di Jamie Sten Weiner
Se la pandemia dovesse diffondersi si allenterebbe il blocco che stringe da anni due milioni di palestinesi? I precedenti e le condanne internazionali a Israele sono molto preoccupanti. Ci troveremmo di fronte all’ennesimo massacro
La pandemia Covid-19 ha messo a dura prova anche le capacità dei paesi più ricchi. Per i due milioni di abitanti di Gaza – la maggior parte dei quali sono bambini di età inferiore ai diciotto anni – un focolaio comporterebbe una catastrofe.
La stretta fascia costiera è tra le aree più densamente popolate del pianeta, il che significa che un «efficace autoisolamento» da quelle parti sia «quasi impossibile». Tredici anni di blocco israeliano, aggravati da tre assalti militari su larga scala, hanno portato le sue infrastrutture e il sistema sanitario «sull’orlo del collasso».
Ci sono solo ottantasette letti in terapia intensiva con ventilatori in tutta Gaza, molti dei quali sono già utilizzati. Scorte che non bastano per un mese di una percentuale significativa di farmaci essenziali e la capacità di test è estremamente limitata. Al 12 aprile risultavano tredici casi di Coronavirus. Se gli sforzi di contenimento non reggono, i funzionari umanitari prevedono «un disastro di proporzioni gigantesche», un «punto di svolta», uno «scenario da incubo» che comporta «indicibili sofferenze».
Per Israele, la prospettiva del contagio a Gaza evoca uno «scenario da incubo» a sé stante: «masse di palestinesi che si precipitano alla barriera di frontiera per salvarsi dalla malattia che infesta l’enclave assediata». Di fronte a «un diluvio di persone alla barriera di confine», Israele avrebbe cercato di «fermare i tentativi di infiltrazione». Ma in un articolo per il quotidiano israeliano Yedioth Aharonoth, il corrispondente militare veterano Alex Fishman ha descritto il dilemma politico che ciò porrebbe:
Non si tratterebbe di manifestanti violenti, ma di civili spaventati e indifesi, molti dei quali potrebbero essere infetti e la risposta militare dovrà essere non violenta perché Israele non può sostenere di avere legittimità di aprire il fuoco su civili malati.
Sfortunatamente, i precedenti fanno dubitare di questo giudizio. Quando piccoli gruppi si sono riuniti lungo il perimetro di Gaza nel 2015 per protestare contro il blocco di Israele, i giornalisti israeliani hanno dato conto della possibilità che «decine di migliaia di palestinesi disarmati che marciano verso la barriera di confine siano la causa di molti degli incubi della leadership israeliana». Quindi, anche ora, gli analisti si domandano: «cosa accadrebbe se migliaia di palestinesi marciassero sul recinto, lo abbattessero e continuassero la loro marcia in Israele? Israele risponderà sparando e ptovocando un massacro?».
A questa domanda è stata già data risposta nel 2018, poiché Israele ha reagito a manifestazioni per la gran parte non violente contro il blocco «prendendo di mira sistematicamente i civili» con i fucili di precisione. Una commissione d’inchiesta delle Nazioni unite ha scoperto che le forze israeliane hanno sparato intenzionalmente a bambini, operatori sanitari, giornalisti e persone affette da disabilità. Questi attacchi armati sono stati fortemente condannati dalla comunità internazionale, ma non sono state applicate sanzioni.
Israele, con l’aiuto dei suoi sostenitori all’estero (inclusi i media mainstream), ha diluito l’indignazione popolare con la duplice strategia di rapprsentare le manifestazioni come violente mentre indirizzava i cecchini a paralizzare e mutilare invece che uccidere apertamente migliaia di manifestanti disarmati. Solo nei primi due mesi di proteste, almeno 110 manifestanti sono stati uccisi e oltre 3.600 feriti da proiettili. («Ho colpito sette-otto ginocchia in un giorno», ha ricordato con orgoglio un tiratore scelto). È tutt’altro che sicuro, quindi, che Israele eviterebbe di «aprire il fuoco su civili malati» in caso questo dovesse succedere.
Ma per amor di discussione, supponiamo per assurdo con Fishman che in caso di diffusione del Coronavirus a Gaza la minaccia della censura internazionale dovesse costringere Israele a limitarsi a misure «nonviolente» per impedire agli abitanti di Gaza di attraversare il recinto perimetrale. Per inciso, questo scenario presume l’esistenza di misure efficaci «nonviolente» per prevenire le infiltrazioni, il che evidenzierebbe la beffa della giustificazione di Israele per il ricorso alla forza del 2018. In ogni caso, cosa faremmo di fronte a una scelta del genere? Se gli appelli internazionali a porre fine al blocco di Gaza venissero ignorate e il blocco di Israele restasse in vigore, Israele avrebbe il diritto di ostacolare gli abitanti di Gaza in fuga da un’emergenza Covid-19?
