Come si diventa nazisti (senza accorgersene)

18 Giugno 2018 /

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di Luciano Gallino
Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, nella cittadina tedesca di cui parla questo libro (chiamata Thalburg dall’autore, in realtà Nordheim nello Hannover), si svolge di giorno in giorno un animato gioco collettivo la cui posta, senza che la maggior parte dei partecipanti se ne renda conto, è la democrazia. Sullo sfondo d’una situazione economica e sociale per più versi minacciosa agiscono parecchi attori, che hanno propositi diversi o contrapposti, modi differenti di interpretare la situazione, mezzi dissimili per agire. Alla fine vi sono vincitori trionfanti e vinti umiliati, la situazione sociale ed economica appare profondamente trasformata, e la democrazia è morta.
Nello stesso periodo, come sappiamo, un confronto analogo si stava svolgendo in tutta la Germania, e analogo ne fu l’esito. I suoi sviluppi sono stati analizzati da una letteratura storica e socio logica ormai imponente, ma in gran parte di questa gli attori di cui son state studiate le mosse sono cancellieri e ministri, capipartito e dirigenti dei massimi sindacati, forze armate e associazioni industriali nazionali. La scena è l’intero Paese, e le date e i luoghi sono per lo più un campione frammentato, e incontrollabile per l’immaginazione, tratto da duemila giorni – quanti durò all’incirca l’agonia della democrazia in Germania – e da dieci o ventimila città e paesi.

Per contro nel libro di Allen gli attori individuali sono gente comune: operai della ferrovia e impiegati del municipio, reduci della grande guerra e giornalisti del quotidiano locale, librai e funzionari statali; mentre fra gli attori collettivi troviamo entità ordinarie, quali il Club dei giardinieri e la Società di pronto soccorso fra i lavoratori, le sezioni locali di tre o quattro partiti, il Consiglio comunale e quello della contea di Thalburg. In questo spazio raccolto i luoghi sono poche strade che si fanno a piedi in un quarto d’ora, una piazza del mercato, un campo di tiro, il Municipio, e i tempi sono sequenze reali e ravvicinate di giorni e di stagioni, quali possono stare in un dramma teatrale che realizza l’unità di tempo e di luogo.
“Come si diventa nazisti” è il dramma di una città che ha affidato il compito di scriverlo – e dire così è qualcosa di più d’una metafora – a uno storico, circa trent’anni dopo gli eventi in esso rappresentati; un intervallo lungo, ma non tanto da impedire che molti degli attori fossero ancora vivi, le raccolte dei giornali locali integre, i documenti municipali disponibili, gli stessi luoghi – rimasti pressoché indenni dalla guerra – non ancora stravolti dal miracolo economico.
Con la cautela che si addice a uno studioso l’autore afferma in più punti che Thalburg non è un microcosmo rappresentativo del macrocosmo Germania, che la città da lui prescelta per descrivere l’ascesa del nazismo non è una tipica cittadina tedesca dell’epoca. Si può convenirne. Ma come avviene con qualunque dramma ben congegnato, quello di Thalburg che Allen ricostruisce, con la fluida vivacità di uno che sembra fosse davvero presente in quei giorni, non può fare a meno di trasmettere allo spettatore-lettore sensazioni ultime, conoscenze che trapassano quel tempo e quel luogo perché si ricollegano agli strati profondi, permanenti e ricorrenti, dei processi sociali e dell’esperienza umana.
Esse ci dicono che non esiste nulla capace di vietare che ciò che è accaduto a Thalburg a cavallo degli anni Trenta possa prima o poi accadere di nuovo, in Germania o in altri paesi europei; e che i grandi drammi sociopolitici non sembrano affatto, agli occhi degli stessi attori che in quel momento li stanno recitando, dei veri e propri drammi. Sono sequenze scoordinate di fatterelli quotidiani, a volte insipidi a volte irritanti, con rari picchi di accelerazione e di intensità.
