di Silvia Napoli
Se Bologna è città creativa per la Musica, secondo Unesco, già dal 2006, qualche fondata ragione ci sarà. Sarà il fascino di musicanti e orchestrali di degregoriana memoria, ma qui si coagulano iniziative di sistema niente male, che da un lato rileggono il fatto musicale come concreta presenza territoriale e sforzo produttivo, tecnico, propositivo comune, nel versante dell’eccellenza, come si potrebbe dire, che so, dei motori, i o del packaging o del food, dall’altro intendono valorizzare la musica come agente catalizzatore e reagente con la pervasività dell’esperienza artistica nella contemporaneità.
Eppoi, naturalmente c’è anche il fatto che Bologna è dotta e dunque perfettamente in grado anche di contestualizzare e storicizzare le proprie più nobili espressioni del fare. Cosicché, si cerca di inverare un discorso, quello di risemantizzare e vivere diversamente certi luoghi, che, se è probabilmente di immediata comprensione qualora ci si voglia riferire a spazi di rigenerazione urbana sembra difficile da applicare n contesti come Archivi o Musei.
Ma succede che allorquando queste istituzioni abitualmente deputate alla conservazione, si qualifichino come private, di impresa, riferendosi ad imprese tuttora attive e fiorenti, risulti prevalente una sorta di pedagogia dell’efficacia ed uno spirito da colazione da Tiffany in salsa partecipata e democratica, perché sempre in Emilia siamo. Questo è un po’ il caso di Fonoprint, attiva dal 1976, che ai più suonerà, come casa discografica legata a figure emblematiche come Lucio Dalla, Vasco Rossi, Bersani, ma che da una annetto scarso, si configura anche come Museo del suono e della canzone.
E con una programmazione che intende aprire alla cittadinanza la visibilità dei gioielli di famiglia e la condivisione di una storia che alla fin fine, non è, come sempre, quella di semplici canzonette. Ma è un pezzetto dell’immaginario bolognese e non solo, tanto sono articolate le modalità di viversi e considerarsi bolognesi di nascita o di adozione, senza che per questo ci si debba sentire figli di un dio minore.
Soprattutto varrebbe spendere altre due parole sul fatto che spesso siano donne le artefici e responsabili di operazioni brillanti e complesse che intendono coniugare memoria e attualità:in questo caso la referente del museo è ad esempio, Paola Cevenini, così come sappiamo essere stata Paola Pallottino, la creativa femminista dietro alcuni testi di Lucio Dalla.
Cosi come sarà di nuovo una donna, Anna Brini, competentissima guida storico culturale a condurre le specialissime visite guidate, in numero di sei, che caratterizzeranno la giornata del 4 marzo, topica per la memoria di Lucio Dalla:non solo visite alla casa del compianto maestro, dunque, ma anche ascolti dedicati all’interno di questi meravigliosi studi musicali, nascosti nel cuore del centro storico, in via Bocca di Lupo ben celati alla vista eppure cosi accoglienti e familiari quando si varca il cortile d’accesso.
Converrà prenotarsi telefonando al numero del sito o scrivendo alla apposita mail, come del resto si fa attualmente per le visite più generiche o per questi eventi ancora in divenire di cui vado a raccontarvi.Parlando con Cevenini, si ha la sensazione infatti di una sorta di fase di assaggio o rodaggio, che però sta dando risultati lusinghieri riguardo alle presenze e soprattutto alla verve partecipativa di quanti evidentemente si prenotano per questi primi eventi pilota. In questo senso bisogna sottolineare come Bologna sia particolarmente ricca di corpi intermedi, ossia una vasta potenziale platea di fruitori informati e curiosi che travalica il menage à trois tra critico-artista-spettatore comune e comprende una infinita sfumatura forse di grigio tra le tre. Cevenini si sente parte di questo insieme musei archivi fondazioni privati tra cui potremmo annoverare Mast,in città, naturalmente, ma tanti altri luoghi per esempio dedicati alla moda o al design in REGIONe o altrove:mettersi in una sorta di rete potrebbe essere una finalità molto interessante che consentirebbe di creare quelle contaminazioni che tanto alla Musica si addicono.