Va tenuto conto del fatto che se Gaza è mal equipaggiata per far fronte a un’epidemia, ciò è dovuto principalmente al fatto che il blocco di Israele ha distrutto la sua infrastruttura essenziale e portato al collasso l’economia; che il diritto internazionale e le autorità per i diritti umani, incluso il Comitato Internazionale della Croce Rossa, hanno unanimemente definito il blocco di Israele come «rappresaglia» illegale; che Israele, in quanto potenza occupante a Gaza, avrebbe il dovere legale di provvedere e garantire al benessere degli abitanti di Gaza; e, infine, che Israele ha trasformato Gaza in quello che funzionari sia israeliani che internazionali definiscono un «campo di prigionia», in un momento in cui le organizzazioni per i diritti umani fanno appello in tutto il mondo al rilascio di prigionieri per prevenire l’infezione Israele ha reso effettive queste misure nelle sue carceri.
Senz’altro si può ragionare sul fatto che se anche Israele non fosse responsabile della situazione a Gaza, avrebbe comunque l’obbligo umanitario di risolvere la crisi sanitaria, nella misura in cui le sue capacità lo consentissero. Ma visto che gli abitanti di Gaza stanno affrontando una catastrofe senza precedenti a causa delle politiche criminali di Israele, la responsabilità di Israele è qualitativamente maggiore. Alla luce di queste circostanze, si può dubitare che Israele sarebbe in grave violazione dei suoi obblighi legali e morali se dovesse cercare con qualsiasi mezzo di impedire agli abitanti di Gaza di fuggire «dall’imperversare del contagio all’interno dell’enclave assediata»?
Se accettata, tuttavia, questa conclusione rende evidente la deformazione della reazione alla violenta repressione israeliana delle proteste di massa a Gaza dal marzo 2018. Israele ha sostenuto di essersi limitato a dispiegare la forza strettamente necessaria per impedire ai manifestanti di violare il recinto. I critici israeliani hanno accusato, al contrario, che il suo uso della forza fosse «sproporzionato» o «eccessivo» rispetto a questo obiettivo, e hanno affermato anche che Israele prendendo di mira intenzionalmente i civili ha violato il principio di discernimento. Queste critiche legittimavano implicitamente l’uso di una forza «proporzionata», «moderata» e «discriminante» contro i manifestanti. Tutte le parti in causa di questa controversia prendevano le mosse da una premessa comune: che Israele avesse il diritto di usare la forza per impedire agli abitanti di Gaza di attraversare la barriera di confine. La disputa si riduce a: fino a che punto? Ma è come dire che Israele ha il diritto di imporre con la forza ai due milioni di persone di Gaza di rimanere in un «campo di prigionia» infestato dal Covid-19.
Israele ha giustificato il ricorso alla forza a Gaza dal marzo 2018 sostenendo anche che i manifestanti rappresentavano una minaccia per i suoi soldati di stanza lungo il perimetro. I critici hanno contestato l’esistenza di una minaccia sufficiente, ma hanno accettato la premessa secondo cui se i manifestanti avessero messo in pericolo imminente la vita di un cecchino, a Israele sarebbe stato permesso di prenderli di mira. Ma è come dire che, se Israele confina illegalmente i due milioni di abitanti di Gaza in una trappola mortale e sigilla le uscite mentre soccombono in massa al Covid-19, e quindi i palestinesi utilizzano qualunque arma rudimentale a loro disposizione in un tentativo disperato di ottenere soccorso, oppure affrontano fisicamente i propri carcerieri in uno sforzo estremo di sfondare il cordone che li sta strangolando, Israele avrebbe il diritto di prenderli di mira per «autodifesa».
Non si può sostenere che un’emergenza Covid-19 creerebbe una situazione diversa dal punto di vista legale, perché Gaza sta già vivendo una «crisi umanitaria cronica»: in effetti, questo disastro in corso è la ragione per cui Gaza è così vulnerabile a un’epidemia di Covid-19. Per una macabra ironia, un tweet da Gaza diventato virale su Internet ha chiesto: «Caro mondo, come ci si sente in quarantena? Cordialmente, Gaza, assediata già da 14 anni».
Già nel 2018, il tasso di disoccupazione di Gaza era probabilmente il più alto del mondo, la maggior parte della popolazione dipendeva dagli aiuti alimentari, il 39% delle famiglie viveva in condizioni di povertà, un bambino su dieci era affetto da malnutrizione cronica e il 96% dell’acqua del rubinetto era contaminata. Le Nazioni unite già nel 2015 avevano sostenuto che Gaza sarebbe potuta diventare «invivibile» già dal 2020. L’intelligence militare israeliana ha concordato, mentre le Nazioni unite successivamente hanno sostenuto che quella proiezione era da considerarsi troppo ottimista.
La domanda degli abitanti di Gaza che hanno rischiato la vita e gli arti dal marzo 2018 per rompere la morsa di Israele e quella posta dalla prospettiva di un esodo di massa da un’epidemia di Coronavirus, sono quindi analoghe: Israele ha il diritto di trattenere la popolazione civile la cui terra occupa illegalmente e che blocca illegalmente in uno spazio che ha reso invivibile?
Questo articolo è stato pubblicato da Jacobin Italia il 19 aprile 2020
Traduzione di Giuliano Santoro