di Silvia Napoli
Una nuova seppur non formalizzata realtà si aggira nel panorama storico-culturale del nostro territorio, a scanso di rischi di presbiopia sulla nostra storia comunitaria più prossima. Una rete di una decina e più di archivi che riserva qualche sorpresa per diversi aspetti, a partire dalla sua composizione, che è variegata e comprende archivi certamente pubblici come ad esempio l’Archivio di Stato e archivi ascrivibili al settore privato come l’archivio storico Paolo Pedrelli della CGIL. Archivi comunque notificati alla Soprintendenza Archivistica ER e pubblicamente fruibili, tuttavia non sempre cosi conosciuti, nonostante la buona volontà di chi vi opera in regime di ristrettezza economica.
Infatti il problema di un archivio storico è esattamente opposto a quella che è la retorica corrente su luoghi del genere, concepiti nella vulgata, come situazioni e spazi statici ed immutabili, vagamente ammuffiti e gestiti e conseguentemente frequentati da una fauna miope e topesca. Al massimo bisognosi di una spolveratina. Naturalmente niente di più erroneo in questa immagine sotto molteplici angolazioni. Conservazione, tutela, condizionamento, aggiornamento continuo, digitalizzazione, formazione, buone condizioni di vigilanza, mantenimento, fruizione, divulgazione e valorizzazione sono solo alcuni degli ingredienti base che qualificano un archivio che possa dirsi vivo, pulsante, utile alla comunità, indipendentemente dalla antichità della sua formazione e dalla finalità pratica della sua utenza. Bisognerebbe investire di più negli archivi in tutti i sensi, sforzandosi di immaginarli anche oltre le classiche carte, ma come depositari di una sorprendente varietà e ricchezza di tipologie di fonti e come possibili chiavi di lettura del presente e di proiezione sul futuro.
Quanti e quali sono i principali depositi di informazioni sul nostro passato più o meno recente e quante sono le forme di interesse e di utilizzo delle suddette informazioni sono i pressanti interrogativi, unitamente al noto assioma sull’unione che fa la forza, che hanno cementato e nello stesso tempo resa particolarmente flessibile la rete degli archivi del presente: Rete dunque non solo ricca e composita, ma aperta e in divenire e ciò che più conta pronta ad intervenire nel discorso pubblico corrente e a suscitare essa stessa nuovi fronti di dibattito. Del resto lo stesso processo di formazione di questa rete offre diversi spunti di interesse legato com’è stato e continua ad essere ad una pratica concreta e fattiva di incontro, confronto e lavoro produttivo svolto insieme e insieme diffuso:insomma prima sono venute le elaborazioni e le risultanze pratiche di queste e dopo i ragionamenti sulla natura e la continuità e il senso delle relazioni reciproche.
Relazioni tutte da vagliare, calibrare e ridefinire nei sottoinsiemi, di volta in volta, tenendo a mente sempre obiettivi, destinatari, pratiche di efficacia. Con queste metodologie si sono realizzate già due mostre documentarie importanti dedicate a due momenti topici del recente passato il ’77 prima, il ’68, dopo, corredate da diversi eventi divulgativi e visite guidate per le scuole nonché dalla realizzazione di due cataloghi autoprodotti e stampati a cura della nostra regione. A questo punto, la voglia di travalicare la logica anniversaristica è stata largamente condivisa all’interno delle componenti della neo battezzata rete degli archivi per il presente, cosi come quella di dare continuità in divenire e maggiore ampiezza alle tematiche già sondate attraverso incontri pubblici:insomma, insistere ma anche innovare, ampliare, radicare, senza la pretesa di riscrivere la storia o dare nuove interpretazioni a fatti ed evenienze che devono ancora essere assorbiti, rimasticati e compresi da tanta opinione pubblica resa non già più consapevole, ma casomai insensibile e assuefatta dal quotidiano bombardamento di versioni, narrazioni e fake della nostra cronaca pronta in un batter di ciglia a divenire materia storica prêt-à-porter.
Ecco dunque il nascere di un piano di lavoro ambizioso senza voler essere originale e nuovista ad ogni costo, che intende traghettare la rete oltre il contingente o l’effetto vintage allo scopo anzitutto di diffondere conoscenze sulle pressoche infinite motivazioni e modalità per la consultazione degli archivi storici. La prima tappa di questo percorso di consapevolezza critica è il definire uno dei temi portanti emersi già nelle esperienze di lavoro più prossime e sperabilmente a loro volta descritti con la lucidità storico interpretativa che occorre, senza rincorrere mode e attitudini del momento cioè il tema della esistenza o persistenza di una cultura operaia.
Magari discussa ridefinita e sottoposta a severo vaglio critico, ma pur sempre identificata con una fase brevissima e intensa di aspettative, egemonia di discorso, attitudini e tic sociali che siamo soliti riconoscere nella paradigmatica figura fumettistica di Cipputi, l’operaio massa tipico intriso al tempo stesso di cinismo e velleitarismo. Cultura operaia ed anche operaista, che intendeva forzare, addirittura piegare la classe, ad opera di alcuni intellettuali ed artisti particolarmente ideologizzati, ad una pedagogia di massa sostenuta da linguaggi e pratiche alte, sperimentali, avanguardistiche e sovente criptiche. sembrano trascorsi secoli dalle opere di Berio, dai canovacci di Fo, dal teatro brechtiano, dall’immaginario tumultuoso e distopico del film di culto la Classe operaia va in paradiso struggente apologo sull’impossibilità della reale formazione di una coscienza di classe omogenea e diffusa tra ceti e strati diversi della società.
