La questione migranti: Italia incivile, Europa incivile

4 Marzo 2019 /

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di Luigi Ferrajoli
Una politica disumana e illegale
Il principale segno di cambiamento manifestato finora dall’attuale sedicente “governo del cambiamento”,nato dall’alleanza tra la Lega e ilMovimento 5 Stelle, è la politica ostentatamente disumana e apertamente illegale da esso adottata nei confronti dei migranti. Il primo atto governativo è stato uno dei più vergognosi della storia della Repubblica: la chiusura dei porti inaugurata con il respingimento dell’Aquarius sul quale erano stati salvati dalla Guardia costiera italiana629 migranti, di cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte.
Il senso dell’operazione è stato quello di premere sull’UnioneEuropea, prendendo i migranti in ostaggio e costringendoli a una lunga e sofferta traversata fino al porto di Valencia dove il governo spagnolo, per ragioni umanitarie, aveva infine consentito l’approdo. Ha fatto seguito il blocco opposto ad altre navi, lasciate a vagare in mare con il loro carico sofferente di centinaia di persone, e poi la vicenda, in agosto, della nave Diciotti, dove la presa in ostaggio per dieci giorni di177 migranti è stata una chiara lesione del principio della libertà personale stabilito dall’articolo 13 della nostra Costituzione e perciò, come ha ritenuto la Procura di Agrigento, un sequestro di persona e un abuso d’ufficio.
L’aspetto più grave e chiaramente eversivo di questo reato è stato peraltro la sua aperta rivendicazione compiuta dal ministro, il quale ha per di più dichiarato di voler perseverare nella sua commissione, con l’evidente intento di alterare i fondamenti del nostro stato di diritto: non più la legalità costituzionale, ma il consenso elettorale quale fonte di legittimazione di qualunque arbitrio, persino se delittuoso.Siamo dunque di fronte a una gigantesca omissione di soccorso e alla violazione di principi elementari di diritto interno e di diritto internazionale sulla protezione dovuta alle persone in mare in pericolo di vita.

Sono state anzitutto violate le norme del codice penale con i reati contestati al ministro Salvini dai pubblici ministeri di Agrigento. Con la chiusura dei porti sono stati inoltre violati l’articolo 593, 2° comma del codice penale sull’omissione di soccorso; la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimi (Sar) del 27 aprile 1979, entrata in vigore in Italia il 22 giugno 1985, che al punto 3.1.9 impone di operare i salvataggi “nel modo più efficace possibile” portando i naufraghi in un “porto sicuro”, cioè nel porto più vicino; il Testo Unico sull’immigrazione del25 luglio 1998 aggiornato con la legge n.3 dell’11 gennaio 2018, il cui articolo 19 comma 1.bis vieta il respingimento di minori stranieri non accompagnati (lett. a) e delle donne instato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto (lett. d), e il cui articolo 10 comma 4° vieta i respingimenti di quanti intendono chiedere asilo.
Infine sono state violate la Convenzione europea dei diritti umani e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e il diritto d’asilo, il cui esercizio è stato impedito ai loro titolari dalla chiusura dei nostri porti, equivalente alla generalizzazione della pratica illecita dei respingimenti collettivi.Tutta la politica di questo governo contro i migranti, del resto, sta svolgendosi all’insegna dell’aperto disprezzo per la legalità e per i diritti umani. È un principio elementare del diritto del mare, oltre che delle tradizioni marinare di tutti i paesi civili, che chi rischia la vita in mare deve essere comunque salvato.
Il diritto di emigrare, d’altro canto, è un diritto fondamentale stabilito dagli articoli 13, 2° comma e 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dall’articolo 12, 2° e 3°comma del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 e dall’articolo 35, 4° comma della nostraCostituzione. Tutti gli esseri umani hanno dunque diritto di lasciare il loro paese. È illecita, conseguentemente, qualunque operazione diretta ad impedire ai migranti, mentre stanno in mare, l’esercizio di questo diritto. È un sequestro di persona arrestarli e imprigionarli a metà strada e peggio ancora portarli o riportarli contro la loro volontà in Libia, dove tra l’altro sono destinati ad essere internati in campi di concentramento e costretti a subire torture e trattamenti disumani.
