Landini, segretario Cgil da 6 mesi: "Le battaglie devono essere collettive"

30 Luglio 2019 /

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di Loris Campetti
Sei mesi fa Maurizio Landini veniva eletto segretario generale della Cgil da una maggioranza ben più ampia di quella accumulata durante la sua esperienza alla guida della Fiom. Sei mesi rappresentano un periodo troppo breve per azzardare un bilancio, si può dire che l’ex leader della Fiom sia ancora in rodaggio. Eppure, non si appella ad alcun emendamento, non si avvale della facoltà di non rispondere.
Di fronte alla folta platea che riempie l’area dibattiti della festa della Cgil di Carrara, Landini risponde alla mia domanda: cosa ti aspettavi di trovare nella confederazione, cosa hai trovato e cosa non hai trovato?
“Cercherò di essere sincero. Tutta la mia vita precedente l’ho vissuta dentro una categoria, iniziando come operaio saldatore fino al vertice della Fiom. Un’esperienza entusiasmante. Prendere in mano la Cgil è la cosa più difficile che mi sia capitata nella mia vita. Io per primo, ma direi tutti noi dobbiamo entrare in un’ottica più generale, superando settorialismi e compartimenti stagno. La prima considerazione riguarda il fatto che non esiste in Italia un’altra organizzazione come questa, capace di raccogliere oltre 5 milioni di uomini e donne che la sostengono investendo l’1% del proprio stipendio. Ogni anno le nostre strutture entrano in contatto con 10-12 milioni di persone. Credo che come sindacato noi si debba valorizzare ancora di più gli uomini e le donne che hanno scelto di farsi rappresentare da noi, valorizzare significa far crescere la partecipazione. I nostri delegati, che rappresentano una ragnatela di democrazia, non devono limitarsi a rispondere alle domande che vengono loro poste da chi ha problemi e difficoltà sul lavoro, rovesciando la logica i problemi e le persone vanno cercate e la soluzione va trovata insieme. La confederalità è fondamentale per coinvolgere tutte le categorie e metterle al lavoro per scandagliare il territorio, cercare le ingiustizie, le diseguaglianze di trattamento per persone che fanno lo stesso lavoro ma non hanno gli stessi diritti e gli stessi contratti ma salari, orari, pause, integrativi diversi, chi ha la mensa e il parcheggio e chi deve pagare l’una e l’altro, pur svolgendo, lo ripeto, la stessa mansione. La competizione dev’essere con chi sta in alto e non rispetta la dignità di chi lavora e non tra lavoratori. La confederalità deve voler dire passarsi la palla, essere sindacato deve voler dire battersi per garantire a tutti gli stessi diritti, contrastando la logica inaccettabile su cui si fonda il jobs act. Dobbiamo avere coraggio e affrontare senza inganni i problemi sul tappeto, ridiscutere insieme cosa, come, dove produrre, mettendo al centro la sostenibilità ambientale”.
Landini non fa la maestrina analizzando pregi e difetti del sindacato che dirige, preferisce indicare la strada da percorrere, la direzione di marcia e lo fa con l’esempio diretto.
La strada indicata ha un nome, anzi due: “contrattazione inclusiva” e “sindacato di strada”. “Per raggiungere obiettivi importanti, aggiunge, serve l’unità sindacale, come la storia del secolo scorso ci insegna. Ma non esiste unità sindacale che non parta dal basso, e cioè dall’unità dei lavoratori”. Più facile a dirsi che a farsi, per le conseguenze di divisioni, rotture, incrostazioni burocratiche, per la frantumazione della filiera lavorativa. Contrattazione inclusiva e sindacato di strada sono un’alternativa o un’evoluzione della “coesione sociale” che lo stesso Landini aveva lanciato da segretario Fiom? Quella proposta aveva messo in moto molte speranze, forse più all’esterno che all’interno del sindacato, e infine si è arenata. Presupponeva un’apertura delle Camere del lavoro al territorio, ai soggetti colpiti dalla crisi, alle pratiche di opposizione e di resistenza alle risposte neoliberiste alla crisi dello stesso neoliberismo. Qual è il bilancio che fai di quella proposta?
“Non era chiara la finalità sindacale, evidentemente non eravamo stati capaci di presentarla nel modo giusto. Ho passato troppo tempo a smentire chi mi chiedeva quando mi sarei lanciato in politica, come se la coalizione sociale nascondesse in realtà un partito in luce. Così alla fine è stata lasciata cadere”.