È soltanto alla fine, quando è troppo tardi, che si comincia a capire che quelle sequenze di piccoli fatti stavano tracciando sul muro, sotto lo sguardo di tutti, le linee di un cruento destino. «Il problema del nazismo fu prima di tutto un problema di percezione» scrive l’autore proprio alla fine del libro. Ma lo stesso si potrebbe dire, per il passato, a proposito del fascismo, o del bolscevismo; mentre per il futuro non si può escludere di doverlo ripetere a proposito di qualche altro ismo autoritario.
Gli attori del dramma thalburghese sono principalmente le formazioni politiche, la NSDAP (Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi) e la SPD (Partito socialista di Germania), e due classi sociali: la piccola e media borghesia, formata da due strati ben distinti – proprietari terrieri, commercianti e artigiani da un lato; funzionari statali, professionisti e uomini d’affari dall’altro – e i lavoratori delle poche industrie locali, della ferrovia e dell’agricoltura.
Per decenni i voti dei lavoratori – alle elezioni nazionali – si erano concentrati sulla SPD, cui andavano ancora nel 1928 oltre 2200 voti su meno di 5400 espressi nel comune di Thalburg. Insignificante il consenso elettorale nei confronti del Partito comunista: poche decine di voti. E all’inizio della storia insignificante era pure il voto per la NSDAP, che nello stesso 1928 ricevette la miseria di 123 voti. I voti della borghesia erano dispersi tra una miriade di piccoli partiti, il più importante dei quali, il partito dello Stato, superava a malapena i 500 voti.
Negli anni successivi la struttura del consenso elettorale muta vistosamente. In soli due anni, dal 1928 al 1930, i voti a favore della NSDAP aumentano di quattordici volte, salendo da 123 a 1742, su un totale di voti espressi che intanto ha superato i 6000. Poi aumentano ancora di due volte e mezza, raggiungendo i 4200, pari al 62,3 per cento del totale, alle elezioni del luglio 1932, per superarli infine abbondantemente in quelle del fatale 1933. Nello stesso arco di tempo la SPD non crolla, ma perde un terzo esatto dei suoi elettori, scesi a meno di 1500; viceversa si riducono a poca cosa i voti per i tradizionali partiti moderati e conservatori.
Più che la SPD a perdere, fu dunque – così come avvenne in tutta la Germania – la NSDAP a stravincere, nel corso di elezioni politiche che almeno fino al 1933 si potevano considerare, nell’insieme, regolari. Non fu alcuna forza esterna, né alcun preliminare colpo di stato, a consegnare la cittadina dello Hannover, così come l’intero paese, al nazismo. Fu, insieme con le inadeguatezze e gli errori della classe dirigente, la libera volontà degli elettori. Il colpo di stato, la rivoluzione che trasformò la democrazia di Weimar in una dittatura, avvennero soltanto dopo che gli elettori ebbero spianato la strada.
Come riuscirono i nazisti di Thalburg ad attirare sulla propria formazione il voto di gran parte della borghesia locale, e di una quota non indifferente della classe lavoratrice? Per comprenderlo, come si fa dinanzi a una qualsiasi pièce drammaturgica, bisogna per intanto comprendere qual era la situazione in cui gli attori principali decidevano le loro mosse. Già sul finire degli anni Venti la depressione economica aveva cominciato a colpire duramente il comune di Thalburg.
Pur con oscillazioni stagionali dovute all’assorbimento di manodopera nei lavori agricoli durante i mesi estivi, la disoccupazione aveva raggiunto nel comune il 15 per cento circa delle forze di lavoro. Inoltre Thalburg era sede dell’ufficio distrettuale di collocamento, di modo che i thalburghesi erano esposti ogni giorno allo spettacolo di lunghe file di disperati che venivano da paesi e cittadine vicine per farsi registrare. I piccoli commercianti lamentavano la caduta dei consumi; parecchi negozi noti chiusero i battenti. La limitazione della spesa che le famiglie si erano imposte toccava anche l’educazione dei figli: il numero di allievi nelle due scuole secondarie scese del dieci per cento tra il 1930 e il 1932, sebbene il numero totale degli abitanti fosse aumentato. Un senso di insicurezza crescente per il futuro di sé e dei propri figli pesava su gran parte della popolazione.
