A marzo l’azienda californiana aveva annunciato l’istituzione di due fondi milionari per sostenere “host” e “superhost” colpiti da Covid-19. In realtà nel nostro Paese la succursale del colosso sostiene di non avere a disposizione dati disaggregati. E se è incerto l’ammontare del contributo, lo schema “irlandese” in materia fiscale è confermato dall’ultimo bilancio
Airbnb non comunica i dati relativi ai presunti aiuti che il colosso degli affitti brevi online avrebbe assicurato agli host e superhost italiani colpiti da Covid-19. Alla richiesta di Altreconomia di specificare quanto sia stato erogato in Italia da due fondi annunciati a marzo dall’azienda californiana, la succursale con sede a Milano non ha fornito riscontri, sostenendo che “non sono disponibili dati disaggregati per Paese”. Il primo fondo sarebbe dotato di 250 milioni di dollari per gli host che si sono visti cancellare le prenotazioni a causa del Coronavirus, il secondo ammonterebbe a 17 milioni di dollari per i superhost e gli host di esperienze che “hanno subito significative perdite finanziarie”. L’azienda fa sapere che le risorse sarebbero state distribuite principalmente al di fuori degli Stati Uniti e che l’importo massimo rilasciato al singolo sarebbe stato di 5mila dollari. Su quanti in Italia abbiano richiesto e poi ricevuto il contributo, nulla. Sull’ammontare totale del sostegno che sarebbe arrivato nel Paese, nulla. Nè l’azienda ha chiarito quanti host e superhost con più di un annuncio pubblicato sulla piattaforma sarebbero rientrati nel programma di sostegno.
Nel frattempo, lo scorso maggio, in piena pandemia, è stato approvato il bilancio di Airbnb Italia, società a responsabilità limitata controllata dalla Airbnb Holding Llc che è domiciliata nel Delaware, Stato USA a fiscalità agevolata. Secondo il bilancio della filiale italiana, che ha un capitale sociale di appena 10mila euro, nel 2019 il fatturato è stato di 8,5 milioni di euro con un utile netto di 3,2 milioni, dopo avere versato imposte per 1,2 milioni di euro. Questo in un Paese che, secondo la stessa azienda, nel 2019 rappresentava il terzo mercato al mondo per il numero di annunci pubblicati sulla piattaforma: erano 400mila e collocavano l’Italia dopo gli Stati Uniti e la Francia.
Il terzo mercato chiama in causa ancora l’Irlanda. Quando nel nostro Paese si effettua una prenotazione sulla piattaforma, infatti, Airbnb specifica che a occuparsi della transazione saranno Airbnb Payments Uk Limited, società con sede nel Regno Unito, e Airbnb Ireland Unlimited Company con sede e Dublino, altro snodo a fiscalità agevolata. Sono cifre importanti su scala europea. Nel 2018 il fatturato della Airbnb Ireland UC è stato di 2,4 miliardi di dollari con un utile di 46,4 milioni di dollari. La società capogruppo è la Airbnb Inc., fondata nel 2008 e anch’essa domiciliata nel Delaware.
Torniamo agli aiuti annunciati. Sulla provenienza di una parte dei finanziamenti per host e superhost colpiti da Covid-19, Airbnb ha affermato che il fondo da 17 milioni di dollari è stato sostenuto dai fondatori dell’azienda per “nove milioni di dollari”, uniti ai “sette milioni di dollari degli investitori” e a un milione di dollari “donato di tasca propria dai dipendenti”. Che, ha specificato ad Altreconomia Airbnb Italia, avrebbero “volontariamente deciso di donare dei crediti di viaggio, normalmente messi a disposizione dall’azienda come benefit, per un valore di 500 dollari a dipendente”. Sorprendente dato che a maggio l’amministratore delegato della compagnia, Brian Chesky, ha annunciato il licenziamento di 1.900 persone, il 25% dei suoi lavoratori.
Nei mesi del lockdown, fanno sapere poi da Airbnb Italia, la tendenza sarebbe stata quella di bloccare l’annuncio invece che scegliere di ritirare la stanza o l’appartamento dalla piattaforma. E, aggiungono, un trend consolidato negli ultimi anni è stato optare per affitti medio-lunghi della durata di più settimane. “Nonostante la vocazione prevalentemente turistica dei nostri ospiti, avevamo già visto crescere negli ultimi anni in maniera significativa questo tipo di soggiorni. L’80% degli host accetta già prenotazioni superiori ai 30 giorni e il 50% degli annunci prevede una tariffa scontata sul lungo periodo”, afferma Airbnb Italia.
Quella di un numero consistente di host che affitta per un tempo superiore al fine settimana è una delle critiche mosse da chi contesta il modello Airbnb, oltre allo schema fiscale “agevolato”. Critiche che sottolineano come la piattaforma abbia perso il carattere di disintermediazione con cui era stata fondata nel 2007. Oggi chi cerca un alloggio, non è detto viva un’esperienza diretta con il proprietario poiché le offerte sono spesso di interi appartamenti anche riconducibili a multiproprietari e realtà di impresa, come le società che prendono in gestione un immobile da un privato e lo usano per affitti a breve termine (property management). Inoltre, chi sottolinea le criticità del modello Airbnb mette in evidenza come la forma degli affitti brevi gestiti dalle piattaforme online stia conducendo a processi di turistificazione e trasformazione dei centri urbani. Non sarebbe allora un caso che nei mesi del lockdown si sia imposto uno scenario che ha visto vuote le case nei centri storici delle principali città italiane a vocazione turistica.
Agli appartamenti privi di inquilini si è contrapposta una crisi abitativa, acuita dalla pandemia, che ha colpito le fasce più fragili della popolazione. Secondo i dati raccolti da Nomisma, società di consulenze e ricerche di mercato, presentati a maggio nell’indagine annuale sulla famiglia e la casa, per effetto del lockdown una famiglia su quattro ha dimostrato difficoltà nel pagamento dell’affitto. Negli ultimi dodici mesi, la quota dei nuclei familiari che ha accumulato ritardi nel pagamento è passata dal 9,6% prima del Covid-19 al 24% durante le misure di contenimento. La situazione sarebbe confermata anche dalle analisi per i prossimi dodici mesi: più del 40% delle famiglie prevede che avrà difficoltà a rispettare il pagamento del canone di locazione.
La portata della situazione la danno anche le richieste per il bonus affitti (un contributo erogato dai Comuni, previsto dal decreto “Cura Italia” e dal decreto “Rilancio”, per le famiglie che a causa della pandemia non sono riuscite a pagare il canone di locazione, ndr) presentate negli ultimi tre mesi. Il Sunia, il Sindacato Unitario Nazione Inquilini e Assegnatari, ha calcolato che al Dipartimento Patrimonio e Politiche Abitative del Comune di Roma sarebbero state presentate più di 49mila domande, ora in esame. A Milano, secondo i dati avuti da Altreconomia, a maggio le domande per il bonus affitti presentate a MilanoAbitare, l’agenzia sociale per la locazione convenzionata gestita dalla Fondazione Welfare Ambrosiano, sono state 22mila. Il contributo è di 1.500 euro una tantum, erogato al proprietario dell’immobile direttamente da MilanoAbitare. Saranno accettate solo duemila richieste.
Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 7 luglio 2020