Si aggiunga che allorquando i naufraghi vengono soccorsi o comunque imbarcati o trasferiti su una nave militare italiana, essi si trovano in Italia e ad essi si applicano tutte le norme del diritto italiano, a cominciare da quelle sulle modalità di esercizio del diritto d’asilo e sul divieto dei respingimenti collettivi. Ebbene, questo cumulo di illegalità non potrà che aggravare la catastrofe umanitaria in atto da trent’anni. Negli ultimi quindici anni sono affogati in mare 34.361 persone (come meritoriamente documentato dal rapporto pubblicato dal manifesto dello scorso 22 giugno), di cui oltre 16.000 nel corso degli ultimi cinque.
In questi stessi 5 anni, centinaia di migliaia di persone sono state salvate dalle navi della Marina militare italiana e della Guardia costiera, dalle navi delle Ong e dai mercantili di passaggio. Ma ora, a causa della preordinata omissione di soccorso decisa dal governo con la chiusura dei porti, la strage continuerà in dimensioni ancor maggiori. Poiché laMarina militare italiana sarà tenuta a distanza, le navi delle Ong sono state allontanate e i mercantili di passaggio gireranno al largo per non perdere giorni di viaggio a causa dell’impossibilità di trasferire a terra osu altre imbarcazioni i migranti salvati, altre centinaia o migliaia di naufraghi resteranno senza soccorsi e moriranno affogati.
Sono questa omissione di soccorso di massa e soprattutto la sua ostentazione che rappresentano il tratto principale per il quale questo governo passerà tristemente alla storia e che è in grado di oscurare, perla sua drammatica immoralità e illegittimità, tutte le altre politiche governative. Giacché questi comportamenti non riguardano una delle tante questioni previste nel cosiddetto “contratto di governo” stipulato tra i due capi partito della maggioranza. Riguardano una questione ben più di fondo (la lesione del diritto alla vita e della dignità di migliaia di persone) sulla quale sta entrando in crisi l’identità democratica del nostro paese qual è disegnata dalla nostra Costituzione.
Di nuovo il veleno razzista dell’intolleranza e del disprezzo per i “diversi” sta diffondendosi non solo in Italia ma in tutto l’Occidente, nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, quale veicolo di facile consenso nei confronti degli odierni populismi e delle loro politiche di esclusione.
La perdita dell’identità democratica dell’Italia e dell’Europa
Non è solo l’Italia infatti, ma anche l’intera Europa e gli Stati Uniti che sono oggi accomunati da questa politica disumana, non a caso simultanea al riemergere dei sovranismi e dei nazionalismi tra loro in conflitto.
Il Consiglio Europeo del 2829 giugno ha segnato il successo della linea del gruppo di Visegrad, alla quale si sono associati tutti i paesi europei, accordatisi di fatto sull’omissione di soccorso: sulla decisione di non obbligare, ma di rimettere alla libera volontà di ciascun governo la collocazione dei migranti che hanno diritto all’asilo; sull’espulsione dei cosiddetti migranti economici; sulla denigrazione e l’attacco alle Ong che salvano vite umane; sull’idea infine, di chiaro stampo coloniale, di creare campi profughi fuori dell’Unione, nei paesi africani: idea ovviamente irrealizzabile senza il consenso ditali paesi e subito respinta dalla Libia e dalla Tunisia.
È su questo terreno che rischia oggi di crollare l’identità civile e democratica dell’Italia e dell’Europa.Dell’Italia, anzitutto, che in passatosi era distinta, grazie all’operazioneMare Nostrum, per il salvataggio di decine di migliaia di naufraghi e che oggi sta diventando la capofila dei paesi del gruppo di Visegrad e sta costruendo (con le sue assurde minacce, come il non pagamento dei contributi dovuti all’Unione Europea e all’Onu, il cui solo effetto è il suo totale isolamento) una penosa immagine di paese fuori legge.
Ma la perdita di identità sta minacciando, insieme alla crisi dell’unità, anche l’Unione Europea, i cui paesi membri sono tutti variamente impegnati nella limitazione della libertà di accesso e di circolazione delle persone, in accuse e recriminazioni reciproche e in una guerra crudele contro i migranti. L’Unione Europea era nata contro i razzismi e contro i nazionalismi, contro i genocidi, contro i campi di concentramento, contro le oppressioni e le discriminazioni razziali. Questa identità sta oggi crollando insieme alla memoria dei “mai più” proclamati settant’anni fa contro gli orrori del passato. Le destre protestano contro quelle che chiamano una lesione delle nostre identità culturali da parte delle “invasioni” contaminanti dei migranti.
