Rifondare la sinistra per riempire le urne

3 Giugno 2019 /

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di Tomaso Montanari
Esattamente come nel 2014, il dato più rilevante che emerge dalle urne delle Europee viene sistematicamente rimosso dal dibattito e, ciò che è più grave, dalla coscienza politica e dal senso comune: l’astensione. Come allora per l’effimero “trionfo” di Renzi, oggi per quello di Salvini e per la presunta resurrezione del Pd, tutte le stime vanno esattamente dimezzate. E anzi: se nel 2014 l’astensione fu pari al 41,3% (circa 20,3 milioni di elettori), e fu il record negativo di sempre in Italia, oggi siamo arrivati al picco del 43,7 % (non hanno, cioè, votato, 21 milioni e mezzo di cittadini), con punte oltre il 60% in Sicilia e in Sardegna.
Tutto questo significa che sul 100% reale degli aventi diritto al voto, la Lega ha il 19% dei consensi (Renzi nel 2014 ne aveva il 23,3%), il Pd il 12, il Movimento 5 Stelle il 9: questi i numeri che si dovrebbero citare quando si parla del consenso presso “gli italiani”. Mai il primo partito d’Italia aveva avuto così “pochi” voti. Ed è qui forse la chiave per interpretare il risultato. Non per ridimensionare lo choc del successo della destra estrema razzista e venata di esplicito neofascismo di Salvini, cui si devono sommare i voti ai Fratelli, per ora separati, d’Italia: in un blocco complessivo di 10.901.397, che include cioè un italiano su 4,7.
Al contrario, per contrastarlo parlando alla stragrande maggioranza che non li vota: anzi, che non vota proprio. E cioè per provare a riavvicinare l’Italia al resto d’Europa, dove non hanno affatto vinto le destre (nonostante l’impresentabilità dell’establishment e delle politiche europeistiche popolari e socialiste), ma semmai i Verdi (con 70 seggi contro 58 all’Europarlamento).
Vista da sinistra, la domanda è: esiste una forza in grado di contrastare questa destra con una visione davvero alternativa, e con la capacità di costruire consenso, riportando al voto almeno un 10% di coloro che si sono astenuti domenica scorsa? La risposta è no: attualmente non c’è.
Ed è questa assenza, non le dimensioni dell’attuale consenso (potenzialmente volatile), la vera assicurazione sulla vita di Salvini. Né il Movimento 5 Stelle né il Partito democratico sono stati in grado di proporre una visione dell’Europa, dell’Italia o di alcunché che riuscisse a tener testa alla distopia nera di Salvini. Perché la visione di futuro che ha quest’ultimo è certo mostruosa, ma c’è: mentre dall’altra parte non si trova nulla, se non la consacrazione dell’orrendo stato delle cose (Pd), o un confuso balbettìo che dice tutto e il suo contrario (5 Stelle).
La strategia renziana del pop corn ha funzionato, ma in modo diverso dal previsto: la scelta del Pd di mandare al governo i grillini e i leghisti ha ucciso i primi (è vero), ma ha premiato Salvini, non il Pd. Un vero capolavoro. Di tutte le panzane post-elettorali quella più incomprensibile riguarda proprio la presunta “resurrezione” dei Democratici: che perdono non solo oltre 5 milioni di voti rispetto alle Europee del 2014, ma addirittura altri 116.000 rispetto al tragico 4 marzo 2018. Non c’è stato, dunque, nemmeno il “rimbalzo del gatto morto”: la metafora giusta è semmai che, arrivati al fondo, si è cominciato a scavare. Il che significa che la “calendizzazione” del simbolo e della identità del partito di Zingaretti è stata l’ennesimo suicidio annunciato.
I 5Stelle hanno pagato in un epocale bagno di sangue (oltre sei milioni di voti in 14 mesi) la loro spaventosa virata a destra: da argine si sono fatti fiume, e di fronte ai servi sciocchi di Salvini, gli elettori di destra del Movimento hanno preferito votare direttamente il padrone. E il grottesco miniplebiscito su Rousseau che dovrebbe aver rimesso in sella Di Maio è il più evidente segno di una definitiva perdita di lucidità che rischia di essere fatale non al capo politico (già, nei fatti, finito), ma al Movimento.
Della cosiddetta Sinistra, già morta il 4 marzo 2018, non mette conto parlare: ha preso meno voti delle schede nulle, e se questo ceto politico di sabotatori non si decide a trovarsi un lavoro fuori dalla politica, rimane solo da spargere il sale su macerie già da sole, comunque, infeconde.
In conclusione, credo si avvicini il momento in cui dovrà nascere a sinistra un partito radicalmente nuovo, capace non di parlare agli attuali votanti, ma di riportare alle urne un popolo che pensa e fa “politica” di sinistra ogni giorno, ma non vota più. Un partito capace di infilare una lama nella contraddizione della Lega, che prende i voti dei poveri ma sostiene per intero il dogma liberista che li terrà poveri per sempre. Un partito che riattivi un conflitto sociale ricchi-poveri, togliendo terreno a quello tra poveri bianchi e poverissimi neri costruito da Salvini.
Un partito che lotti per poche cose: ambiente, patrimoniale, diritto alla salute, al lavoro vero e all’istruzione. Un partito che (per ora) non c’è.
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano il 1 giugno 2019

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