La psicologia del popolo della sinistra: un mistero da dissolvere

27 Settembre 2019 /

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di Fausto Anderlini
In Salento i delegati Cgil hanno riservato fremiti più a Conte che a Landini. Ed anche alla festa di Art. 1 il bel Giuseppi che ha un vago aspetto che intriga fra Alain Delon e un disponibile prevosto che piace tanto alle suore ha suscitato flussi empatici non da poco. Ovunque vada a sinistra, fatta eccezione per i soliti noti di Repubblica, Conti suscita ondate empatiche. Non è solo una questione di buona educazione. E neppure di sola chimica.
Dietro il mistero che avvolge la psicologia del popolo della sinistra, che prima fu Pci, indi Pds-Ds e infine Pd, c’è una elementare legge della prossemica politica. Chi ti viene incontro da fuori desta una speranzosa ammirazione, mentre chi si allontana da dentro suscita inquietudine. Perciò il popolo di sinistra ha sempre amato chi dal centro guardava a sinistra e fieramente dubitato di chi da sinistra guardava al centro. Quando si fece il Pd l’umanità militante fu lusingata nel vedere tutta quella gente che venendo dal centro sembrava andarle incontro per abbracciarla.
Risocializzata per almeno un decennio alla filosofia della ‘contaminazione’ voleva rimescolarsi coi nuovi venuti. E tuttavia anche quando viveva in cattività, dietro il recinto della ‘diversità’, non disdegnava di essere ammirata. Questo paradossale strabismo deve avere a che fare con ogni identità forte. Ovvero con il suo lato femminile. Che senso ha infatti possederne una se non desta alcuna ammirazione ? Ma non ho tempo e strumenti per approfondire.
Ricordo quando alle feste arrivavano i Segni, i Prodi e altra compagnia. Erano trionfi. Mai un dubbio che potessero essere dei furbi o dei cretini. Quando D’Alema andò al Governo molta parte del popolo in esame invece d’essere fiera che ‘uno dei nostri’ saliva al soglio, si mise in lutto per la caduta di quel Prodi che tanto l’aveva stimolata. La leggenda della congiura ha avuto più credenti nel popolo del Pd e immediati dintorni che fuori. Per tutto il periodo dei sindaci monocratici e delle primarie questo tipo di prossemica ha toccato l’apice. I militanti erano felici di votare gli ‘altri’ candidati e di mettersi al loro servizio. Al punto che molti esponenti della ‘ditta’ simulavano di non aver avuto nulla a che fare con essa. Veltroni era in questo un modello inimitabile. I galli cantavano e la xenofilia era moneta corrente.
Il caso Renzi è stato il compimento di questa prossemica come patologia ma anche la sua paradossale negazione. Una sorta di Aufhebung con esiti sinistri. Intanto Renzi non veniva più da fuori ma da dentro, pur essendo un totale estraneo. Inoltre invece che ammirare quel popolo lo disprezzava. Il fatto è che saturando il Pd tutto lo spazio attorno, ivi compreso il centro, non era più nessuno da fuori che orientasse il suo sguardo. Perciò molta di quella gente si mise al seguito di quel capo estraneo che la disprezzava per migrare in terre ignote. Con una infrazione alla regola esiziale, perché l’essere ammirati da altri implica star fermi dove si è. Infatti Bersani e gli altri della ‘ditta’ finirono per essere disprezzati. Non più perché guardavano ‘al centro’ o in altra direzione, ma perché volevano stare dov’erano. Con loro. Un attaccamento insopportabile. Ed ecco che quel grido ‘fuori, fuori’ non incontrò alcuna resistenza di rilievo.
Una malattia, una forma di demenza, cui inesorabilmente è conseguito il disastro. E il lento rinsavimento. Non tanto una autocritica secondo regola, ma un ripristino della vecchia prossemica naturale. Per la quale se ti piace chi ti viene incontro è perché stai tornando padrone di tè stesso. Conte è perfetto. E’ gentile, viene da fuori (non si sa esattamente da dove), ha fatto fuori Salvini e mostra interesse verso la sinistra. Lo stesso fatto che i 5S (non proprio furbi) l’abbiamo imposto come persona ‘terza’ ne aumenta il prestigio e la forza. Il leader naturale dell’Ulivo rosso giallo. La prossemica identitaria ha ripreso il suo corso dopo la malattia quasi mortale.
È lui l’uomo del centro che guarda a sinistra e mette in riga la destra. Un Macron in salsa neo-ulivista. Il leader naturale del centro-sinistra. Il nuovo Prodi. Che però si è fatto da sé, emergendo dal. nulla. Renzi se ne va anche perché è questa partita che ha perso, neanche tanto quella del Pd che l’ha messo al margine. È chiaro che è a Conte che vorrebbe fare le scarpe. Come a Letta. Ma il povero non ha più alcuna chance e si porta addosso uno stigma irredimibile. Appena guarda qualcuno quello si tocca le palle.
Questo articolo è stato pubblicato su Facebook il 23 settembre 2019

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