In realtà esse identificano tale identità con la loro identità reazionaria: con la loro falsa cristianità, con la loro intolleranza per i diversi, in breve con il loro più o meno consapevole razzismo. Laddove, al contrario, sono proprio le politiche di chiusura che stanno deformando e deturpando l’immagine dell’Italia e dell’Europa disegnata dalle nostre costituzioni e dalla Carta dei diritti dell’UnioneEuropea. L’Europa non sarà più (non è più) l’Europa civile della solidarietà, delle garanzie dell’uguaglianza, dei diritti umani e della dignità delle persone, bensì l’Europa dei muri, dei fili spinati, delle disuguaglianze per nascita e, di nuovo, dei conflitti e dell’intolleranza razziale.
Sta infatti vivendo una profonda contraddizione: la contraddizione delle pratiche di esclusione dei migranti quali non persone non soltanto con i valori di uguaglianza e libertà iscritti in tutte le sue carte costituzionali e nella stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ma anche con la sua più antica tradizione culturale.Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il diritto di emigrare fu teorizzato dalla filosofia politica occidentale alle origini dell’età moderna. Ben prima del diritto alla vita formulato nel Seicento da Thomas Hobbes, il diritto di emigrare fu configurato dal teologo spagnolo Francisco de Vitoria, nelle sue Relectiones de Indissvolte nel 1539 all’Università di Salamanca, come un diritto naturale universale.
Sul piano teorico questa tesi si inseriva in una edificante concezione cosmopolitica dei rapporti tra i popoli informata a una sorta di fratellanza universale.Sul piano pratico essa era chiaramente finalizzata alla legittimazione della conquista spagnola del Nuovo mondo: anche con la guerra, in forza del principio vim vi repellere licet, ove all’esercizio del diritto di emigrare fosse stata opposta illegittima resistenza. E la medesima funzione fu svolta da questo diritto nei quattro secoli successivi, nei quali servì a legittimare la colonizzazione del pianeta da parte delle potenze europee e le loro politiche di rapina e di sfruttamento.
Tutta la tradizione liberale classica, del resto, ha sempre considerato lo jus migrandi un diritto fondamentale. John Locke fondò su di esso la garanzia del diritto alla sopravvivenza e la stessa legittimità del capitalismo: giacché il diritto alla vita, egli scrisse, è garantito dal lavoro, e tutti possono lavorare purché lo vogliano, facendo ritorno nelle campagne, o comunque emigrando nelle”terre incolte dell’America”, perché”c’è terra sufficiente nel mondo da bastare al doppio dei suoi abitanti”.Kant, a sua volta, enunciò ancor più esplicitamente non solo il “diritto di emigrare”, ma anche il diritto di immigrare, che formulò come “terzo articolo definitivo per la pace perpetua” identificandolo con il principio di “una universale ospitalità”.
E l’articolo 4 dell’Acte constitutionnel allegato alla Costituzione francese del 1793 stabilì che “Ogni straniero di età superiore a ventuno anni che, domiciliato in Francia da un anno, viva del suo lavoro, o acquisti una proprietà, o sposi una cittadina francese, o adotti un bambino, o mantenga un vecchio, è ammesso all’esercizio dei diritti del cittadino”.Naturalmente questo diritto di emigrare fu fin dall’inizio viziato dal suo carattere asimmetrico.
Benché formalmente universale era di fatto ad uso esclusivo degli occidentali, non essendo certo esercitabile dalle popolazioni dei “nuovi” mondi, a danno delle quali, al contrario, servì a legittimare conquiste e colonizzazioni. Tuttavia lo ius migrandi (il diritto di emigrare dal proprio paese e quindi il correlativo diritto di immigrare in un paese diverso) è da allora rimasto un principio elementare del diritto internazionale consuetudinario, fino alla sua già ricordata consacrazione nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
Fino a che l’asimmetria non si è ribaltata. Oggi sono le popolazioni fino a ieri colonizzate che fuggono dalla miseria provocata dalle nostre politiche. E allora l’esercizio del diritto di emigrare è stato trasformato in delitto. Siamo perciò di fronte a una contraddizione gravissima, che solo la garanzia del diritto di emigrare varrebbe a rimuovere. Certamente unasimile garanzia ha oggi il sapore di un’utopia. Quanto meno, tuttavia, il riconoscimento di questa contraddizione dovrebbe non farci dimenticare quella formulazione classica, cinicamente strumentale, del diritto di emigrare: perché la sua memoria possa quanto meno generare (nel dibattito pubblico, nel confronto politico, nell’insegnamento nelle scuole) una cattiva coscienza sull’illegittimità morale e politica, prima ancora che giuridica, delle nostre politiche e agire da freno sulle odierne pulsioni xenofobe e razziste.
