Sudan: i rivoluzionari esortano l'esercito a unirsi al popolo

10 Aprile 2019 /

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di Giovanna Lelli, per il Comitato Europeo di Solidarietà con il Popolo Sudanese
Il 6 aprile 2019 una gigantesca manifestazione a Khartoum (Sudan) occupa i luoghi antistanti la sede delle Forze Armate, nell’intento di esortarle a unirsi al popolo. Le masse dichiarano che vi resteranno fino alla caduta del regime. Gli slogan sono semplici e chiari: “Cadi e basta”, “Pace, giustizia, libertà”, “La rivoluzione è la scelta del popolo”. Il 7 aprile il bilancio dei caduti sotto il fuoco delle forze dell’ordine (non dell’esercito) è di 5 morti e 17 feriti. Il a Aprile di 34 anni fa un’altra rivoluzione aveva rovesciato il regime militare islamista di Numayri (1969-1985), instaurando un governo democratico. Anche oggi i rivoluzionari si battono per la caduta del regime di Omar al-Bashir, giunto a potere con un golpe militare nel 1989.
Salvo rare eccezioni, l’Islam politico, che sia estremista o moderato, per il suo contenuto antidemocratico e reazionario, può considerarsi come una forma di fascismo. I movimenti islamici sono stati sostenuti militarmente e finanziariamente da USA e Arabia Saudita sin dalla fine degli anni Settanta del Novecento, a cominciare dall’Afghanistan, nell’intento di distruggere le forze socialiste e antiimperialiste nel mondo arabo, in Africa e in Asia.
Il governo di al-Bashir in Sudan, strumentalizzando la religione, ha instaurato un regime dispotico di oppressione, oscurantismo, discriminazione verso le donne, guerre (con il Sud, separatosi dal Nord nel 2011, e nella Darfur) e corruzione. Come nella maggior parte dei paesi arabi, il Sudan non ha un’economia produttiva, ma di rendita (esportazione del petrolio, speculazione immobiliare) controllata da una oligarchia politico-economica intenta all’arricchimento personale. Questo ha provocato inflazione, disoccupazione e povertà, aggravate dalle politiche di austerità richieste dai programmi di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale.
Ma la situazione economica e politica non basta a spiegare la rivoluzione popolare scoppiata nel Dicembre 2018. Questa è stata possibile grazie alla lunga eredità di lotte che caratterizza il paese, e alla maturità politica delle forze di opposizione determinate a instaurare un governo di unità nazionale e un’Assemblea Costituente. All’interno di questa coalizione democratico-popolare, accanto ai partiti moderati tradizionali (come i partiti Umma e Unionista), un ruolo decisivo giocano sia il Partito Comunista che l’Unione dei Professionisti Sudanesi, sindacato delle libere professioni che raccoglie i segmenti illuminati e rivoluzionari dell’intellighenzia.
Al-Bashir è ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità in Darfur. Nel 2017 gli USA hanno levato le sanzioni come ricompensa per l’impegno del paese nella “lotta contro il terrorismo”, due anni dopo la decisione di al-Bashir di partecipare alla guerra criminale contro lo Yemen guidata dall’Arabia Saudita, con la decisiva partecipazione degli USA.
Il silenzio della Comunità Internazionale sulla rivoluzione in Sudan, come le blande dichiarazioni di preoccupazione da parte delle diplomazie occidentali, equivalgono al sostegno al regime di al-Bashir e si spiegano solo con il carattere progressista della rivoluzione.
Il Sudan è un “cattivo esempio” per il mondo arabo, come dimostrano le proteste diffusesi di recente in Algeria. Gli USA considerano il Medio Oriente una regione di fondamentale importanza strategica sia dal punto di vista geo-politico, che militare e energetico. Essi non intendono permettere colà lo sviluppo di nazioni indipendenti e progressiste. Le potenze imperialiste e i loro alleati nella regione faranno tutto il possibile per impedire la vittoria della rivoluzione popolare.
Lavoriamo insieme ai sindacati sulla convergenza delle lotte in Italia e in Sudan. Chiediamo alle nostre istituzioni che facciano pressione sul regime di al-Bashir perché rilasci le migliaia di prigionieri politici, fra cui i dirigenti intellettuali arrestati nell’intento spezzare le redini della rivoluzione.

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