di Loris Campetti
Il peggio è alle spalle o, come scriveva Ennio Flaiano. è il meglio a essere alle spalle? In altre parole, è più pericoloso Matteo Salvini al Viminale e, in caso di elezioni anticipate, a Palazzo Chigi con pieni poteri, oppure all’opposizione ad attizzare il fuoco dell’odio nelle piazze in un’orgia di sovranisti, fascisti e saluti romani? L’unica certezza è che Salvini fa paura, ovunque si collochi, e fa paura il consenso che raccoglie in un paese sempre sensibile all’uomo forte, all’unto dal Signore o della Madonna. Un paese orfano della sinistra riconvertita da anni al credo liberista.
Il tentativo politico in atto grazie all’accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd, le due forze politiche uscite sconfitte dalle elezioni europee, con il sostegno dell’evanescente sinistra di Leu, sposta in avanti il problema dei problemi: il rischio per la democrazia italiana. Consente di tirare un sospiro di sollievo, ma non risolutivo. E ancora: quanto può resistere un governo nato grazie al doppio salto mortale di Renzi che aveva impedito un possibile accordo con i 5S dopo le elezioni del marzo 2018 e di Grillo che contro il Pd aveva portato in piazza rabbia e sarcasmo? Fino a quando può andare avanti, questo nuovo governo Conte-bis, forte di un provvisorio consenso in Parlamento e debole nel consenso popolare? E Di Maio, sedotto e abbandonato dall’amico del cuore Salvini, è il classico camaleonte a 5 stelle buono per tutte le stagioni? E che dire dello stesso premier Conte, che dopo aver firmato leggi al limite della xenofobia riscopre la centralità della Costituzione?
Domande legittime, che in tanti si pongono. Ma intanto, grazie agli errori del presuntuoso e arrogante Salvini, siamo di fronte a un’imprevista possibilità di cambiamento che parte con un programma democratico, meno gridato (“mite”) di quello populista che l’ha preceduto, che parla di un rilancio economico socialmente e ambientalmente compatibile, della centralità dei contratti nazionali anche nell’ipotesi dell’introduzione del salario minimo, di una riduzione del cuneo fiscale per rimpolpare le miserabili buste paga di chi lavora, di una riduzione dei parlamentari accompagnata da una nuova legge elettorale, proporzionale e rispettosa delle minoranze sia politiche che linguistiche.
Non si parla più di flat tax ma di prelievo fiscale crescente per i redditi più alti come prevede la Costituzione. Sulla sicurezza, infine, Conte ha promesso qualche passetto in avanti nell’alveo dei suggerimenti del presidente della Repubblica Mattarella. Passetti timidi, forse troppo, un salvagente per i migranti in mezzo al mare e qualche manganello in meno in piazza sulla testa di operai e movimenti. Solo i comportamenti concreti consentiranno di esprimere un giudizio compiuto.
Il governo Conte-bis è oggi pienamente operativo dopo l’ok del presidente Mattarella e il voto favorevole delle due camere. Con qualche mal di pancia sia in casa grillina che nelle fila del segretario Pd Zingaretti. Il cambiamento a Palazzo Chigi è stato accompagnato, sostenuto, quasi spinto da un’Unione europea terrorizzata da un’invasione di campo sovranista capace di turbare gli equilibri rigoristi tra popolari e socialisti. E così l’ex-premier Paolo Gentiloni ha ottenuto dalla presidente von der Leyen la poltrona più ambita, quella di commissario all’economia, sia pur sotto il controllo stretto del popolare lettone Dombroskis, guardiano dell’ortodossia liberista e dell’ossessione sul debito.
Gentiloni cercherà di agevolare politiche espansive e spingerà per rivedere il suicida (per i paesi mediterranei) accordo di Dublino sulle migrazioni che scarica il problema epocale sugli stati di prima accoglienza. Non sarà un’impresa facile per il moderato e atlantico Gentiloni in un’Unione che non ha cambiato il suo segno politico né riconquistato autonomia rispetto alla centralità franco-tedesca. Non sarà facile, con un ministro degli esteri italiano come Giggino Di Maio, nominato come premio di consolazione dopo la perdita della poltrona di vice-premier. Sui social impazzano le battute sul ministro che non conosce le lingue straniere, e dietro le quinte si dice che la nomina di Di Maio alla Farnesina serve a smentire le voci secondo cui l’Italia esporta all’estero solo cervelli.
Per ora, tra Pd e M5S è luna di miele che non cancella però differenze e antichi rancori. E oltre al benevolo atteggiamento dell’Europa nei confronti di un’Italia desovranizzata (in Parlamento), segnali positivi arrivano da altri fronti, come se il mutato assetto politico spingesse il contesto a correggere il tiro. Importante la decisione pur tardiva dei social media di chiudere i profili su Facebook e Instagram dei profili di Casa Pound e Forza Nuova che rilancia la richiesta dei partigiani dell’Anpi di sciogliere associazioni e partiti fascisti e razzisti.
E dall’apertura della crisi ferragostana da Viminale-beach decisa da Salvini, la magistratura ha favorito lo sbarco di migranti lasciati a deperire alla fonda. Persino il caso ci si mette a lanciare segnali di svolta: nel giorno in cui Salvini e Meloni manifestano davanti a Montecitorio tra i saluti romani di Casa Pound, il fascismo italiano perde uno dei suoi “maestri”, il burattinaio delle stragi nere Stefano delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale, lungamente in affari con i servizi segreti.
Riusciranno il Pd e nel suo piccolo Leu ad approfittare dell’opportunità imprevista di ridefinire una loro identità autonoma dai due pensieri dominanti, liberismo e sovranismo, e dunque a riconquistare un po’ di consenso tra le fasce più deboli della popolazione, tra i lavoratori, in quella parte della società che ha pagato e paga i prezzi più alti della crisi, vedendo aumentare ingiustizie e diseguaglianze? E’ questa la scommessa principale, un fallimento consegnerebbe su un piatto d’argento l’Italia a un Salvini senza più contrappesi, un Salvini con i pieni poteri. Dalla Cgil, Maurizio Landini ribadisce che il sindacato non ha e non deve avere governi amici o nemici, sono le politiche economiche e sociali a formulare giudizi, atteggiamenti, vicinanze e distanze, applausi o proteste e scioperi.
La Cgil chiede coraggio, investimenti pubblici e privati per rilanciare un’economia pulita, defiscalizzazione degli aumenti contrattuali. Chiede il ripristino dei diritti del lavoro cancellati dai governi di ogni colore, a partire dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Pretende che venga ripristinato il ruolo di interlocutore dei corpi intermedi e, continua a chiedere una legge sulla rappresentanza sindacale per farla finita con i contratti pirata inventati dai padroni con organizzazioni compiacenti. I contratti di lavoro in Italia sono più di 800. Landini chiede un po’ troppo, per un M5s da sempre poco attento ai diritti dei lavoratori e per un Pd che ha sulla coscienza leggi odiose come il jobs act? Ma almeno qualche segnale il nuovo governo dovrà darlo, se non vuole essere picconato dalle tute blu, prima ancora che da Salvini.
Questo articolo è in uscita sulla rivista svizzera Area