Dopo cinque secoli di colonizzazioni e rapine non sono più gli occidentali a far uso del diritto di emigrare nei paesi poveri del mondo, ma sono al contrario le masse di affamati di quei medesimi paesi che premono alle nostre frontiere. E con il rovesciamento dell’asimmetria si è prodotto anche un rovesciamento del diritto. Oggi che l’esercizio del diritto di emigrare è divenuto possibile per tutti ed è per di più la sola alternativa di vita per milioni di esseri umani, non solo se ne è dimenticato l’origine storica e il fondamento giuridico nella nostrastessa tradizione, ma lo si reprime con la stessa feroce durezza con cui lo si brandì alle origini della civiltà moderna a scopo di conquista e di colonizzazione.
Dovrebbe quanto meno, questa cattiva coscienza, rendere evidente, in Italia, la natura puramente razzista (dapprima dell’opposizione della destra ed oggi della definitiva archiviazione ad opera dell’attuale maggioranza) della legge, ibernata dal passato governo, sul cosiddetto”ius soli”, cioè sulla nascita e la residenza per più di cinque anni in Italia quale presupposto sufficiente perla concessione della cittadinanza.Gli ottocentomila ragazzi o bambini che si trovano in questa condizione, infatti, non sono immigrati, ma sono nati in Italia, dove sono cresciuti e si sono formati; sicché si spiega solo con l’intolleranza per la loro identità etnica la volontà di negare loro la cittadinanza, che rischia peraltro di capovolgere il loro senso di appartenenza al nostro paese in un assurdo disconoscimento e perciò in rancore anti-italiano.
Gli effetti delle politiche contro gli immigrati
Dobbiamo purtroppo riconoscere che il ministro Matteo Salvini non ha affatto inaugurato, ma solo proseguito e sviluppato le politiche e le pratiche del suo predecessore Minniti e quelle degli altri governi europei. C’è però una rilevante differenza tra le politiche odierne dei Salvini, dei Trump, degli Orbán e dei governati del gruppo di Visegrad e le politiche del passato: la pratica dell’esclusione, che in passato veniva quanto meno negata e occultata, viene sbandierata dagli odierni populismi perché si è rivelata una fonte di facile consenso, soprattutto dei ceti più poveri ed emarginati.
È un veleno distruttivo immesso nella società italiana. Il ministro Salvini non si limita a interpretare la xenofobia, mala alimenta e la amplifica, producendo due effetti distruttivi sui presupposti della democrazia. In primo luogo un abbassamento dello spirito pubblico e del senso morale nella cultura di massa.Quando l’indifferenza per le sofferenze e per i morti, la disumanità e l’immoralità di formule come “prima gli italiani” o “la pacchia è finita”a sostegno dell’omissione di soccorso sono praticate ed esibite dalle istituzioni, esse non sono soltanto legittimate, ma sono anche assecondate e alimentate. Diventano contagiose e si normalizzano.
Queste politiche crudeli stanno avvelenando e incattivendo la società, in Italia e inEuropa. Stanno seminando la paura e l’odio per i diversi. Stanno screditando, con la diffamazione di quanti salvano vite umane, la pratica elementare del soccorso di chi è in pericolo di vita. Stanno fascistizzando il senso comune. Stanno svalutando, insieme al senso dell’uguaglianza e della dignità delle persone solo perché persone, anche i normali sentimenti di umanità e solidarietà che formano il presupposto elementare della democrazia. Stanno, in breve, ricostruendo le basi ideologiche del razzismo; il quale, come affermò lucidamente Michel Foucault, non è la causa, bensì l’effetto delle oppressioni e delle violazioni istituzionali dei diritti umani: la “condizione”, egli scrisse, che consente l'”accettabilità della messa a morte” di una parte dell’umanità.
Intanto, infatti, possiamo accettare che decine di migliaia di disperati vengano respinti ogni anno alle nostre frontiere, che vengano internati senza altra colpa che la loro fame e la loro disperazione, che affoghino nel tentativo di approdare nei nostri paradisi democratici, in quanto questa nostra accettazione sia sorretta dal razzismo. Non a caso il razzismo è un fenomeno moderno, sviluppatosi dopo la conquista del “nuovo” mondo, allorquando i rapporti con gli “altri” furono instaurati come rapporti di dominio e occorreva perciò giustificarli disumanizzando le vittime perché diverse e inferiori.