Ma la crisi economica, per quanto preoccupante, era soltanto una delle componenti della situazione nelle cui spire sempre più opprimenti si sentivano avvolti i cittadini di Thalburg. A oltre dieci anni di distanza il trattamento punitivo riservato alla Germania dal Trattato di Versailles era sentito da molti thalburghesi, non meno che da masse di tedeschi in tutto il paese, come un’offesa personale.
Essere costretti dai vincitori a pagare danni di guerra onerosissimi, doversi piegare al divieto (peraltro aggirato sin dalla metà degli anni Venti) di riarmare esercito e marina, veder rimessa in discussione la sovranità tedesca sulla Renania dopo aver già perso nel 1919 l’Alsazia, era un’onta per la nazione che ricadendo a livello individuale prendeva alla gola l’operaio come l’insegnante, il funzionario statale come l’agricoltore. Il tutto – l’ansia per lo stato dell’ economia e il risentimento per l’umiliazione di Versailles – si era trasformato da anni in un diffuso discredito della classe politica, giudicata incapace di trovare soluzioni decenti all’una come all’altra questione. A Thalburg, episodi veri o presunti di corruzione di alcuni uomini politici contribuirono a convertire il discredito in sospetto e disprezzo per i politici democratici in genere.
A fronte di tale situazione i nazisti si seppero muovere nella cittadina dello Hannover con rapidità ed efficacia, proponendosi alle paure reali e fittizie delle classi medie come i soli capaci di sopprimere alla radice le loro cause. Più di ogni altro fattore, ad attrarre i voti della media borghesia fu la capacità dei nazisti di distribuire sicurezza, di ridurre con le loro promesse in campo economico e sociale il livello collettivo di angoscia. Al contrario, le forze progressiste sommarono errore a errore e, tranne rari casi, non riuscirono né a prevedere né a comprendere gli scopi degli avversari – della NSDAP non meno che della borghesia locale.
Questa era terrorizzata dallo spettro del comunismo, e odiava tutto ciò che glielo ricordava: ed ecco la NSDAP presentarsi come un baluardo d’acciaio nei confronti del nemico rosso, laddove la SPD continuava a ricoprire con slogan massimalisti, ripresi dal trucibaldo [sic] linguaggio marxista dell’epoca, quelle che erano a ben vedere modeste proposte per una politica socialdemocratica. Sul piano dei rapporti internazionali, come s’è detto, non solo tra le file della borghesia, ma anche tra quelle degli operai e dei contadini erano in molti a sentire lesa la propria personale dignità per il modo in cui la Germania era stata trattata a Versailles e dopo.
Perciò gli articoli di giornale, i volantini, i discorsi dei rappresentanti della NSDAP battevano senza fine su tale tasto, assicurando che se loro fossero giunti al potere si sarebbero impegnati a morte – è la parola – per riscattare l’onore tedesco; laddove il medesimo sensibilissimo tasto i socialisti lo ignoravano, oppure, quando lo toccavano, finivano per lasciar intendere che, in fondo, i tedeschi avevano avuto quel che si meritavano. Posizione in astratto forse legittima, ma poco adatta ad attirare consensi in un comune come Thalburg, dove più del 60 per cento della popolazione apparteneva alle classi medie e superiori.
La SPD, infine, si mostrò del tutto incapace di stringere alleanze sia alla propria sinistra che alla propria destra, mentre i nazisti, di elezione in elezione, seppero allacciare le alleanze più spregiudicate con diversi partiti moderati e conservatori, adattandosi di volta in volta a cambiare linguaggio, programmi, slogan, uomini per assumere l’aspetto ora più battagliero, ora più posato che conveniva al momento per irretire il potenziale alleato.
