di Maurizio Matteuzzi
188 più 1. Dal 1825, indipendenza della Bolivia, i golpe erano stati 188, quasi uno all’anno. 189 con quello di adesso. Avviato dalle controverse elezioni del 20 ottobre (ma preparato da tempo come sta risultando evidente). Culminato nell’assalto violento della “Bolivia bianca” contro la Bolivia india e nell’ammutinamento di polizia ed esercito l’8 novembre.
Nella rinuncia ed esilio messicano di Evo Morales il 10. E il 13 nella illegale auto-proclamazione a “presidente ad interim” (fino a elezioni «il più presto possibile») di Jeanine Áñez, una insignificante senatrice dell’opposizione, e di Luis Fernando “el Macho” Camacho, “il Bolsonaro” della ricca Santa Cruz della Sierra, cuore “dell’etno-fascismo” boliviano.
Golpe classico di destra o “levantamiento popular” in nome della democrazia violentata da Evo e dal Mas, il suo Movimiento al Socialismo, nei quasi 14 anni di potere? Golpe. Basta vedere chi applaude: Trump, Bolsonaro, Piñera, Macri, l’Osa del “socialista” Almagro («l’unico golpe è la frode elettorale di Evo Morales»)…
L’aymara Evo Morales, come il nordestino Lula da Silva, non è un santo ma è stato un grande presidente. Il primo presidente della Bolivia, in quasi 200 anni di indipendenza e in 5 secoli di colonia, «che assomiglia ai boliviani», come ha detto Alberto Fernández, il neo-presidente peronista dell’Argentina.
Crescita economica sostenuta (5% annuo di media), recupero delle risorse di cui la poverissima Bolivia è ricchissima (gas, petrolio, oro, rame, il prezioso litio), drastica riduzione della povertà, soprattutto il riscatto umano, economico e politico delle masse indie (il 60% di 10 milioni) sempre calpestate e umiliate dall’oligarchia bianca (il 5% di “blanquitos”).
Come Lula in Brasile certo ha commesso degli errori. Corruzione? Arroganza? Probabilmente sì. L’errore più grosso è stato quello del 2016: il referendum sulla possibilità di ripresentarsi per il quarto mandato. Perso e ribaltato dalla Corte costituzionale in nome dei diritti umani…
È lì l’inizio della deriva tragica di oggi e della mancata risposta iniziale delle masse indie al golpe. Ora le masse indie si sono mosse e i morti aumentano e l’Onu dice che la situazione è «quasi fuori controllo». Ma forse è tardi e i Trump, i Bolsonaro, i Piñera, i Macri, gli Almagro possono applaudire il “levantamiento popular” e il trionfo della democrazia.
Questo articolo è stato pubblicato da Area il 21 novembre 2019