di Alfonso Gianni
Abbiamo alle spalle una giornata importante, quella del 25 Aprile, segnata da centinaia di iniziative in tutta Italia, a cominciare da quella nazionale di Milano. Si è respirata un’aria nuova. Soprattutto per la presenza rilevante di giovani e giovanissimi, al canto di Bella Ciao, la canzone simbolo della Resistenza, ormai universale, perché capace di scavalcare le frontiere e le barriere tra generazioni. Se ne è accorta anche Repubblica che ha dedicato ampi servizi alle manifestazioni, con un’attenzione particolare a quella di Roma, dove non sempre la partecipazione è stata così numerosa come in questa occasione.
Certamente si è trattato anche di una giusta reazione alle tante provocazioni messe in atto da gruppi fascisti e filonazisti, dalla oscena esposizione nei pressi di piazzale Loreto a Milano di uno striscione in onore di Mussolini, alle lapidi sbrecciate e alle statue bruciate che ricordavano vittime partigiane. E tutto ciò è potuto avvenire perché vi è un governo che si è diviso sulla memoria del 25 Aprile e un ministro degli interni che con le sue pose e le sue dichiarazioni ha infiammato un clima favorevole a simili atti di ostentazione della propaganda fascista. Ma forse non si è trattato solo di questo.
Si sentiva in quelle manifestazioni una voglia di uscire dallo scontato e dal tradizionale, di vivere l’antifascismo non come ricordo o consegna del passato, ma come dimensione modernissima della lotta politica. Del resto basta guardarsi intorno, in questa Europa che tra un mese ci chiama alle elezioni del suo parlamento, per vedere rifiorire in molteplici forme il fenomeno fascista. Che attecchisce anche tra gli strati popolari, come bene sappiamo dall’esame sociologico dell’elettorato leghista o dalle interviste diventate virali di operai spagnoli che dichiarano di votare per l’ultima sigla dell’ultradestra iberica Vox.
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Proprio per questa ragione a quel bel 25 aprile bisogna dare seguito con un altrettanto partecipato Primo Maggio. Guai, infatti, se il tema dell’antifascismo non si legasse strettamente a quelli della lotta sociale, in particolare per il reddito e il lavoro. Sarebbe una disfatta di fronte al populismo di destra. I temi di una riconversione ecologica dell’economia capace di creare nuovi e innovativi posti di lavoro; la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore a parità di salario, per combattere la disoccupazione tecnologica; l’istituzione di un salario minimo orario al di sotto del quale nessuno può scendere e al di sopra del quale parte la contrattazione sindacale per ulteriori miglioramenti; l’istituzione di un vero salario di cittadinanza, non quel topolino partorito dal governo pentaleghista che impone una serie di controlli avvilenti e che è di incerta applicazione; la reintroduzione delle forme di protezione contro i licenziamenti e la riconduzione del lavoro precario, diventato ormai norma, ad eccezione da motivare, sono le grandi questioni che abbiamo davanti.
La lista “La Sinistra”, che raccoglie le forze della sinistra di alternativa per costruire il 26 maggio una risposta sul piano europeo tanto alle elite di Maastricht quanto ai populismo di ogni sorta, non a caso le ha inserite nel suo programma. Ma non basta proclamare questi grandi obiettivi se poi non ci sono forze reali, ben al di là del voto, capaci di portarli avanti.
La Cgil ha cambiato i suoi vertici, ma deve quindi dimostrare una nuova capacità di trasformare la rappresentanza sindacale in articolazione della vita democratica e di organizzazione del conflitto sociale. Ma non è sufficiente, anche se importante, guardare solo nella direzione del sindacato tradizionale. Bisogna vedere e sapere riconoscere la nascita di nuove forme di lotta in settori finora neppure lambiti dal conflitto e dall’organizzazione sindacale, affinché possano irrobustirsi e generalizzarsi.
Faccio solo due esempi, molto recenti, a mio parere estremamente significativi dell’apertura di nuovi spazi conflittuali e di organizzazione nel mondo del lavoro. Il primo riguarda lo straordinario sciopero, durato quasi una settimana, che si è realizzato nella “città del libro” di Stradella, nell’Oltrepò pavese. Il magazzino di distribuzione più grande d’Italia (160.000 mq) ha smesso per tutti quei giorni di distribuire i libri che sono rimasti lì bloccati, mandando in fumo presentazioni, ordini, attese. L’intera filiera del libro ne è rimasta colpita. Ed è la prima volta che questo accade in quelle proporzioni. Del resto da Stradella ogni anno passano circa 60 milioni di copie.
Come si vede, il capitalismo ha articolato la produzione, rendendo in quel caso di minore efficacia lo sciopero rispetto al passato, ma tende a concentrare la distribuzione, costruendo degli enormi snodi che possono facilmente essere attaccati con successo. Come è avvenuto in questo caso, ove l’intesa finale ha riconosciuto passaggi di livello, stabilizzazioni dei contratti, salvaguardia del posto di lavoro, riconoscimento delle malattie gravi. Non è dunque vero che la ristrutturazione capitalistica di questi anni non abbia dei punti deboli e in particolare nello strategico settore della logistica.
L’altro esempio positivo è dato dalle lotte dei riders, i ragazzi-fattorino che sulle due ruote portano a casa dei clienti cene o oggetti comprati online. La costruzione di reti organizzative è già più avanzata in questo settore. Ma, proprio per questo, le forme di lotta diventano sempre più efficaci ed affilate. Se la vera ricchezza delle imprese risiede nel potere accumulare una serie di dati sulla clientela, su gusti e abitudini, da usare per sé o per rivenderli ad altre aziende, la forma di lotta più efficace è rendere pubblici questi dati, liberalizzare le informazioni. Usare i social in forma anche provocatoria diventa altrettanto, e forse più, efficace di un picchetto operaio ai cancelli. Accanto ad esempi positivi non si può tacere quanto di negativo si sia recentemente manifestato.
Il riferimento alla “sospensione” (o revoca?) dello sciopero della scuola, previsto per il 17 maggio, è d’obbligo. L’accordo raggiunto sul punto essenziale dell’autonomia regionale differenziata, che colpisce particolarmente la scuola e la sanità, è acqua sul marmo. Non garantisce alcun passo indietro del governo, la cui unica preoccupazione era comunque disinnescare uno sciopero a una settimana dal voto. Ma non è detto che le cose rimangano così, visto che su quell’accordo sta montando l’opposizione delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola.
Anche questo tema animerà dunque le manifestazioni del Primo Maggio che ci auguriamo diventino un altro momento della capacità di resistenza popolare a un disegno di costruzione di un regime a-democratico nel nostro paese, chiuso alle domande e al conflitto sociali.
Questo articolo è stato pubblicato da Jobsnews.it il 27 aprile 2019