Con questi mezzi i nazisti seppero convincere le classi medie d’essere il partito che le avrebbe, tutt’insieme, protette dai rossi, guarite dall’onore offeso, rimesse in condizione di far prosperare pacificamente i loro affari. Le classi medie li compensarono con una valanga di voti. Sul fronte opposto, la SPD di Thalburg riuscì paradossalmente ad accrescere l’ostilità delle classi medie nei confronti di sé quanto della classe operaia, intanto che falliva sia sotto l’aspetto politico-elettorale sia sotto quello ideologico e psicologico nel rafforzare il fronte dei lavoratori contro la minaccia mortale rappresentata dai nazisti. E ciò non accadde solo per incapacità organizzativa, bensì anche per deficit cognitivo. Quando la minaccia venne finalmente percepita, un’ascesa che sarebbe stata affatto resistibile se fosse stata contrastata in tempo era diventata un incontenibile trionfo.
Il penultimo giorno di gennaio del 1933 il presidente Hindenburg, rispettando scrupolosamente la legge, nomina Hitler cancelliere del Reich. Il presidente sa che i nazisti sono tipi alquanto invadenti, ma ritiene di aver preso adeguate contromisure: nel nuovo gabinetto i ministri nazisti sono soltanto due, Frick e Göring. Molto più perspicaci del vecchio maresciallo, alla notizia che Hitler ha ufficialmente varcato il soglio della Cancelleria i suoi seguaci inondano la Germania di canti, bandiere, fiaccole e violenze a danno degli avversari politici.
In effetti quella notte il colpo di stato a rate, come qualcuno appropriatamente lo definì, era legalmente cominciato. I tedeschi incoraggiarono Hitler a perfezionarlo assegnando al suo partito, alle elezioni nazionali del marzo 1933, quasi il 44 per cento dei voti; e Hitler capitalizzò tale consenso assumendo poco più di un anno dopo, alla morte di Hindenburg, anche la carica di capo dello stato.
Di rata in rata del colpo di stato hitleriano, a partire dal 1933 si stende anche su Thalburg la maglia ferrigna del dominio nazista. Come in tutte le dittature, il primo scopo che esso persegue è la distruzione dei rapporti associativi tra gli individui, seguito dalla loro sostituzione con il rapporto diretto tra i singoli così isolati e atomizzati e un capo che li controlla. Con i pretesti più vari vengono progressivamente sciolti o costretti alla chiusura quasi tutti i gruppi politici, i centri culturali, le antiche associazioni religiose, le società di mutuo soccorso.
Al loro posto subentrano associazioni preposte caso per caso all’inquadramento e all’indottrinamento dei giovani, delle donne, degli impiegati pubblici, degli insegnanti, degli operai, dei contadini: tutte controllate rigidamente sia dalla NSDAP, sia dalle pubbliche autorità, una volta che queste erano divenute semplicemente il braccio operativo di quella. Aumentano paurosamente le violenze, che sino al 1933 non avevano superato il tasso osserva bile di regola nei momenti di aspra lotta politica di quei decenni, oltre a essere distribuite – quanto meno a Thalburg – abbastanza simmetricamente tra i due fronti.
Con un sapiente dosaggio di percosse e di arresti, di distruzioni di case e di deportazioni nei primi campi di concentramento, la violenza dei nazisti si dirige dapprima contro gli avversari, per estendersi poi a coloro che danno segni pur minimi di dissenso o appaiono indifferenti ai richiami a partecipare con entusiasmo alle manifestazioni organizzate dalla NSDAP. In tutta l’amministrazione pubblica, dalla carica di bidello a quella di sindaco, subentrano uomini ligi al nazismo. Avvolta in una simile maglia, alla fine del 1935 la comunità di Thalburg, come entità civile, culturale e morale, ha cessato di esistere.
