Progetto Pozzati: un lascito per la città di Bologna

25 Febbraio 2020 /

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di Silvia Napoli
Sono principalmente donne le artefici, mai termine fu più appropriato, di un progetto culturale, certo, ma in qualche modo devozionale, intorno alla figura artistica e umana, molto umana, del nostro Concetto Pozzati, scomparso nell’estate di tre anni orsono. Pittore insigne, figlio di Mario, pittore a sua volta, nipote di Sepo, notissimo cartellonista e scultore. Di fatto, però, anche cestista di vaglia, docente di indiscusso carisma pedagogico, nonché organizzatore e attivista culturale, amministratore pubblico investito di autentica passione identitaria, per tre anni, tanti durò il suo mandato da Assessore alla Cultura bolognese nella prima giunta Vitali.
Un uomo assolutamente dedicato alla sua arte, eppure assolutamente in sintonia con gli affetti, il mondo, gli altri, la politica, la musica. In rapporto dialettico e viscerale con la città, che amava profondamente e non sempre tuttavia approvava nel suo spirito dei tempi, nei suoi equilibrismi e che a sua volta lo ha amato con la nonchalance che si riserva solitamente ai figli più affidabili e dotati, quelli su cui si può contare Un artista jazzy, pregno degli umori della entusiasmante e vorticosa stagione dei sessanta-settanta, tanto rimpianta per la sua freschezza, ma non certo scevra da conflitti e contraddizioni.
La prima donna che incontriamo naturalmente riferendoci alla biografia del nostro è senza dubbio la compagna di una vita, Roberta, artista ella stessa, appartata magari nella res publica e nella vis polemica, ma non certo un passo indietro, rispetto all’uomo e al pittore, purtroppo prematuramente scomparsa nel 2007. Il dovere di rendere generosamente accessibile alla comunità tutta oltre il compianto, il ricco patrimonio ideale prima ancora che tangibile, di questa coppia d’eccezione, eppure cosi prossima nella saldezza degli affetti familiari, muove le intenzioni e le azioni precipuamente di sua figlia Maura.
Maura che con il suo costante impegno pubblico e pedagogico, a sua volta sembra aver ben assimilata l’implicita lezione di vita a non mettere affatto l’arte da parte, ma casomai a spartirla e non solo con i gli addetti ai lavori, ma soprattutto con i cittadini e i giovani, perché la memoria riguarda soprattutto il futuro, inizia un paio di anni fa con una celebrazione in Accademia, a tutta prima apparentemente estemporanea, quale il compleanno di Pozzati, a lavorare assiduamente al disegno di ciò che ora si delinea come qualcosa di più di un progetto circoscritto, per quanto complesso. Stiamo infatti parlando della responsabilità progettuale di contesto su una legacy che viene trasmessa alla città eppoi ritrasmessa molto oltre, evitando vari scogli quali il provincialismo ed anche l’insidia di d situazioni imbarazzanti per vari aspetti assai frequenti nelle vicende ereditarie degli artisti.
Per compiere un lavoro efficace di rilettura, adatto ai tempi, adatto ai mutamenti, bisogna prima cercare e scoprire, poi ordinare, selezionare, valorizzare, infine esprimere, esporre, narrare e insieme catalogare, ritradurre, in idiomi e linguaggi, ri narrare in maniera accessibile.
Un lavoro che lenisce il distacco e la distanza, il rimpianto e la nostalgia ed unisce generazioni diverse. Cosi, si cominciano a mettere mattoni:intanto il dono, atto che ha sempre valenza e di trasmissione e di scambio e di pacificazione. Dunque la biblioteca del maestro, acquisita dalla biblioteca dell’istituzione museale per eccellenza sul contemporaneo, ovvero Mambo, che è, nei fatti, anche un luogo di Pozzati.
Certo, perché nella sua veste di pubblico amministratore Pozzati principio il ridisegnarsi di un certo polo cittadino della cosiddetta Salara, come luogo connotato per spazi abitati dalle Arti in sinergia. Intanto il talentuoso film maker Stefano Massari, già nella crew del Teatro delle Ariette, concepisce un bellissimo docu che in circa un’ora si snoda come auto narrazione dell’artista visto e accarezzato nei luoghi dei suoi studi, del suo magistero di insegnante. Un quadrilatero centrale percorribile con calma e monotonia quasi ogni giorno a piedi, in veste di pensatore peripatetico alla Morandi, tuttavia in versione socievole e politicizzata o, invece, da attraversare a mo di saetta in bicicletta festante con i ponpon coloratissimi, vagamente di gusto tibetano, come accadeva a Roberta, nume tutelare e compagna del nostro.