Che è il medesimo riflesso circolare che ha in passato generato l’immagine sessista della donna e quella classista del proletario come inferiori, perché solo in questo modo se ne poteva giustificare l’oppressione, lo sfruttamento e la mancanza di diritti. Ricchezza, dominio e privilegio non si accontentano di prevaricare. Pretendono anche una qualche legittimazione sostanziale.Il secondo effetto è non meno grave e distruttivo. Consiste in un mutamento delle soggettività politiche e sociali: non più le vecchie soggettività di classe, basate sull’uguaglianza e sulle lotte comuni per comuni diritti, ma nuove soggettività politiche di tipo identitario (italiani contro migranti, prima gli italiani, come in Usa prima gli americani, noi contro gli stranieri, le identità nazionali l’una contro l’altra) basate sull’identificazione delle identità diverse come nemiche e sul capovolgimento delle lotte sociali: non più di chi sta in basso contro chi sta in alto, ma di chi sta in basso contro chi sta ancora più in basso, dei poveri contro i poverissimi e soprattutto dei cittadini contro i migranti, trasformati in nemici contro cui scaricare la rabbia e la disperazione generate dalla crescita delle disuguaglianze e della povertà.
Le politiche contro i migranti si coniugano così con le politiche anti-socialiche in questi anni hanno accresciutola disoccupazione e il precariato nei rapporti di lavoro, provocando la disgregazione delle vecchie forme di soggettività politica collettiva basate sull’uguaglianza nei diritti e sulla solidarietà tra uguali. Espressioni come “movimento operaio” e “classe operaia”, “coscienza di classe” e “solidarietà di classe”, che per oltre un secolo sono state centrali nel lessico della sinistra, sono non a caso fuori uso.
È infatti venuta meno, con la moltiplicazione dei tipi di rapporto di lavoro, l’uguaglianza nei diritti e la soggettività politica e sociale dei lavoratori, i quali, anziché solidarizzare in lotte comuni, sono costretti a entrare in competizione tra loro. Si sono così prodotti due processi convergenti: la disgregazione, adopera delle politiche liberiste di precarizzazione del lavoro e di moltiplicazione delle disuguaglianze, delle tradizionali soggettività di classe basate sull’uguaglianza e la solidarietà, e la riaggregazione, ad opera delle campagne xenofobe e più apertamente reazionarie, di nuove soggettività, basate sull’intolleranza per i differenti alimentata dalle campagne sulla sicurezza pubblica e dai sentimenti di paura e rancore contro i migranti quali utili capri espiatori della crescente insicurezza sociale.
È su questo mutamento di struttura della società, prodottosi in questi anni in Italia e in gran parte delle democrazie occidentali, che dovremmo soprattutto riflettere. È un mutamento che sta minando le basi sociali della democrazia. Le politiche che in questi anni hanno demolito il diritto del lavoro generalizzando il precariato e sostituendo la solidarietà con la concorrenza tra lavoratori hanno alterato e distrutto le basi sociali del pluralismo politico e, in particolare, della sinistra. E sono alla base di tutti i populismi, accomunati dal riferimento al popolo come entità indifferenziata e cementata, al di là delle disuguaglianze economiche e sociali, dall’avversione per i diversi: dunque dalla negazione del principio di uguaglianza in entrambe le sue dimensioni, quella formale o liberale dell’uguale valore e rispetto di tutte le differenze di identità personale, sancita dal primo comma dell’articolo 3 della nostra Costituzione, e quella sostanziale o sociale della riduzione delle disuguaglianze materiali promossa dal secondo comma del medesimo articolo.
I migranti come popolo costituente
Di fronte a questi fenomeni crescenti di razzismo e di xenofobia che stanno minando alle radici le nostre democrazie, una politica antirazzista dovrebbe avere il coraggio di prendere sul serio i principi di uguaglianza e dignità delle persone e i diritti umani stabiliti nella nostra Costituzione e in tante carte internazionali dei diritti. Prendere sul serio queste carte vuol dire garantire il diritto di emigrare in esse proclamato, e perciò, quanto meno in prospettiva, assicurare la libertà di circolazione delle persone al pari della libertà di circolazione delle merci. Vuol dire, in breve, avere il coraggio di assumere i migranti come persone, dotate dei nostri stessi diritti.
