Atac e il "metodo 5 Stelle": licenziata perché voleva tutelare la sicurezza

2 Ottobre 2018 /

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di Mauro Favale
Quando a luglio, in gran segreto, l’hanno convocata in Campidoglio per farle “il processo”, ha capito che ormai la strada verso il suo licenziamento era tracciata. Volevano che chiedesse scusa, che accettasse di mettersi in aspettativa non retribuita per due mesi, che cambiasse mansione, da autista a “verificatrice”. E a chiederglielo, era proprio Marcello De Vito, il presidente dell’Aula Giulio Cesare per il quale lei aveva fatto campagna elettorale con tanto di audio che circolava alla vigilia delle elezioni, giugno 2016. Quoque tu, M5S?
Già, perché nel licenziamento di Micaela Quintavalle dall’Atac, formalizzato ieri dall’azienda con una lettera, c’è lo svelamento dei 5 Stelle “di governo”, alla guida di Roma da quasi 2 anni e mezzo tra infiniti problemi, promesse disattese e grandi delusioni. Una storia piccola, quella della “pasionaria dell’Atac”, così era stata ribattezzata la Quintavalle, 38 anni, studentessa di Medicina, ma soprattutto autista e sindacalista (a capo della battagliera sigla M410) nella scalcagnata azienda dei trasporti di Roma, attualmente sotto procedura di concordato preventivo.
Una storia piccola che però racconta molto del “metodo M5S”, all’opposizione sempre pronto a benedire il “whistleblower”, chi denuncia reati e situazioni incresciose nei luoghi di lavoro, salvo scaricarlo quando si trova dall’altra parte della barricata. Così è accaduto alla Quintavalle che a maggio aveva raccontato in tv, alle Iene, quello che anche la procura di Roma, mesi dopo, avrebbe confermato: sugli autobus che circolano nella capitale non si fa la manutenzione necessaria.

Ci sarebbe questo (e non presunti sabotaggi denunciati dall’azienda) alla base delle fiamme che, dall’inizio di quest’anno, hanno avvolto 21 autobus. La Quintavalle l’aveva spiegato alle Iene, indossando la divisa dell’Atac, prima di cominciare il suo turno di lavoro, pochi giorni dopo il rogo che aveva avvolto un mezzo in via del Tritone, a 300 metri da Palazzo Chigi. Parole che le erano costate un provvedimento disciplinare e una sospensione, durata, fino a ieri, 128 giorni.
In altre situazioni, i 5 Stelle avrebbero capitalizzato elettoralmente quella denuncia, così come avevano fatto tre anni fa, quando le battaglie della Quintavalle (tra scioperi più o meno selvaggi) erano state cavalcate da Virginia Raggi, De Vito e company in funzione anti-Marino. Stavolta, invece, nessuna voce si è alzata a difendere l’ex sostenitrice che ieri, in lacrime, ha annunciato in diretta Facebook il suo licenziamento: non Raggi (che da tempo evita accuratamente di esprimersi su questioni ben più scivolose, dal bilancio comunale ai destini di Ama), non De Vito (che pure, a maggio, si era schierato dalla parte della sindacalista per trasformarsi poi in singolare mediatore, a luglio, delle richieste dell’azienda per il reintegro della Quintavalle), né, tantomeno, i big nazionali che tre anni fa si sbracciavano per sostenere le battaglie dei dipendenti Atac.
Come Alessandro Di Battista che nel 2015 spese tutto il suo carisma per chiedere (con successo) il reintegro di un altro autista, Christian Rosso, all’epoca sospeso come lo era fino a due giorni fa la Quintavalle, per aver raccontato sui social i disservizi dell’azienda. Altri tempi, appunto, quando i 5 Stelle erano all’opposizione. Al governo, dal Campidoglio a Palazzo Chigi, è tutta un’altra musica.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega Online il 26 settembre 2018

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