Ancora Maura, in accordo con il fratello Jacopo, concepisce un lungo piano di archiviazione dei materiali di scrittura e appunti e disegni tra pubblico e privato del padre, da mettere democraticamente in rete per i tanti che vorranno studiarli e riscoprirli. Si pensa di farne anche in parte dei volumi tradotti in lingua inglese, per quei mercati internazionali, cosmopoliti, di cui in fondo Pozzati che si era specializzato anche all’estero e che con tanti che stavano là nell’oltreoceano, corrispondeva assiduamente, non ne era semplicemente conoscitore e divulgatore, ma un vero alfiere.
Tutto questo si accompagna dunque ad una riscoperta e rimessa a sistema e valore del periodo propriamente pop del maestro, quello delle belle tele anni 60 cosi piene di vita, di tinte primarie, di ironia dissacrante come voleva lo spirito di quei tempi, di critica, messa in discussione, ma non già di furia iconoclasta, di cupio dissolvi. Mio padre, dice Maura, è sempre stato insofferente dei compromessi, estremamente propenso a valorizzare i giovani e il buono che ovunque si produce, quindi spesso in polemica con il mainstream consolidato del cercare sempre altrove, eppure, sempre uomo delle istituzioni fino in fondo e in senso alto. Al servizio di un’idea di comunità, forse persino anticipatoria.
Questa ricca messe di intuizioni da conservare, ampliare, comunicare, ha il suo fulcro anche legale nella famiglia e non si intende pertanto fondare un board di esperti ed esegeti bolognesi seppure armati delle migliori intenzioni, perché si entrerebbe subito cosi in un discorso celebrativo che non rappresenterebbe affatto l’artista e, va da sé l’uomo. Ci sarà invece una presentazione dei quadri, delle tele più significative della fase pop, apertamente nel solco del cosmopolitismo culturale di cui sopra e dell’archiviazione in essere, a marzo a Milano in quella mitica Brera che lo vide giovanissimo docente e nell’ambito di una prestigiosissima kermesse di arte contemporanea.
A Bologna, rispetto alla resa pubblica tangibile del progetto, dobbiamo riferirci ad altre due figure femminili che hanno creato un percorso sulla base di alcune intuizioni forti. Maura Pozzati crede profondamente nelle risorse del genio femminile e oserei dire in questo specifico caso a dispetto della prima impressione che potrebbe apparentemente focalizzarsi sull’aspetto di cura e valorizzazione emergente dall’insieme delle iniziative, il fulcro del tutto sia invece in una grande capacità di ricerca, visione ed esplorazione messa in atto da Angela Malfitano, attrice, regista e dramaturg e Elena Digioia, ad un passo dall’assegnazione del premio UBU nella sezione organizzativa, titolare con l’associazione Liberty di una serie di progetti di curatela teatrale e performativa che hanno il loro core, nella bellissima stagione Agorà spalmata su 8 comuni di Pianura Est.
Si è dunque costituita per questa occasione una bellissima e autentica sinergia tra un’artista come Angela, centrata su una precisa vocazione pedagogica che fa della relazione allievo-maestro il perno creativo e Elena, una figura che ormai travalica il ruolo sia di Direttore artistico che di organizzatore, per assumere attraverso la vicinanza profonda, il lavoro quasi di supervisione ed editing, la committenza di lavori pensati in specifico sotto ogni punto di vista una fisionomia che è anche produttiva e distributiva.
Uno sbocco in fondo naturale per una donna di grande competenza ed esperienza come Digioia e tuttavia nient’affatto scontato nella pur sempre difficoltosa situazione teatrale italiana. Se oltre ai saperi non ci fossero passione e determinazione in una certa ispirata tipologia di operatori, sarebbe molto difficile riuscire a far vedere lavori interessanti e freschi che rischiano di non poter evolvere e maturare senza un confronto con il pubblico. Sarebbe difficile proporre operazioni spesso di difficile etichettatura o che escono dal mainstream.
In questo caso, si sono felicemente incontrate varie forme di controllato azzardo che han dato vita nel Dicembre del compleanno del maestro, ad un rincorrersi di rispecchiamenti biografici interpretati da tre giovani, vibranti e dinamici attori per la regia di Malfitano all’interno di Mambo, nel fondo bibliotecario donato dalla famiglia. Una sorta di spiazzante ping pong emotivo, di gioco di sguardi tra l’autobiografismo e la visione dei numerosi amici e compagni di strada, nonché affettuosi pen friend di Pozzati, spesso dai nomi altisonanti nell’ambito avanguardistico.