La caduta della coalizione sociale non dipende anche dal fatto che non basta mettere insieme leader riconosciuti nel mondo dell’impegno sindacale, sociale, ambientale, pacifista per far scoccare la scintilla?
“Questa è la ragione principale del venir meno della proposta: non si può partire da un accordo tra gruppi dirigenti senza mettere prima in moto una partecipazione straordinaria delle persone, un lavoro collettivo, la socializzazione e la messa in comune di pratiche ed esperienze differenti ma indirizzate verso gli stessi obiettivi. Il nostro compito principale, oggi. Resta la ricostruzione della solidarietà tra le persone”.
Tu sostieni l’autonomia del sindacato da padroni, partiti e governi, la sua indipendenza per usare le parole di un grande dirigente sindacale che ci ha lasciati, Claudio Sabattini. Ma ora parlare di governo amico o ancora di più di partito di riferimento farebbe sorridere: non è mai stato così chiaro come oggi che governi amici non esistono e di partiti di riferimento non se ne vede neanche l’ombra. Semmai il problema è la fine della rappresentanza politica dei lavoratori che non hanno più neppure una sponda. Landini non perde tempo a cercare la risposta, ce l’ha sulla punta della lingua.
“Il patto di Roma del ’44 che diede forma alla Cgil come sindacato indipendente di tutti i lavoratori, a prescindere da idee politiche, religiose, dal colore della pelle, fu firmato dai principali partiti antifascisti, da Pci, Psi e Dc. Oggi di quei partiti non ne esiste più neanche uno. La rottura della rappresentanza dei lavoratori fa sì che per la maggioranza dei giovani non significhino nulla le parole destra e sinistra che per me e per voi che siete qui conservano un significato. Le famiglie storiche della sinistra sono in crisi in tutt’Europa, ma quei partiti, quelle famiglie non si chiedono il perché. Eppure, non ci vuol molto a capire che se un partito fa una legge come il jobs act che colpisce la dignità dei lavoratori autorizzando i licenziamenti ingiusti e prevedendo soltanto il pagamento di trenta denari, poi non può stupirsi se il suo consenso elettorale crolla. E vengono a chiedermi come mai tanti iscritti alla Cgil votino altri partiti, magari populisti, o più facilmente non vanno a votare. Dovrebbero rovesciare la domanda e chiedersi come mai così tante donne e tanti uomini delusi dalla politica e dalla sinistra scelgano invece di stare nella Cgil, dove si sentono a casa loro”.
Gli applausi confermano la capacità di Landini di cogliere i sentimenti, la volontà e anche la rabbia di quello che fino a poco tempo fa, fino a prima del rovesciamento del senso di una parola, avremmo chiamato il popolo della Cgil.
In una situazione di tipo libico l’Italia si trova con tre governi in guerra tra di loro ma i partiti che lo compongono sono insieme governo e opposizione, per abbandono del campo da parte degli altri soggetti politici. Tu hai incontrato il governo di Di Maio, quello di Salvini e, per ultimo, quello di Conte. Che impressione ne hai tratto?
“L’improvviso interesse del governo, o dei governi se preferisci, per i sindacati dopo un anno in cui ogni nostra proposta, sciopero, iniziativa veniva ignorata è il prodotto delle grandi mobilitazioni di Cgil, Cisl e Uil a partire da febbraio. Abbiamo detto e ribadito che si chiamano governo del cambiamento ma non cambiano niente, nessun cambiamento positivo è possibile senza o peggio contro lavoratori, pensionati, precari, sindacati. E se cambiano, come avviene oggi, cambiano in peggio. In alcuni incontri ci siamo trovati circondati dai leader di altre 40 organizzazioni sindacali, molte a me sconosciute. Vuoi sapere una cosa? Cgil, Cisl e Uil erano le uniche critiche con il governo. Questo conferma la nostra richiesta di un legge sulla rappresentanza sindacale. Tornando da un’iniziativa mi sono fermato a un autogrill a prendere un caffè. Mi ha servito un compagno della Cgil che mi ha detto: noi qui abbiamo riconosciuti contratto e diritti, nell’esercizio dall’altra parte della strada hanno un contratto diverso con meno diritti di quelli che ho io. Nella convocazione al Viminale c’erano soltanto ministri leghisti, ognuno di loro ci ha spiegato quel che fa tranne Salvini. Volevano solo comunicarci che intendono fare la flat tax. Allora sono io che mi sono rivolto al vicepremier per spiegargli che siamo contro i porti chiusi e il decreto sicurezza, che siamo per l’accoglienza, per la progressività del prelievo fiscale e dunque contro la flat tax. Gli