di Dario Zanuso e Aldo Zoppo
Vivere, che rischio, dei documentaristi bolognesi Michele Mellara e Alessandro Rossi ci racconta la vita e l’impegno nella ricerca oncologica di Cesare Maltoni (originario di Faenza e vissuto professionalmente a Bologna), pioniere della cancerogenesi ambientale e industriale che ha fatto della prevenzione oncologica e della lotta al cancro la sua ragione di vita. Il documentario affida la narrazione ai pensieri e agli scritti di Maltoni, interpretati dalla voce appassionata dell’attore ravennate Luigi Dadina, alle interviste di repertorio allo stesso Maltoni e alle testimonianze di alcuni dei suoi collaboratori. Al centro del racconto è soprattutto la sua vita professionale, ma non mancano i riferimenti alla vita privata ed alla sua condizione di omosessuale (in tempi in cui non era facile esserlo).
Il giovane Maltoni sembra avviato ad una promettente carriera universitaria nel campo della medicina e della ricerca. Durante il proprio apprendistato all’Università di Chicago impara a conoscere le più avanzate tecniche e metodologie della ricerca di laboratorio. Al rientro in Italia decide di lasciare l’Università per dedicarsi all’assistenza, nel settore oncologico. Le prime esperienze sono disarmanti: gli vengono affidati pazienti in cui la malattia è ormai in uno stadio molto avanzato, per i quali è possibile oramai fare ben poco. Comprende, anche grazie alla sua esperienza in laboratorio, che la prevenzione è l’arma principale per sconfiggere il cancro.
Da questa consapevolezza nasce l’obiettivo, profondamente innovativo, di avviare uno screening sui tumori al collo dell’utero, indirizzato a tutta la popolazione femminile. Grazie all’appoggio di una politica lungimirante (i dirigenti del PCI che portarono l’Emilia Romagna all’avanguardia nella costruzione dello stato sociale) lo screening prende il via nel 1965, con risultati straordinari. Sarà un modello imitato e diffuso in tutto il mondo.
Ancora più lungimirante è la consapevolezza di quanto la modernità industriale e gli effetti del consumismo comportassero, accanto al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, anche elevatissimi rischi potenziali per la salute collettiva.
Le grandi multinazionali della chimica, mosse prioritariamente dalla ricerca del profitto, impiegavano infatti massicciamente sostanze innovative, per produrre oggetti di consumo ed uso comune, senza in alcun modo preoccuparsi di indagare preventivamente la loro possibile tossicità. Alcune di queste sostanze (si pensi, per fare qualche esempio, all’utilizzo dell’eternit nel settore edile o del cloruro di vinile nel settore della plastica o, ancora del benzene nella produzione delle cosiddette benzine verdi), a lungo andare, provocavano effetti dannosi e cancerogeni per gli operai che lavoravano nelle linee di produzione e per le persone che poi utilizzavano i prodotti finale nella loro vita quotidiana.
Attraverso una serie di complessi studi di laboratorio (che prevedevano l’esposizione di migliaia di topolini alle sostanze tossiche) Maltoni fornì importanti contributi scientifici diretti a mostrare la pericolosità di queste ed altre sostanze, scontrandosi apertamente con il mondo dell’industria, che quei risultati cercò con forza di contestare (grazie anche al sostegno di scienziati compiacenti e ben foraggiati). A Bologna vennero organizzati importantissimi convegni, diretti a favorire la raccolta e la diffusione degli esiti delle ricerche condotte in questi campi. Nel film vediamo Maltoni dire: “Facciamo venire il mondo a Bologna! Ma non per i tortellini, per la ricerca sul cancro!”. Vediamo anche, in alcune immagini di repertorio, alcune delle innumerevoli testimonianze che fu chiamato a rendere nei processi in cui si cercava di dimostrare la responsabilità degli industriali nell’impiego di materiali, nonostante ne fosse ormai era nota la pericolosità ( ad esempio nei processi Montedison ed Eternit).
Un altro progetto fortemente innovato perseguito da Maltoni fu quello che accompagno lo sviluppo della medicina palliativa, con la nascita del primo Hospice italianio, progettato in funzione delle specifiche esigenze di trattamento dei malati oncologici terminali.
Il film ripercorre i successi nella ricerca di Maltoni e la nascita delle istituzioni che diedero gambe ai suoi progetti: in particolare l’Istituto Ramazzini, con sede presso il castello di Bentivoglio. Ma ci mostra anche i momenti difficili, di solitudine, quando non si sentiva adeguatamente sostenuto nei suoi sforzi. Emerge con forza l’entusiasmo e la voglia di lottare per affermare i propri obiettivi di questo uomo, all’apparenza così mite e riservato.
Oltre ad alcuni aspetti più privati personalità di Maltoni, il film racconta la storia di un dirigente pubblico nel campo della sanità, che svolge il proprio ruolo con attitudine ben diversa da quella di chi con ordinaria diligenza assolve ai propri compiti, per non dire dei burocrati che si preoccupano soprattutto di amministrare la propria carriera. Ha un obiettivo che persegue con tenacia e passione, quello di creare le condizioni per rendere effettivo un diritto umano fondamentale, quello alla salute, non esitando, quando necessario, a contrastare e combattere le grandi corporation industriali, che quel diritto possono pregiudicare. Il documentario ci fa quindi riflettere sulla straordinaria importanza della politica e dell’intervento pubblico, contro l’ideologia dominante del neo-liberismo, nella tutela di essenziali beni pubblici.
Vivere, che rischio, di Alessandro Rossi e Michele Mellara, Italia 2019, 83′