L’intuizione azzeccata di Malfitano, frequentatrice a suo tempo, dello studio del pensatore Pozzati è stata che un mondo interiore tanto ricco e in comunicazione con i tempi e la realtà potesse essere reso fruibile, rappresentabile. Non importa se per occasioni limitate o irreplicabili. Giustamente Maura Pozzati ha ritenuto Digioia, la figura ideale per la realizzazione di questo omaggio che non è appunto, un omaggio di Bologna ad uno dei suoi figli più talentuosi ed importanti, ma in un certo senso il contrario.
Infatti, quando ho ricevuto gli scritti selezionati da Malfitano, chiosa Digioia, li ho letti in unica soluzione, in full immersion e sono stata colpita dallo straordinario spessore umano e intellettuale che emanavano. io conoscevo soltanto l’operatore culturale pubblico in un certo qual modo, quello che aveva contribuito a ridisegnare la fisionomia degli spazi Salara, a varare una serie di progettualità importanti, ma molto poco il suo magistero artistico ed è stato commovente constatare nel dipanarsi della lettura, la sua speciale affezione agli studenti o la felicità del suo rapporto con amici, sodali, colleghi, che ammira e stima. Poi naturalmente l’incanto della storia d’amore per la vita con Roberta. Naturale pensare a un dipanarsi di luoghi del cuore e al fatto che le parole avrebbero potuto rincorrersi, inanellarsi, ricorrere in più punti e momenti, dette da persone diverse con enfasi e cura sempre nuove, accenti diversi, angolazioni diverse.
Emozionanti sono state le due diverse situazioni concepite per ArtCity, palcoscenico d’elezione per questo che si potrebbe definire un esperimento dell’anima. L’una, ambitissima, un viaggio eccezionale tra le carte, le tele, gli oggetti scaramantici diPozzati lasciati proprio come se, all’interno del suo studio in Zamboni, dove, alla frenetica dinamica triangolare inscenata a Mambo, si sostituisce l’appassionato invito-richiamo dell’alter ego Massimo Scola alla lentezza, alla presa di contatto graduale e attenta, al non fare rumore e muoversi con cautela, per ascoltare e osservare.
Due cose che forse oggi facciamo con cinismo distratto e avventato. Li accade invece di essere avveduti ed essere talmente empatici, da sentirsi in fondo un po’ tutti Pozzati, nel suo porsi come umano, troppo umano, tra le vocazioni giovanili come il basket e il dolore decantato e distillato in pittura che porta ancora il nome Roberta. Si toccano vertici di commozione persino difficili da descrivere e logico, pertanto, rimangano un unicum. Emozioni più intellettuali, ci attendono alla mediateca Unipol, dove musica, gioco di luci e proiezioni vividissime dei famosi quadri pop fanno raccontare all’alias Malfitano, in questo caso, un percorso artistico, un combattimento fisico con i materiali, una lunga sfaccettata carriera.
A questo punto, ci attende la conclusione in teatro, un approdo persino considerato inizialmente innaturale, ma che compendia invece una vita, dal momento che proprio Pozzati assessore alla Cultura, si mise mano al restauro di Arena e alla sua restituzione alla cittadinanza Non si può spoilerare troppo, naturalmente, ma Malfitano sarà di nuovo in scena in compagnia di inserti video curati dall’ottimo Massari e, cosa veramente sorprendente, da opere in scultura del Maestro, senza dimenticare la colonna sonora, parte preponderante negli allestimenti citati cosi come nella vita stessa di Pozzati: una vibrazione cool che già molto racconta di un mondo.
Le reazioni fin qui sondate nelle varie fasi del progetto da parte del pubblico sono state lusinghiere e soprattutto cariche di affetto e curiosità:si sono fatti vivi tanti ex allievi, più famosi e meno del Maestro e anche i più giovani fuori da quella storia, hanno saputo afferrare sicuramente una forza vitale fuori dal comune, un aggredire l’esistenza che in tempi confusi e stanchi certamente colpiscono. In tanti, a causa delle limitazioni logistiche sono rimasti fuori dalle tappe antecedenti e possiamo scommettere che giovani ce ne saranno molti il tre di marzo in Arena del Sole, dato che l’impulso impresso da ERT in questi ultimi anni li fa sentire in una casa con porte e finestre di vetro sulla realtà circostante. Anche queste forme particolari di oggetti artistici dimostrano quanto sintonie che si tramutano in sforzi congiunti tra istituzioni, competenze e pubblici diversificati, producano l’inatteso in termini sia quantitativi che qualitativi.

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