Oggi che siamo catapultati in tempi liquidi, complessi, interessanti secondo il senso orientale del termine, in cui la parola coscienza sembra messa al bando e comunque legata ad un immaginario di etica indigesta appare intrigante ed opportuno, fonti documentali alla mano, verificare quanto di utopico e irrealistico, perciò rinnegato dalla Storia, sia celato nelle pieghe di tante vertenze e lotte degli anni compresi tra la fine dei sessanta e gli inizi dei settanta, identificati con il picco conflittuale dell’autunno caldo ’69. Insomma, per capirci, condurre per mano una ipotetica e rivisitata classe operaia dal paradiso fittizio in cui è stata relegata ad un futuro quantomeno indecifrabile passando per le crune di un presente che la vuole di volta in volta, sconfitta, inesistente, razzista, corporativa, privilegiata e iper tecno specializzata.
Un ciclo breve di incontri in cui almeno una piccola parte degli istituti componenti la rete non cercherà tanto di dare risposte quanto di suscitare plausibili domande, ma anche di verificare gli aspetti e i lasciti condivisi nella nostra società di pratiche e forme costituenti della cosiddetta classe, che, al di là degli aspetti puramente rivendicativi, ha saputo dire la sua nella formazione con le 150 ore, nel definire una nuova scala valoriale e un peso diverso negli assetti gerarchici tramite forme di lotta inedite e ha tentato anche nuove forme di alleanza tra sfruttati e nuovi discorsi in ambito sociale. Ad arrivare alla primavera inoltrata si prevedono almeno tre incontri che ci traghettino dalla questioni operaia a quella delle riforme sociali e di costume e del dialogo con le istituzioni.
Si comincia intanto venerdì 17 gennaio dalle ore 15.30 alle 18.30, presso il salone Di vittorio della Camera metropolitana del Lavoro, con una pomeriggio appunto dedicato all’immaginario di un certo tipo di lavoro che forse non esiste più:per questo gli interventi dei relatori saranno scanditi e giustapposti tramite blocchi di sequenze tratti dal video documentario Alla catena, realizzato una decina di anni fa da Conversano- Grignaffini, con l’intento di celebrare anche ironicamente un anniversario della Cgil e di fare il punto su tutta una produzione cinematografica e iconografica centrata sul mito, sull’epopea della vita di fabbrica e della produzione operaia.
Dopo i doverosi saluti dei rappresentanti della rete e dei padroni di casa sindacali, si aprirà con l’intervento corredato dalla proiezione di slide, di Valerio Monteventi, attivista contemporaneo ma anche attento testimone direttamente coinvolto sin da giovanissimo da fronte prima studentesco, poi interno alla fabbrica, su molteplici scenari di di lotta, oggi infine in veste di autorevole creatore di auto fiction e di pedagogo sociale. Primo a consultare e poi riutilizzare in forma narrativa e rappresentativa fonti archivistiche assolutamente inedite. A seguire avremo per il coordinamento di chi scrive e di Elisabetta Perazzo, ex sindacalista, oggi vice presidente di archivio Pedrelli, interventi di riflessione e memoria ad opera di Francesco Garibaldo, sessantottino doc, metalmeccanico e poi sindacalista per vocazione, oggi dirigente fondazione Sabattini e di EdgardaDegli Esposti, ex sindacalista, cresciuta ed emancipatasi nelle asprezze delle relazioni sindacali e vertenziali in Arcotronics.
Per la parte che più ci lega alle nuove generazioni e ai mutamenti di paradigma culturale avremo poi un video intervento sottoforma di intervista monologo di Claudio Longhi, docente universitario, regista teatrale, dramaturg e direttore di Fondazione Emilia Romagna teatro, co-autore di una recente e fortunata trasposizione teatrale rivisitata della succitata sceneggiatura da La Classe operaia va in Paradiso di Pirro-Petri.Chiudera gli interventi, prima della parola al pubblico e al famigerato dibattito, Federico Chicchi, docente di sociologia del Lavoro al Dipartimento di Scienze Politiche, nonché autore di un recente saggio dedicato a Marx oggi, che ci consentirà di uscire dall’epopea e di tentare una apertura su un possibile scenario futuro.
A marzo ci si rivedrà per discutere dei collegamenti, tutt’altro che mitologici o irrilevanti, tra presenza e autorevolezza operaia e cultura e legislazione di diritti e pubblico welfare, per chiudere in maggio con una disamina delle trasformazioni del mondo del Lavoro. L’invito è di rimanere collegati perché esiste un discorso pubblico e di cittadinanza attiva anche oltre la risonanza mediatica e la stretta attualità del momento spesso intrisa di spirito da campagna elettorale permanente.