Pasolini, Salvini e il neofascismo come merce

11 Luglio 2018 /

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di Wu Ming 1
“Nel futuro la storia c’è ancora, e la storia è confusione; benché sia assurdo pensarci, nel futuro immediato ci può essere sempre qualcosa di imponderabile che può togliere ai fascisti quel successo che tutti prevedono ed essi tracotanti si aspettano”. Così scrive Pier Paolo Pasolini nell’appunto 64 del romanzo incompiuto Petrolio.
Stralciato dal testo e letto oggi, sembra un invito a non arrendersi, a non darsi per vinti di fronte all’avanzare dell’ondata reazionaria, xenofoba, razzista e quant’altro. In quell’abbozzo di capitolo, invece, si parla di tutt’altro: un rimpasto dentro l’Eni. Il protagonista del romanzo, funzionario dell’ente in quota “area cattolica di sinistra”, rischia di essere scalzato da “un uomo decisamente di destra, proposto (anzi, quasi imposto!) da Almirante”, ma riesce a conservare l’incarico spingendosi a destra egli stesso.
È solo uno dei molti possibili esempi di come estrapolare frasi di Pasolini e cercare di adattarle al presente possa generare ogni sorta di equivoci.
Il tormentone del “Caro Alberto”
Durante la lunga campagna per le scorse elezioni politiche, segnate da due fatti di sangue a chiaro movente razzista (a Macerata il 3 febbraio e a Firenze il 5 marzo), circolava un meme. Partito da circuiti di destra, ben presto è dilagato sui social network, in differenti versioni ma sempre con lo stesso schema e messaggio. Una foto di Pasolini era accompagnata da questa citazione:

Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda.

Il messaggio è stato ripreso anche da Matteo Salvini, che il 24 febbraio ha persino letto la frase durante il comizio di chiusura della campagna elettorale, in piazza del Duomo a Milano. Straniante udire Salvini che attacca la “classe dominante” e il consumismo, raggelante l’applauso della piazza al termine della citazione. Se solo venisse a contatto con l’opera di Pasolini, la folla che quel giorno ha battuto le mani potrebbe solo inorridire.
Il meme circolava privo di fonti, a parte il riferimento a una “lettera di Pasolini a Moravia” genericamente datata 1973. Ma nel 1973 l’offensiva di Pasolini sul consumismo come “nuovo fascismo” – con relativo incrociar di lame tra lui e Moravia, Fortini, Calvino – non era ancora partita. L’avrebbe inaugurata un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 10 giugno 1974, intitolato “Gli italiani non sono più quelli”, poi incluso negli Scritti corsari con il titolo “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”.
Non sono riuscito a trovare la frase del meme in nessuno scritto di Pasolini. Nel complesso suona verosimile: potrebbe essere la riscrittura o il ricordo sfocato di un passo pasoliniano reale. Unica nota stonata, l’espressione “arma di distrazione”, entrata nell’uso comune soltanto nel ventunesimo secolo. Il gioco di parole “weapons of mass distraction” si è imposto in inglese a partire dal 1997, grazie a un film che lo usò come titolo, e in italiano a partire dal 2003, grazie alla trasmissione Raiot di Sabina Guzzanti che lo usò come sottotitolo.
In ogni caso, anche se la frase fosse autentica, a renderla falsa sarebbe l’utilizzo. Lo scopo del meme era mettere a tacere con un ipse dixit chiunque – di fronte al crescendo di aggressioni fasciste, all’attentato di Macerata e alla crescente normalizzazione delle estreme destre – denunciasse l’estendersi di una mentalità reazionaria e razzista. Mentalità che negli ultimi anni ha conquistato la cultura di massa a furia di talk show, e della quale i neofascisti sono solo l’espressione più esplicita e concentrata.
Questo articolo è stato pubblicato da Internazionale.it il 4 giugno 2018

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