di Duccio Facchini
Il 5 ottobre scorso è trascorso un anno dall’entrata in vigore del cosiddetto “Decreto Salvini” (decreto legge 113/2018) e del suo pacchetto di misure in tema di “immigrazione e sicurezza pubblica” approvato dal Governo Conte I e poi convertito in legge dal Parlamento nel dicembre 2018. Dalla protezione umanitaria alla cittadinanza, dall’accoglienza all’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo: a dodici mesi di distanza è tempo di fare un bilancio degli effetti del decreto, tra ricadute concrete (e drammatiche) sulla vita di decine di migliaia di persone migranti, effetti tanto propagandati quanto mancati e prospettive.
L’avvocata del Foro di Bologna Nazzarena Zorzella, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e parte della redazione della rivista Diritto Immigrazione e Cittadinanza, ha studiato da vicino il provvedimento e in particolare la misura che avrebbe introdotto il presunto divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo. È anche grazie al suo lavoro che si deve la “resistenza giuridica” ottenuta in questi mesi (da ultimo la dichiarazione di inammissibilità da parte del Tribunale di Bologna del reclamo proposto dal ministero dell’Interno contro la decisione del Tribunale stesso che aveva affermato il diritto del richiedente asilo all’iscrizione anagrafica).
Un fallimento del “Decreto Salvini” che però Zorzella invita a non enfatizzare: “Quella giudiziaria è l’estrema frontiera di una battaglia civile. E a meno che ci sia un intervento della Corte costituzionale, il rischio è che cause dall’esito positivo rimangano macchie di leopardo, ristrette a quella persona e a quel territorio”. Se ha perso in termini giuridici, il provvedimento governativo è comunque riuscito a inoculare un virus culturale: “Il messaggio pubblico che è passato è l’assenza del diritto alla residenza, tradotto automaticamente nella negazione di ogni diritto, con ‘chiusure’ sempre più frequenti da parte dei datori di lavoro o delle banche”.
Non solo. Gli effetti sulla vita e sui diritti sono stati profondi anche per i titolari di permessi di soggiorno per motivi umanitari, cancellati per decreto. “Coloro che già erano usciti dal circuito amministrativo-giudiziario della protezione internazionale, da un giorno all’altro, si sono ritrovati sostanzialmente privi del diritto di conservare il permesso -continua Zorzella-. Chi aveva un lavoro è riuscito in alcuni casi a ottenere la conversione. A chi era iscritto alle liste per l’impiego o in disoccupazione, o assunto con contratti tipici precari rinnovati anche di giorno di giorno attraverso agenzie interinali, invece, difficilmente è stato rinnovato il permesso di soggiorno. E l’effetto oggettivo è stato quello di aver fatto perdere la regolarità del soggiorno a moltissime persone che abitavano in Italia ed erano regolari da anni. Nell’impossibilità di rimpatriare queste centinaia di migliaia di persone, il Governo ha ritenuto utile far perdere loro la regolarità. E quando lo straniero diventa irregolare scatta la definizione di ‘clandestino’, gli viene associata la pericolosità sociale e diventa così un formidabile strumento politico di cattura dei voti”.
Un altro effetto ottenuto è stato quello di allungare i termini della procedura per la richiesta e ottenimento della cittadinanza italiana, da 24 a 48 mesi. “Si tratta di una disposizione entrata immediatamente in vigore e che ha avuto effetti istantanei”, spiega l’avvocato Livio Neri, socio Asgi. “La conseguenza pratica è che persone sicuramente integrate, in Italia da più di 10 anni, da un anno devono aspettare più tempo per diventare cittadini. Questo assicura maggiore sicurezza e integrazione?”, si domanda l’avvocato del Foro di Milano anche alla luce del fatto che “Il ministero sta applicando il termine ‘allungato’ anche per le procedure pendenti all’entrata in vigore del decreto”.
Una norma che è invece pare essere rimasta inattuata è quella relativa al “Trattenimento per la determinazione o la verifica dell’identità e della cittadinanza dei richiedenti asilo”. “Non risulta essere stata applicata”, chiarisce Neri, anche con riferimento alle commissioni territoriali istituite alla frontiera (le novità sono a Matera e a Ragusa) e chiamate a effettuare l’esame della domanda tramite una procedura accelerata.
Mai applicata ma estremamente pericolosa è invece la riforma della “manifesta infondatezza della domanda di protezione internazionale”. Prima del “Decreto Salvini” la misura si riferiva a fatti riferiti dal richiedente asilo del tutto “estranei” alle ipotesi previste per la protezione internazionale. Il Dl 113/2018, invece, ha introdotto sei nuovi casi, qualificati talvolta per mezzo di avverbi discutibili (“Dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false”, ad esempio). Secondo l’avvocato Neri la norma non sarebbe mai stata applicata ma il suo obiettivo lo avrebbe comunque ottenuto: consolidare l’ingiustificato sospetto che il richiedente asilo sia in quanto tale un bugiardo.