Anche nel caso di Fonoprint, l’eleganza del luogo colpisce, la funzionalità tecnologica per nulla asettica, la possibilità di vedere tracce, piste, sistemi di registrazione e stampa analogici insieme con sistemi digitali basati su file intriga, ma più di tutto, dominano la bellezza, l’agio, il relax, oserei dire, di entrare e stare in ambienti al riparo da fastidiosi rumori di sottofondo e disturbo, con una acustica perfetta, con o senza microfoni, possibilità di ascolti ottimali in cui si colgono tutte le sfumature possibili degli arrangiamenti e delle postproduzioni, corredati anche da schermi video per proiezioni mirate o da strumentazioni musicali da usare al momento, per quelli che potrei definire saggi confidenziali di creatività musicale applicata.
Questa è stata la mia prima esperienza, per esempio, suonato il campanello che ci consente, oltre una porta saracinesca metallica, che serra la corte di Fonoprint a guisa di un fortilizio medievale, di accedere agli ambienti del logout, tutti in qualche modo, segreti: per esempio, un piccolo auditorium dominato da un bellissimo pianoforte a coda su cui si esprime in quel caso davanti a tanti giovani appassionati e avidi di capire, il cantautore blasonato Giovanni Truppi, all’interno di una presentazione libraria che presto diviene dibattito dotto sulla esistenza e persistenza di una scena indie italiana.
Ma le meraviglie continuano al primo dei giovedì che si estenderanno a tutto febbraio, denominati playlist, in cui alcune personalità accuratamente selezionate, non facenti strettamente parte della pur ricchissima fauna musicale bolognese, sono chiamate, sotto la vigile guida del brillante critico scrittore Pierfrancesco Pacoda a raccontare un po’ di loro e delle loro biografiche convinzioni, secondo una lista di amori e preferenze musicali.
Aperta una porticina, apparentemente qualunque, l’ignaro visitatore è catapultato in medias res su sedie disposte in circolo davanti ad un meraviglioso banco mix sovrastato da schermi video e sapientemente illuminato, che, al di là di un tavolo racchiude i relatori. Che risultano molto vicini al pubblico e molto rilassati dalle luci soffuse. Si parte con Marcello Jori, bolzanino asburgico di raffinata cultura musicale, trapiantato poi a Bologna che decreta la sua ascesa dal fumetto pop all’arte maiuscola tout court in quegli anni 80, avidi di vita più che sazi e certamente un po’ disperati.
Jori è abilissimo a narrare di sé e del resto, dribblando con naturalezza tutte le possibili implicazioni nostalgia canaglia o moralismi di ritorno, adottando, pur nella adesione sentimentale quel giusto distacco che ci vuole per passare dalle proprie esperienze sperimentali più avventuriste e naif che, appunto, in virtù degli ottimi impianti, suonano comunque benissimo, fino a Vasco Rossi, dolce gigante fragile, per cui Jori realizza il concept visivo del mitico concerto a S Siro, o Tiziano Ferro nazionalpopolare negi studios di LA, transitando per il r&b elettrificato di Jackson e Prince e l’opera wagneriana. La narrazione fila via liscia, Jori sa motivare e rendere accattivanti le sue scelte e ci fa vedere anche un breve stralcio dal Gladiatore. Neanche una donna figura nella sua scaletta cosi ben collegata in tutte le sue parti e coerente tanto che non se ne sente la mancanza, apparentemente:mi chiedo come potrà essere per gli altri convocati la faccenda, constatando come siano essi stessi tutti uomini.
Attribuisco questa caratterizzazione al fatto che gli incontri predisposti siano ancora troppo pochi e che in una certa fascia generazionale le figure di successo in certe professioni siano innegabilmente maschili. Non dubito che per il futuro si vedranno e ascolteranno voci e narrazioni diversificate e comunque tutti gli appuntamenti risultano stuzzicanti. Si prosegue infatti giovedì 6 con Roberto Grandi e la sua playlist e vediamo come interessante l’invito rivolto al Presidente della rete museale pubblica, anzi, doveroso.
Si prosegue poi con Vittorio Giardini, grande artista del fumetto, una specializzazione pop cui la buona compagnia musicale si addice in modo elettivo, per chiudere questa prima tranche con Lucarelli, di cui uscirà proprio ai primi di marzo un nuovo romanzo e che ci rese complici delle pieghe sadomasochiste di certo rock pesante, di cui egli stesso era fautore con una sua formazione, dalle pagine del suo fortunatissimo Almost blue, omaggio tra l’altro alla determinazione e alla sagacia investigativa femminile.
Non dubitiamo che pienone ci sarà sempre e che converrà prenotarsi:in tutti i luoghi che si annunciano come cool e in cui l’ingresso è libero in città riproducono un effetto sardina che si annuncia come la nuova way to be partecipativa bolognese tra socialità, voglia di esserci e di saperne di più.