di Camilla Desideri
A marzo, quando il governo dell’Argentina ha decretato l’isolamento e il distanziamento sociale per affrontare l’emergenza sanitaria provocata dal nuovo coronavirus, 27 persone sono morte a causa del covid-19. Nello stesso periodo 27 donne sono state uccise, sette solo nella settimana dopo l’imposizione della quarantena obbligatoria. Molte di loro avevano già chiesto aiuto.
Le telefonate al 144, la linea nazionale istituita per raccogliere le denunce di violenze domestiche e dare supporto alle donne che subiscono abusi, sono più che raddoppiate e il personale che inoltra le chiamate alle province e ai vari enti locali non basta.
“Inoltre”, spiega un’operatrice della linea a Página 12 , “il servizio funziona con la premessa che chi chiama possa farlo in solitudine. Il fatto che le questure e i tribunali lavorino a ritmo ridotto complica ancora di più la situazione. Per non parlare delle colleghe che hanno rinunciato a lavorare per la quarantena: siamo di meno proprio in questo momento difficile”.
Stratagemmi e domande
Per affrontare questa situazione, il ministero per le donne, le politiche di genere e la diversità sessuale il 31 marzo ha attivato un numero a cui è possibile mandare messaggi di testo e vocali tramite WhatsApp. Il numero in poche ore è stato preso d’assalto. Dal 1 aprile nel paese è attivo il programma barbijo rojo, mascherina rossa: le donne che non possono chiamare da casa, potranno rivolgersi alla farmacia più vicina comprando una mascherina rossa, così il personale capirà che stanno chiedendo aiuto.
L’iniziativa, simile a una già attiva in Spagna e coordinata insieme alla Confederazione farmaceutica argentina (Cofa), è stata criticata da gran parte delle organizzazioni femministe soprattutto perché molte farmacie non associate alla Cofa non ne erano a conoscenza.
Queste sono alcune misure che l’Argentina sta adottando per sostenere chi è esposto alla violenza domestica, ma sul tavolo rimangono le domande e i problemi di sempre: semplificare le denunce sarà risolutivo? Bisogna ricordare, infatti, quanto sia lungo e tortuoso l’iter per arrivare alla condanna del molestatore o alla protezione della donna. Inoltre, chi raccoglie e analizza la denuncia? Quanto sono competenti e adeguati gli interventi della polizia e poi di un giudice?
Migliaia di donne hanno risposto all’appello delle associazioni contro la violenza di genere partecipando alle proteste dai balconi.
Intanto il movimento Ni una menos chiede che l’emergenza sanitaria non faccia passare in secondo piano la violenza patriarcale e i rischi connessi a un isolamento prolungato. I collettivi femministi sono tornati a farsi sentire il 28 marzo, quando a Monte Chingolo, alla periferia meridionale di Buenos Aires, sono stati ritrovati i corpi di Cristina Iglesias e di sua figlia Ada, di sette anni. Di loro non si sapeva niente da tre giorni. Finalmente la polizia, con l’aiuto dei cani, ha raggiunto una buca profonda scavata nel cortile della loro abitazione: i corpi erano uno sull’altro, avvolti in un lenzuolo, con ferite profonde al collo. L’uomo che da appena due mesi viveva con Cristina Iglesias e la figlia è stato fermato poche ore dopo dalle forze dell’ordine e ha confessato il duplice omicidio.
È evidente che l’isolamento obbligatorio in casa aumenta i rischi per le donne, i bambini, le bambine e gli adolescenti esposti a situazioni di violenza e obbligati a dividere lo stesso spazio con chi abusa di loro. Le sere del 29 e del 30 marzo migliaia di donne nella capitale argentina hanno risposto all’appello delle associazioni femministe, con un ruidazo, una protesta rumorosa contro la violenza di genere. Si sono affacciate alle finestre e ai balconi, sventolando le bandiere e i fazzoletti verdi simbolo della battaglia per la depenalizzazione dell’aborto, e facendo rumore con mestoli, posate e altri oggetti a disposizione per far sentire la loro voce e la loro rabbia.
Questo articolo è stato pubblicato su Internazionale il 10 aprile 2020
Carol Smiljan, NurPhoto via Getty Images