ho detto che per Cgil, Cisl e Uil il problema sono le centinaia di migliaia di giovani che scappano all’estero e non i migranti che sbarcano sulle nostre coste. L’ultimo incontro governativo l’abbiamo avuto con il presidente Conte, a cui abbiamo consegnato il documento unitario sul fisco e spiegato che al centro dell’impegno del governo dovrebbe essere la lotta alla diseguaglianza che le politiche fatte a tutt’oggi hanno contribuito ad aumentare. Se il 10% possiede in Italia il 50% dei patrimoni, chiedere un contributo del 5% ai più ricchi sarebbe un atto di giustizia pienamente rispondente al mandato costituzionale. I soldi vanno presi dove sono, non dalle tasche di lavoratori e pensionati che sono praticamente gli unici a pagare le tasse. Digitalizzazione e riduzione del danaro circolante, lotta all’evasione fiscale, ecco cosa abbiamo detto a Conte e ai ministri presenti, e il danaro recuperato dev’essere utilizzato per ridurre le tasse al lavoro dipendente e per investimenti pubblici. Tria ha garantito la progressività del prelievo fiscale, peccato che all’incontro non ci fosse neanche un ministro leghista. Anzi, qualche ora dopo l’impegno di Tria, Salvini l’ha contestato pubblicamente e contraddetto. Abbiamo in calendario altri due incontri con il governo Conte, ma sia chiaro che se non ci saranno concrete inversioni di tendenza nelle politiche economiche e fiscali siamo pronti alla mobilitazione generale”.
Molti faticano a comprendere le ragioni dell’opposizione della Cgil al salario minimo proposto dal M5S. Vuoi spiegarne le ragioni?
“Semplice, noi siamo per il salario massimo, cioè per garantire a tutti le stesse voci salariali previste dai contratti nazionale e di categoria, maternità, straordinari, ferie. Solo così possiamo accettare una legge sul salario minimo. L’Italia è uno dei pochi paesi a godere di due livelli salariali, è una conquista che va difesa ed estesa a tutte le persone che lavorano, a tempo indeterminato, a termine, a part-time, in somministrazione, a partita iva e via dividendo. E’ evidente che senza le garanzie che ti ho detto il salario minimo sarebbe utilizzato proprio per demolire i due livelli di contrattazione, obiettivo perseguito non da oggi dai padroni e non da oggi dai governi di ogni colore che si sono succeduti”.
Le ultime domande erano troppo facili. Per chiudere questo incontro, caro segretario, parliamo di Tav, un tormentone che va avanti da tre decenni, utilizzato per scopi partitici senza mai tenere conto delle popolazioni interessate direttamente dalla grande opera. Non c’è solo un problema di costi e convenienze economiche, c’è anche e prima un problema di democrazia. Tu hai detto ‘finalmente hanno preso una decisione’, una dichiarazione che ha deluso un po’ di persone, dentro e fuori la Cgil, che ti stimano.
“Indubbiamente esiste un problema di democrazia nel rapporto con la Val di Susa, ma non puoi negare che il Tav interessi anche chi non abita in valle. Non lo dico per giustificare un cambiamento di posizione passando dalla Fiom alla Cgil. Seguito a pensare che incarognirsi sul Tav, da una parte come dall’altra, è un errore. Il problema vero da affrontare è quello della mobilità, via terra su gomma su rotaia e via mare. Serve un piano nazionale dei trasporti, non lo puoi discutere pezzetto per pezzetto, grande opera contro piccola opera, Tav contro il collegamento ferroviario tra Tirreno e Adriatico. Sono andato a Matera, capitale della cultura, ho visitato una stazione bellissima, peccato che non ci siano i binari perché a Matera non arrivano i treni. L’Italia sta in mezzo al mare, dovrebbe diventare il polo logistico e la culla culturale del Mediterraneo. Perché non parliamo di questo?”.
L’odore della rosticciana che arriva dalle cucine dove i volontari della Cgil preparano la cena per le tantissime persone venute ad ascoltare il loro segretario si impone sulle riflessioni appassionate di Landini e il passaggio a livello si chiude inesorabilmente, imponendo l’alt anche all’alta velocità. L’intervista è durata due ore, i presenti sembrano decisamente soddisfatti anche se non c’è stato il tempo per gli interventi. La lunga estate del segretario va avanti incontro dopo incontro, tra una festa e un appuntamento con gli africani che lavorano come bestie a raccogliere pomodori e come bestie sono stipate in luoghi indegni. Sarebbe bello se domani si sentissero un po’ meno soli, grazie al sindacato di strada.

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