi di cultura hanno promosso la loro immagine tramite i social media e percorsi di visita virtuali. Cosa pensa della fruizione dell’arte tramite il mezzo digitale?
Durante il periodo di chiusura la fruizione online è stata l’unica possibile, ma anche in questo caso siamo partiti da una condizione di vantaggio, quella di aver sempre investito e creduto nella comunicazione digitale. Abbiamo aggiornato e intensificato l’attività sui nostri canali social, ma abbiamo preferito rimanere coerenti al nostro modo di raccontare e interagire con il nostro pubblico, piuttosto che stravolgere contenuti e forma della comunicazione. Ogni scelta deriva dall’obiettivo di garantire la massima qualità di ciò che proponiamo, senza dover ricorrere ad effetti speciali o a formule, che se non progettate con la dovuta cura, rischiano nel migliore dei casi di annoiare, nel peggiore di allontanare, chi ne fruisce. Il pubblico online ha la stessa dignità e gli stessi diritti di accessibilità al Patrimonio di quello che visita fisicamente il nostro museo e non ha oggi più alcun senso considerare come alternativi i due sistemi di fruizione, che non possono che trarre un enorme vantaggio dalla reciproca contaminazione e integrazione. L’arte può essere fruita dal vivo o dietro uno schermo, non c’è conflitto se l’obiettivo è valorizzare e diffondere la conoscenza, stimolare la curiosità, favorire l’accessibilità al patrimonio.