Ratto d'Europa: la nuova torre di Babele

10 Luglio 2018 /

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di Massimo Riva
Il festival del sovranismo sta trasformando l’Europa in una nuova Torre di Babele. Non c’è più ascolto reciproco fra i singoli Paesi, il dialogo è stato sostituito dall’insulto, la dialettica politica si affida a battute estemporanee. Ciascuno parla una lingua che gli altri non si sforzano neppure di comprendere. Ma sarebbe un errore ritenere che sia solo lo spinoso tema dei rifugiati a mettere a tanto dura prova la tenuta dell’Unione. Certo, le migrazioni hanno natura e dimensioni tali da porre l’intera Europa dinanzi a una sfida epocale che rischia di rimettere in discussione gli stessi principi fondativi della Ue.
Tanto da far tornare alla luce quelle molteplicità discordanti che ci si era stoltamente illusi di ricomporre e superare con gli atti formali di adesione di un numero crescente di Paesi a un progetto continentale reso appetibile dal miele dei benefici economici del mercato unico comune. Senza – e questo appare oggi il deficit cruciale – che questo processo sia stato accompagnato con la costruzione di istituzioni sovranazionali in grado di esercitare un reale potere federativo riconosciuto come prevalente su quello interno delle singole nazioni.
Quello rappresentato dalla Commissione di Bruxelles e dal Parlamento di Strasburgo, infatti, altro non è che un pallido simulacro di quel governo dell’Unione che sarebbe necessario per dare consistenza politica reale al soggetto Europa. Attenzione, dunque. Il caos innescato dalla crisi dei migranti non è causa ma effetto di un sovranismo nazionalistico già latente e malcelato nell’architettura stessa dell’Unione. I cui presupposti vanno individuati in alcuni errori commessi da tanti sedicenti europeisti.

Il principale dei quali è stato quello di spalancare le porte della casa Europa a sempre più numerosi coinquilini senza preoccuparsi di adeguare i meccanismi di governo della stessa all’esigenza di assumere decisioni adeguate, nei tempi e nella sostanza, ai problemi in agenda. Come conferma il grottesco paradosso che emerge proprio dalle polemiche furibonde a proposito dei migranti. Tutti, nessuno escluso, affermano l’esigenza che al riguardo si debba trovare una soluzione europea.
Dopo di che, ciascuno – forte del suo potere di veto al tavolo intergovernativo – pone condizioni che sa già inaccettabili per gli altri. Cosicché, da un lato, si riconosce realisticamente di trovarsi di fronte a una questione che nessun Paese è in grado di risolvere da solo. Ma, al tempo stesso, si impedisce all’Europa di assumere iniziative che possano anche in piccola misura contrastare il proprio interesse del momento. Così il serpente del sovranismo si morde la coda con esiti talvolta tragicomici. Come nel caso del ministro italiano Salvini che, per alleggerire l’onda migratoria sul nostro Paese, cerca l’alleanza con l’Ungheria di Orbán e altri Stati renitenti anche a una pur simbolica accoglienza di rifugiati.
Ora Emmanuel Macron e Angela Merkel ipotizzano che da questo cul di sacco si possa uscire con accordi limitati anche solo fra due o tre Paesi. Il dubbio serio è che questa non sia concepita come una via per ridisegnare l’impianto dell’Unione su basi più omogenee, ma soltanto un espediente di Parigi e Berlino per riaffermare le proprie (e preponderanti) quote di potere comunitario. Così lasciando che la lebbra populista continui a nutrirsi di veleno.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 26 giugno 2018

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