di Lorenzo Marsili
Mai abbiamo raggiunto un livello di sviluppo paragonabile a quello attuale. Mai siamo stati in grado di produrre così tanta ricchezza. Mai abbiamo avuto condizioni migliori per garantire a ogni persona il diritto alla felicità. Eppure povertà, precarietà e solitudine accompagnano la vita di sempre più persone, mentre l’emergenza climatica trasforma i bollettini Onu in distopia quotidiana. Non esiste prova più evidente della bancarotta del nostro sistema che questa contraddizione fra ciò che potremmo essere e ciò che invece siamo. Qui sta la sconfitta della sinistra. Mentre si accende uno sterile scontro con l’Ue ci troviamo dinanzi a un’opposizione a destra di questo governo. Criticare Salvini e Di Maio invocando la fiducia dei mercati, lo spread e la disciplina significa suonare la campana a morto per ogni idea di futuro. La sfida è trasformare un sistema marcio, non aspirare a una supposta normalità europea che non regge più.
Ma cambiare il sistema non significa accendere inutili polemiche quotidiane per richiedere scampoli di flessibilità da gettare in campagna elettorale. Non significa avanzare proposte quali la flat tax, per fare pagare meno chi più guadagna. Tutto questo non è che piccolo cabotaggio clientelare. Una versione più cialtrona e più crudele di quanto faceva Matteo Renzi.
L’Europa ha di fronte a sé un’opportunità storica: mostrarsi all’altezza dei moniti dell’Onu sull’incipiente disastro climatico e rimettere al lavoro un continente per salvare un pianeta. Serve una richiesta chiara a Bruxelles: un piano di investimenti verdi per costruire l’economia di domani, raggiungere la piena occupazione e salvare i nostri figli dalla crisi climatica. I soldi ci sono: basta fermare l’evasione fiscale delle multinazionali permessa dall’assenza di una comune fiscalità europea. Gli alleati con cui farlo non sono il governo autoritario di Orbán ma i verdi europei; non il nazionalismo francese di Le Pen ma il nuovo socialismo spagnolo e portoghese.
Nel frattempo, direte, la procedura di infrazione incombe. E allora si può iniziare già in Italia. Da un lato cancellando ogni velleità di flat tax e rimodulando la spesa corrente per tornare a una traiettoria fiscale sostenibile di deficit strutturale discendente. Dall’altro, e come contropartita, lanciando un piano straordinario di investimenti verdi pari a 50 miliardi di euro, il 3 per cento del Pil.
Non possiamo arrenderci al declino industriale, dalla Whirlpool all’Ilva: servono risorse per affiancare le imprese nella riconversione ecologica e nell’aggiornamento tecnologico per aumentare produttività e valore aggiunto. Non possiamo accettare che 300.000 italiani debbano emigrare ogni anno: occorre raddoppiare il bilancio in ricerca e sviluppo e creare lavoro nella Pa, nelle università e nella cura del territorio. Non possiamo buttare 40 miliardi l’anno per importare gas e petrolio dalle peggiori dittature: serve raggiungere l’autosufficienza energetica 100% rinnovabile e lanciare un piano di efficientamento sul patrimonio immobiliare per abbattere le emissioni di CO2 e la bolletta energetica e rimettere in moto le costruzioni.
Tutto questo potrebbe sostituire, già oggi, l’inconcludente avanspettacolo politico di cui siamo vittime. Ma come? Pare mancare quella forza, come scriveva Tomaso Montanari su queste pagine, capace di rovesciare il mondo dalle fondamenta. Cosa avverrà prima: un ravvedimento delle componenti più dinamiche del M5S, una trasformazione del Pd, la nascita di un nuovo movimento rossoverde capace di offrire un’alternativa a governo e opposizione? Ciascuno si spenda là dove può. La scelta è chiara. Vivere fino alle estreme conseguenze il paradosso di un mondo mai così ricco e mai così cupo. Oppure rimettere al lavoro un Paese e salvare un pianeta.
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano l’8 giugno 2019