di Vincenzo Vita
La tanto mitizzata «rivoluzione digitale» campeggia da tempo – a proposito o a sproposito – nel dibattito pubblico. Intendiamoci. È un tema di primissima grandezza, che si sostanzia nella nuova stagione del capitalismo delle piattaforme. Tuttavia, è bene sempre ricordare che sotto l’enfasi euforica si cela un vasto territorio di conflitti, spesso invisibili perché lontani dalla ribalta o dai consueti schemi interpretativi della vecchia politica. Le lotte dei riders hanno rotto il velo di silenzio, ma l’incipiente controinformazione è stata rapidamente frenata dall’omologazione culturale dominante.
A proposito di piattaforme, spicca il caso di Amazon, in mano al potentissimo Jeff Bezos ed esempio di scuola di come sia mutato il volto dell’accumulazione: da un lato livelli sempre più alti di innovazione tecnologica, dall’altro uno sfruttamento brutale della forza-lavoro che permette a basso costo la diffusione capillare dei prodotti. La società statunitense è finalmente entrata nei radar dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha competenza di vigilanza anche sul settore postale.
Oggi il business sta nella consegna dei pacchi (nel 2018 sono stati consegnati 569 milioni di esemplari con un fatturato di circa 4,4 miliardi di euro), mentre sono in crisi le lettere di corrispondenza ampiamente soppiantate da mail e quant’altro. L’e-commerce sale di peso, via via pure in Italia. E Amazon è l’unica struttura online verticalmente integrata nel comparto. In odore, in base alle regole europee, di posizione dominante. L’Agcom ha, infatti, pubblicato, con la delibera n.350/19/CONS del 20 settembre scorso, il documento di consultazione pubblica, teso proprio ad indagare sullo stato delle cose.
Il bel documento passa in rassegna i problemi e, soprattutto, pone i quesiti essenziali. Amazon è il riferimento dialettico dichiarato o meno delle condizioni cui l’Autorità si riferisce come tasselli preliminari di ogni discorso. «…gli Uffici osservano che un fattore che può comportare l’alterazione del gioco concorrenziale è rappresentato dall’applicazione da parte di alcuni operatori di contrattazioni differenziate e non omogenee rispetto a quelle ordinariamente e storicamente applicate nel settore…»
Così recita un passo importante del testo, cui seguono altri spunti significativi, che riprendono aspetti già trattati nella direttiva 2008/6. Il cuore dell’attenzione è costituito giustamente dal rispetto delle normative contrattuali e dalla cura della sicurezza sul lavoro. Insomma, il titolo abilitativo concesso ad Amazon non giustifica la concorrenza sleale verso Poste italiane, che ha l’obbligo del servizio universale, e verso gli altri operatori. E tantomeno lo sfruttamento schiavistico della nuova servitù della gleba, senza orari e senza tutele.
Il documento dell’Agcom, dalla gestazione sofferta e si capisce perché, non è ancora definito, in attesa dei contributi. C’è da augurarsi che la ormai vicina scadenza della consiliatura già prorogata non rimandi tutto alle calende greche.
La delibera in materia postale, chiara e ben curata, è un esempio di come – se vuole – la sfera pubblica è in grado di incidere sulle magnifiche sorti dei Grandi Fratelli, degli Over The Top. È doveroso uscire dalla sudditanza culturale e psicologica nei riguardi di gruppi grandi ma non infallibili. Sono in gioco diritti fondamentali ed è ora che si immagini un corpo normativo moderno e di sistema, senza disperdersi in rivoli secondari. Ne ha parlato il sottosegretario con delega all’editoria Andrea Martella. Chissà mai che ci riesca.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto il 6 novembre 2019