Questi punti dell’opera di Allen che abbiamo presentato come gli atti di un dramma non possono fare a meno di richiamare circostanze a noi famigliari, di sollecitare interrogativi sul futuro. Anche oggi la disoccupazione, sperimentata o temuta, morde le famiglie e accresce in ciascuno l’angoscia per sé e per il futuro dei figli. Nello stesso tempo, singolare paradosso, gli errori e gli sprechi dello stato sociale hanno alimentato il disprezzo per ogni forma di intervento pubblico nella costruzione di sistemi di protezione sociale, anche se questo potrebbe fare la differenza tra società civili e società sottosviluppate, oppure imbarbarite per eccesso di sviluppo.
Il meritato discredito di una classe politica malamente invecchiata al potere si è trasmutato, in Italia come in altri paesi d’Europa, a cominciare dalla Germania, in un insensato discredito della politica in sé. Sulle macerie materiali e morali che il socialismo reale si è lasciato dietro perfino i cartelli dei lavoratori in corteo, in tante Thalburg tedesche e non, invocano Nie wieder Sozialismus, mai più socialismo; e dietro quei cartelli ne spuntano altri, in Germania, sui quali si legge di nuovo, come alla fine degli anni Venti, che per rimediare ai guasti e alla inettitudine del socialismo la migliore delle ricette è il nazismo […].
Ma certo il libro di Allen (pubblicato da Einaudi nel 1968 e ora riproposto in edizione tascabile) non fu scritto come una profezia in attesa di verifica, né sarebbe giustificato leggerlo oggi in una simile chiave. Con la sua storia composta da cento storie quotidiane che assomigliano tanto alle nostre, le storie di una comunità che si stava disfacendo, e non se n’accorgeva, “Come si diventa nazisti” non dice affatto che ciò che è stato è sul punto di ripetersi tal quale.
Piuttosto esprime qualcosa che per un verso è perfino più inquietante, ma per un altro è più utile che non una profezia, considerato il senso di ineluttabilità che questa alimenta. Esso trasmette la convinzione che la distruzione d’una comunità politica, la fine della democrazia, è sempre possibile; che non ci si può minimamente illudere – come troppe volte ritualmente si afferma – che a sbarrare la strada a tale possibilità siano sufficienti le condizioni storiche affatto differenti, il livello più alto di sviluppo economico, le istituzioni forgiate in Europa dopo il 1945 a difesa della democrazia, una supposta maggior maturità democratica dei cittadini.
Oggi come allora gli avversari della democrazia circolano numerosi tra noi, ma stanno anche dentro di noi, nel perenne conflitto, ch’è a un tempo sociale e psichico, tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà; tra l’impulso di ridurre l’angoscia del futuro e del dover scegliere, e la volontà di non sottostare a nessun capo che decida in nostra vece quel che va bene per noi.
L’opera di Allen dimostra altresì che nel momento in cui una comunità politica sta procedendo a piccoli passi, tortuosamente, verso l’abisso, nessuno è in grado di prevedere quale forma concreta prenderà il disastro, né in quale punto esso esattamente verrà a collocarsi. È proprio questa, mi pare, una delle indicazioni chiave da cogliere in positivo nel libro: se ogni passo che facciamo, all’apparenza del tutto insignificante, in realtà può avvicinarci all’ abisso, e però anche allontanarcene, la migliore precauzione consiste nell’essere il più possibile consapevoli della doppia direzione in cui qualunque passo può portarci.
È una forma di consapevolezza sicuramente non facile da coltivare, di certo emotivamente e intellettualmente impegnativa. Chiamarla coscienza politica sarebbe forse eccessivo; ma non sembra eccessivo, letta la storia di Thalburg, affermare che un eventuale suo sonno potrebbe contribuire a generare molte altre storie del genere, anche se i personaggi saranno cambiati, la trama del tutto inedita, e la scena non sarà più formata dalla piazza del mercato e dalle case a colombaia d’una linda cittadina del Nord Europa.
Questo articolo è stato pubblicato da Volere la luna il 13 giugno 2018 che lo ha ripreso dall’introduzione al libro di William Sheridan Allen, Come si diventa nazisti, 1965, ed. it. Einaudi, 1994

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