Una politica razionale, oltre che informata alla garanzia dei diritti, dovrebbe muovere, realisticamente, dalla consapevolezza che i flussi migratori sono fenomeni strutturali e irreversibili, frutto della globalizzazione selvaggia promossa dall’attuale capitalismo, che né le leggi, né i muri, né le polizia di frontiera saranno mai in grado di fermare, ma solo di drammatizzare e clandestinizzare, consegnandoli alla repressione, allo sfruttamento e alla gestione e al controllo criminale. Dovrebbe anzi avere il coraggio di assumere il fenomeno migratorio come l’autentico fatto costituente dell’ordine futuro, destinato, quale istanza e veicolo dell’uguaglianza, a rivoluzionarie i rapporti tra gli uomini e a rifondare, nei tempi lunghi, l’ordinamento internazionale.
Il diritto di emigrare equivarrebbe, in questa prospettiva, al potere costituente di questo nuovo ordine globale: giacché l’Occidente non affronterà mai seriamente i problemi che sono all’origine delle migrazioni ()le disuguaglianze, la miseria, la fame, le guerre, le devastazioni ambientali provocate in gran parte dalle sue stesse politiche) se non li sentirà come propri. E non li sentirà mai come propri se non si sentirà minacciato direttamente dal diritto di emigrare, cioè dalla pressione demografica che proviene da quei paesi e non dovrà fronteggiare, dopo aver occupato prima con le sue conquiste e le sue rapine e poi con le sue promesse il mondo intero, la fuga dai loro mondi devastati delle popolazioni disperate che oggi premono alle sue frontiere. I diritti fondamentali, come l’esperienza insegna, non cadono mai dall’alto, ma si affermano solo allorquando la pressione di chine è escluso alle porte di chi ne è incluso diventa irresistibile.
Infine, una politica informata all’uguaglianza e alla garanzia della dignità e dei diritti fondamentali di tutti dovrebbe avere il coraggio di vedere nel popolo meticcio ed oppresso dei migranti, con le sue infinite differenze culturali, religiose e linguistiche, la prefigurazione dell’umanità futura quale unico popolo globale, inevitabilmente meticcio perché formato dall’incontro e dalla contaminazione di più nazionalità e di più culture, senza più differenze privilegiate né differenze discriminate, senza più cittadini né stranieri perché tutti accomunati dalla condivisione, finalmente, di un unico status, quello di persona umana, e dal pacifico riconoscimento dell’uguale dignità di tutte le differenze.
Per questo, io credo, dobbiamo pensare al popolo dei migranti come al popolo costituente di un nuovo ordine mondiale. Giacché i terribili effetti della chiusura delle frontiere dei paesi ricchi (le penose odissee di quanti fuggono dalla miseria, dalle guerre o dalle persecuzioni; le migliaia di morti ogni anno nel tentativo di raggiungere le nostre coste; le decine di migliaia di persone cacciate dall’Algeria e lasciate vagare e morire nel deserto del Sahara; quelle rinchiuse in condizioni disumane nell’inferno delle carceri libiche; le migliaia di migranti che si affollano ai nostri confini contro barriere e fili spinati, lasciati al freddo e alla fame; le sofferenze loro inflitte dai nostri governi, come le segregazioni e le separazioni dei bambini dai loro genitori ordinate negli Stati Uniti o la progettazione di muri di confine o il rimpatrio forzato dei dreamers, o le espulsioni di immigrati irregolari che vivono da anni nei nostri paesi) sono gli orrori dei nostri tempi che imporranno ai costituenti del futuro un nuovo mai più: l’affermazione e la garanzia della libertà di circolazione sul pianeta di tutti gli esseri umani, lo ius migrandi appunto come autentico diritto ad avere diritti, condizione elementare dell’indivisibilità, dell’effettività e ancor prima della serietà di tutti gli altri diritti della persona oggi sanciti nelle tante carte dei diritti facenti parte del nostro diritto internazionale ma sistematicamente violate.
Si stabilirebbe così il presupposto elementare di un costituzionalismo globale. Si chiuderebbe il mezzo millennio del falso universalismo dei diritti umani inaugurato con la proclamazione del diritto di emigrare ad uso esclusivo delle politiche di conquista dell’Occidente. L’alternativa, dobbiamo saperlo, è un futuro di regressione globale, segnato dall’esplosione delle disuguaglianze, dei razzismi e delle paure e, insieme, della violenza, delle guerre, dei terrorismi e della generale insicurezza.
Questo articolo è stato pubblicato da Critica Marxista n. 5/2018

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