di Vincenzo Vita
Le diverse celebrazioni dei quarant’anni della terza rete televisiva della Rai e della testata regionale hanno – in parte, almeno – ceduto alla tentazione di parlare dell’età dell’oro del canale, vale a dire il periodo inaugurato dalle direzioni di Angelo Guglielmi e di Sandro Curzi.
È rimasta parzialmente in ombra, persino nell’amplissimo racconto di Rai Storia curato da Paolo Mieli e trasmesso domenica scorsa, la prima accidentata stagione dell’esperienza. Le trasmissioni cominciarono il 15 dicembre del 1979, con un certo ritardo rispetto ai tempi auspicati dal gruppo di lavoro coordinato da Fabiano Fabiani, istituito nel 1976. La previsione normativa era contenuta, infatti, nell’articolo 14 della legge di riforma n.103. Fu un lungo tira e molla. La Democrazia cristiana era molto tiepida.
Il Partito socialista contrario, avendo l’allora responsabile del settore Claudio Martelli lanciato l’idea (in verità sottovalutata) di una «quarta rete» sul modello dell’ITV (Independent television) britannica, vale a dire un’aggregazione (syndication) delle principali tra le emittenti private, ormai numerose dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1976.
A fare da traino fu l’allora Partito comunista italiano, convinto che così si potesse realizzare quell’agognato decentramento che costituiva un pezzo forte della cultura politica regionalista di cui il Pci era portatore.
Fu una sfida tardiva, in quanto la dimensione locale era ormai occupata dalle centinaia di radio e televisioni diffuse su tutto il territorio. Insomma, la rete 3 (così si chiamò allora) tentò di rappresentare un filone di pensiero nobile e tuttavia malamente arato dal Far West in cui si immergeva.
Il canale e i programmi erano diretti da persone di valore come Giuseppe Rossini e Dario Natoli, ma l’esito non fu particolarmente brillante, prevalendo curiosamente l’idea che il decentramento dovesse essere pedagogico con un forte ruolo attribuito al Dipartimento scuola-educazione dell’azienda. Con occasionali momenti trash.
I Tg regionali (direttore Biagio Agnes, condirettore Sandro Curzi, vicedirettori Alberto La Volpe e Orazio Guerra) trovarono meglio una funzione, anticipatrice più tiepida del mitico «telekabul». Anzi, attraverso un concorso entrarono in Rai numerosi giornalisti, che per anni hanno costituito l’ossatura dell’informazione pubblica. In fondo, proprio il lato debole di quell’esperienza avrebbe dovuto imporre al e nel dibattito culturale un ripensamento dell’elegia del decentramento regionale.
O quest’ultimo diventa un vero protagonista locale ma generale della comunicazione, come nella citata ITV o nella prima rete tedesca (ARD) costituita proprio sull’unità di misura del Land, o scade facilmente nello strapaese.
Rendiamo merito, però. Senza la difficile parabola iniziale non sarebbe scoppiato il vero e proprio caso mediatico scaturito dalla seconda fase iniziata nel 1987. Sotto la direzione di un magnifico visionario come Angelo Guglielmi, attorniato da un gruppo di professionisti di prim’ordine, la terza rete (nuova dizione) divenne un prototipo straordinario di televisione-televisione, capace di sfornare format notevolissimi e in qualche caso anticipatori o geniali.
Basti dire che, insieme alla seconda rete diretta da Massimo Fichera tra gli anni settanta e i primi ottanta, è stata e rimane l’ossatura della migliore programmazione del servizio pubblico. Un calco di programmi e di idee. Il trampolino di lancio di artiste-i e conduttrici o conduttori ormai celeberrimi.
La storia va vista tutta. Per capire meglio.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto il 18 dicembre 2019