di Silvia Napoli
Non è trascorso molto tempo da quando abbiamo chiacchierato con l’artista a tutto campo Eleonora Danco, di formazione artistica e nascita romana, di infanzia terracinese, in occasione della sua esibizione presso i giardini d’acqua del Cavaticcio, ospite della programmazione estiva del Cassero, a Bologna.
In quella occasione Danco aveva presentato su invito del curatore recente Premio Ubu, Daniele del Pozzo, una sorta di medley dai suoi lavori in solo più conosciuti, che però tutto si possono definire fuorchè monologhi, mostrando nonostante la penalizzazione obbligata dovuta alla location patita dal suo personalissimo light design, la stoffa verace dell’autore o autora, che fa discutere e non può lasciare indifferenti.
Vuoi per il ritmo adrenalinico dello spettacolo, vuoi per lo spiazzante effetto di essere sempre megafono vibrante di voce di donna, in grado di uscire con disinvoltura dallo stereotipo della narrazione al femminile, vuoi per l’altra inconfondibile caratteristica di essere sempre lei, persona e folletto, eppure di esplicitare sfacciatamente la voglia, il rischio, la presunzione di essere comunque anche tanti altri, Eleonora trascina anche i più tiepidi in un gioco di rimandi tra alto e basso, triviale e sublime, commozione e risata che non ha poi cosi tanti esempi in Italia e tra le attrici brillanti. Soprattutto perché Danco, non parodia, non scimmiotta, non dileggia, non imita, non caricaturizza, ma “è”, in acting, come esattamente e convintamente farebbe un performer di arti visive accompagnando il tutto, con la sapida maestria della stand up comedy di matrice anglosassone volutamente declinata alla “noantri”.
E qui si sente la ormai lunga storia formativa e autoformativa di Danco, che spazia tra arti, tecniche, discipline, ma anche consolidate palestre di mestiere e influenze subliminali di rango, che possiamo elencare alla rinfusa:scuola di teatro di Gigi Proietti, tv delle ragazze, Nanni Moretti, chi più ne ha più ne metta.
Il tempo con i suoi fili sottili, fragilissimi eppure capaci di imbragature degne di un palombaro è in realtà il sottotesto speculativo su cui pattina o forse “surfa” Danco, intenzionata a persistere sulla superficie, per non sprofondare, ma anche ben decisa ad evitare voli pindarici e idealismi e a riatterrare velocemente quando troppo ci si eleva anche solo per sfuggire Nonostante questa sorta di disperazione filosofica del Tempo, questo sembra essere dalla parte di Danco e perché, come dice lei stessa, il suo lavoro riesce ad evolvere pur lottando contro se stesso per costruirsi e perché la fibra costitutiva di Danco persona sembra essere quella del puer aeternus.
Da mettere dunque in calendario questo ritorno bolognese, concretizzatosi tra la produzione del Teatro di Roma, dunque una consacrazione in patria, Arena del Sole, che sa guardarsi intorno acutamente, patrocinio e cura di GenderBender, collaborazione con la Cineteca per una speciale proiezione cui vanno aggiunti incontri con studenti del Dams e dell’Accademia.
In poche parole una ospitalità intensa lunga una settimana, davvero cosa usualmente purtroppo insolita per le artiste, che si pone come una sorta di prima bolognese per l’ultimo lavoro teatrale di Eleonora, unita ad una chicca cinematografica che si presenta come un omaggio della città a questo talento mercuriale.
Pertanto, oggi, 8 maggio, cinema Lumiere, alle 20, viene proiettato e poi forse commentato o chiacchierato da Daniele del Pozzo, Lodo Guenzi di Stato Sociale e il filosofo Stefano Bonaga, il lungometraggio N-Capace, pensato, girato interpretato e diretto da Danco stessa, già glorioso di molteplici premi e segnalazioni, un lavoro ibrido, tra autofiction e documentario, prodotto da Barbagallo, storico produttore e sodale del Nanni nazionale.
Un lavoro surrealista eppure immerso nella realtà di province, periferie e litorali alla ricerca dei perché della propria infanzia e un po’ forse pasolinianamente dei pudori perduti, il tutto filtrato da riferimenti visivi colti saccheggiati dalla Storia dell’Arte. Un ‘opera prima davvero intrigante il cui evento è stato costruito manco a dirlo, da Eleonora stessa, scegliendosi dunque la filosofia e la musica come numi tutelari ulteriori alle ispirazioni succitate.
Del resto, la musica è anche importantissima in questo lavoro che si può vedere all’Arena dal 9 al 12 maggio e intitolato, con il consueto gioco di parole enigmistico-demenziale, D eversivo:già record di incassi all’India di Roma, si connota come una piece molto pensata e scritta, nonostante l’apparente svagatezza e la scarsa efficacia dei tre alter ego dell’attrice –autrice regista Eleonora: una scrittrice, un’attrice indipendente e una regista, guarda caso, che sembrano girare in folle intorno al loro fare che dovrebbe coincidere con l’essere, nonostante le frustrazioni produttivo-burocratiche, ma sarà davvero così?
Quanto il proprio dentro, il proprio io domestico è permeabile alle contraddizioni, alle aporie, alle insensatezze palesi del fuori? Alla fine, anche fisicamente, la stessa messinscena teatrale si prende tutto lo spazio disponibile sul palcoscenico, ma le luci e la techno che la fanno da padroni non sono più solo funzionali ad un discorso performativo, ma rappresentano la condizione umana tutta, assillata da ogni lato da un modo-mondo pieno di incagli, intralci, smottamenti, perdite di tempo e di fiducia, eppure scandita da tempi stabiliti forse prima che ci fossimo e in chissà quale dimensione.
Una slapstick comedy sul genere io-urbano sull’orlo di una crisi di nervi: Roma, con la sua mirabile imperfezione è il fondale teatrale perfetto ma ci sarà pure una nevrosi dell’urbanesimo funzionalista, ugualmente insidiosa. Sospetto che gli spettatori bolognesi saranno chiamati a riflettere su questo :intanto ce la potremo anche godere perché il foyer dell’Arena sarà in questi giorni aperto per djsets e spritz, in ossequio alla verve scanzonata dell’autrice e di GenderBender. Dunque, enjoy.