Stati Uniti: tra realtà o pregiudizi, alla scoperta della vera America

27 Luglio 2018 /

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di Silvia R. Lolli
Chi lo dice che negli Usa ormai si paga anche il caffè con la carta di credito? Che ormai non si fa più uso di contanti? Non sappiamo se è un’abitudine mai persa, oppure se è d’uso in alcuni locali o negozi di New York e di Washington e meno della costa ovest, ma nei primi giorni di vacanza mi è capitato più volte di dover pagare in contanti.
In un paese in cui è nato ed esploso il commercio online oltre alle maggiori industrie informatiche imposte a suon di marketing in tutto il mondo, è abbastanza strano constatare che nelle maggiori città non accettano pagamenti elettronici neppure sopra i 10 dollari. Forse saranno solo episodi marginali, ma dicono parecchio sulle “leggende metropolitane” che spesso da noi diventano consolidate certezze.
In un locale tipico, molto anni Cinquanta-Sessanta e non sembrava neppure troppo pulito, ubicato nei pressi della Casa Bianca, il probabile titolare ha spiegato che le carte elettroniche non sono una buona cosa e non le accetta. Certamente aumentano i costi bancari per i rivenditori, perché quando ho pagato in un altro locale, più moderno ma sempre in stile americano, il “tip” esiste se si paga con la credit card. Ancora una volta potere in mano alle banche? Oppure è solo una certezza in più dei commercianti: il contante è sicuro, lo si vede, mentre le carte di credito potrebbero risultare con buchi notevoli, visto l’alto numero di debitori per il consumo in città dove la forbice fra povero e ricco si vede sempre di più?

Alle stelle sembrano gli impieghi di volontari. nei vari musei, utilizzo nei giardini e parchi pubblici, accanto ai lavoratori delle amministrazioni cittadine. Pochi bianchi, tutti certamente provenienti da paesi stranieri, alla faccia dei muri che si ergono al confine sud con il Mexico che si ricordano in uno spazio al MAD di NY. Intanto abbiamo appreso dal Washington Post di qualche giorno fa che nel 2019 si proporrà la privatizzazione di molti National Parks; accanto alla foto dei caratteristici siti archeologici di Mesa Verde si leggeva la notizia della quale ho avuto conferma parlando con una cittadina della vicina Virginia in visita al Museo delle artiste con un’amica texana. Anche lei mi ha espresso la speranza che a novembre si eleggano molti rappresentanti democratici al congresso. si tratterebbe della verifica di metà mandato.
Comunque intanto si prospetta il canto del cigno totale del Welfare State e del sistema pubblico che creò, dopo la grande depressione del 1929, nuova occupazione e preservò molti territori ambientalmente unici. Che già il Welfare State in città come San Francisco o Seattle l’avevo già notato lo scorso anno: sulle strade tanti senza tetto più abbandonati a loro stessi.
Anche qui, soprattutto a Washington, molti senza tetto per le strade (qui però non ci sono le tende come sulla costa Ovest, San Francisco, ma soprattutto Seattle e Vancouver – del resto il clima invernale qui non lo permetterebbe) e le zone delle città viste finora sono chiaramente divise per ceti sociali ed anche per razze. Ormai si sente parlare spagnolo e non sono i turisti a farlo, ma tra chi lavora negli alberghi e ristoranti. Capiamo quindi, anche se non l’approviamo, la voglia di erigere dei muri.
Proprio in questo strano locale con esposti parecchi oggetti vintage da collezione e nel quale non hanno accettato la credit card il cassiere mi spiegava che appro totalmente le politiche di Orban, della Polonia, ovviamente di Trump, e di Salvini, oltre che di Putin. diceva che sia la Cina che il Giappone hanno le frontiere chiuse, non fanno entrare nessuno; ogni stato deve rimanere Stato autonomo. A nulla è valso il tentativo, breve per la verità, di chiedere perché la pensa così un cittadino americano che vive in uno stato federale come doveva diventare l’unione europea nell’idea di molti fondatori. Gli Usa, mi ha detto, sono un’altra cosa. La conversazione non ha potuto proseguire per l’arrivo di altri clienti, ma dubito che queste affermazioni le potesse rivedere, solo pregiudizi con poca conoscenza e nessuna voglia di asc9latre esperienze diverse. Però lavoravano dietro alle piastre due cittadini (?) chiaramente di origini africane e spagnole o del centro America. Chissà chi starà dietro ai fornelli con il protezionismo di Trump?
Tutto il discorso era iniziato partendo dalla scritta sulla mia maglietta, quella del popolo viola, di qualche anno fa: “in viola contro chi viola”. Mi accorgo che è passato più di un ventennio; il colore di quella partecipazione si è completamente perso, senza che ci sia stata la pulizia morale ed etica che quella partecipazione auspicava. Si è continuata ad erodere la democrazia italiana e la voglia di partecipare alla cosa pubblica, soprattutto con la perdita della forma partito e di un reale pensiero per garantire opportunità e diritti a tutti nel mondo futuro. Non so se questi potrebbero diventare i primi obiettivi per riorganizzare la prossima sinistra; comunque dovrebbero essere la base per un recupero della Politica, da Polis, città, intesa oggi in senso più ampio, cioè per tutta la Terra, come ci ricordano varie frasi nel bellissimo museo dei Nativi dele Americhe ad Washington.
In questi giorni dovrebbe sentirsi un vento nuovo, visti i risultati delle primarie del partito democratico nello stato di NY. Tuttavia, e nonostante ciò che scriveva il Post qualche giorno fa sull’aumento delle sottoscrizioni dopo la scelta di Alexandra Ocoja Cortez, le domande fatte ad alcune persone che parlano spagnolo non mi hanno dato troppe indicazioni e speranze. Chissà se il vento cambierà con le elezioni di novembre?
Però un anziano, figlio di emigrati italiani incontrato al MOMA, è sembrato, come la texana, la persona più a conoscenza della situazione, entrambi mi hanno espresso la speranza del cambiamento; già lo scorso anno era emersa parlando con parecchie persone abitanti nell’Oregon. Del resto lì il partito democratico, soprattutto nel centro Nord è ancora maggioritario come in genere sulla costa ovest, S. Francisco Seattle…peccato che l’Oregon sia uno stato che può portare pochi grandi elettori alle elezioni presidenziali.
Chissà se però partendo da NY si potrà avere il cambiamento di rotta. Intanto Trump sta eseguendo il proprio business: costruire, costruire hotel ecc…e certamente anche da Putin avrà parlato non solo di politiche internazionali; forse è questo il suo obiettivo principale. È un presidente particolare, un business man, legato ai suoi interessi particolari. Quando qui esprimo questo pensiero trovo comunque molti d’accordo.

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