E che solo agli “eroi” sarebbe stato generosamente concesso un permesso di soggiorno per “atti di particolare valore civile”, un’altra novità del decreto. Ne sa qualcosa un cittadino senegalese, in Italia da 13 anni, che nel giugno 2018 ha salvato dall’annegamento due bambini italiani di sette e nove anni a Ventimiglia, sotto gli occhi di un consigliere di Stato. La sua istanza di rilascio del permesso rivolta al prefetto di Imperia è rimasta a oggi inevasa.
Lettera (al momento) morta anche per quanto riguarda la previsione dei cosiddetti “Paesi di origine sicuri”. Il decreto interministeriale (Esteri, Interno e Giustizia) che avrebbe dovuto adottarne il contestato elenco dei punti di partenza ritenuti democratici e non rischiosi non ha ancora visto la luce.
Più complesso e confuso è lo scenario relativo all’abrogazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari. Mentre in sede giurisdizionale la Corte di Cassazione ha stabilito che la norma si applicherebbe solamente per le domande presentate dopo il 5 ottobre 2018 (entrata in vigore del decreto), rendendo di fatto inattuabile il proposito dell’ex ministro dell’Interno, in sede amministrativa le commissioni territoriali hanno invece ridotto nettamente il tasso di riconoscimento dello status (dal 29% delle domande esaminate tra agosto 2017 e fine luglio 2018 al misero 6% nella fascia agosto 2018-fine luglio 2019). Un comportamento schizofrenico che ha generato secondo l’avvocato Neri una “enorme incertezza e confusione”.
Per quanto riguarda ancora l’iscrizione anagrafica, come anticipato da Zorzella, il quadro assomiglia a un mezzo flop. “L’interpretazione più diffusa tra i Tribunali e le amministrazioni comunali vuole che il decreto non impedisca affatto l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. E se così fosse, la norma sarebbe semplicemente vuota -chiarisce Neri-. C’è però pendente una questione di incostituzionalità presso la Consulta perché alcuni Tribunali (Ancona, Milano, Ferrara) hanno infatti ritenuto che la norma fosse chiara nel disporre il divieto e che fosse pertanto più che ‘sospetta’ di incostituzionalità”.
L’ultimo punto, uno dei più rilevanti, riguarda gli effetti sul sistema di accoglienza. “L’impianto previsto nella nuova legge –ebbe modo di scrivere Monia Giovannetti, responsabile del Dipartimento studi e ricerche di Cittalia-Fondazione Anci, sulla rivista ‘Diritto, Immigrazione e Cittadinanza’– […] impone un cambio di paradigma complessivo, in termini di regole e prospettive, in quanto da approccio che si basava su un sistema (unico) distinto per fasi di accoglienza si passa precipitosamente ad un sistema di accoglienza (binario) distinto in base allo status dei beneficiari”. Ai richiedenti asilo è stato infatti negato l’accesso al fu Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, oggi trasformato nel Siproimi), articolato e diffuso a livello degli enti locali, e imposta la permanenza nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) in capo alle Prefetture.
Non solo. “Secondo il legislatore -spiega Neri- i titolari di protezione umanitaria, non avendo più il diritto di accedere allo Sprar, non avrebbero avuto più diritto di rimanere nemmeno nei Cas”. Come abbiamo scritto più volte, questa “volontà” è stata bocciata e contraddetta dalla giurisprudenza ma di fatto le Prefetture l’hanno applicata: così decine di migliaia di persone titolari del permesso per motivi umanitari sono state espulse dal sistema dell’accoglienza. In questo quadro di “smantellamento” (Zorzella), di crollo degli arrivi (7.632 persone sbarcate dal primo gennaio 2019 al primo ottobre 2019 contro le 105.737 dello stesso periodo nel 2017) e quindi del numero di persone in accoglienza (105.142 al 31 luglio 2019, -34% rispetto al 2018), si affianca l’azzeramento del livello dei servizi previsto dall’ultimo “Schema di capitolato di gara di appalto per la fornitura di beni e servizi relativo alla gestione e al funzionamento dei centri di prima accoglienza”.
Tra annunci propagandistici -efficaci solo in parte- e flop, l’avvocata Zorzella non intravvede comunque buone notizie o prospettive. “Al netto dell’incoraggiante reazione di parte della popolazione, con micro esperienze di resistenza e formazione territoriale, penso che si possa parlare di una sconfitta per tutti. Siamo stati costretti a inseguire un’emergenza dei diritti in Italia tralasciando le condizioni drammatiche delle persone ‘fuori’ che avrebbero potuto essere quanto meno richiedenti protezione internazionale. Penso alla Libia”.
L’effetto complessivo del “decreto sicurezza” è stato anche di avere aumentato molto il contenzioso giudiziario, aggravando il sistema già sofferente e privo di risorse. “Sono aumentati i ricorsi contro i dinieghi di protezione internazionale -conclude Zorzella-, per effetto anche della ritenuta scomparsa della protezione umanitaria, contro i dinieghi di rinnovo dei permessi ex umanitari, contro le cessazioni dell’accoglienza, per il diritto di iscrizione anagrafica e un altro si sta aprendo per il mantenimento del permesso di ‘richiesta asilo’ durante il giudizio davanti alla Cassazione. Il decreto voleva ridurre il ‘costo’ dell’accoglienza ma ha aumentato quello della giustizia”.
Questo articolo è stato pubblicato da Altreconomia il 2 ottobre 2019