Le cattive compagnie di "Cambridge Analytica"

14 Aprile 2018 /

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di Vincenzo Vita
Eppur si muove. Un risveglio di primavera. Dopo l’orrenda storia dei dati e dei profili ceduti alla società «Cambridge Analytica», Facebook è finalmente finita sul banco degli imputati. La creatura di Mark Zuckerberg, impasto post-moderno di anarchismo all’acqua di rosa e di adesione profonda alle culture liberiste, è scesa dal cielo ed è atterrata nei luoghi dei corpi reali i cui diritti sono stati ripetutamente violati. Il ragazzo prodigio, è stato sentito dal congresso degli Stati uniti e ha scosso i Garanti per la privacy europei riunitisi a Bruxelles ieri, per disegnare il percorso previsto dal nuovo Regolamento europeo (2016/679) effettivamente applicabile dal prossimo 25 maggio.
Chiare sono state le parole pronunciate, sulla relazione tra l’attendibilità del settore e l’innovazione digitale, dalla commissaria europea Mariya Gabriel. E lucido avamposto si è rivelato il Garante italiano, cui si deve l’iniziativa di maggiore concretezza, vale a dire la contestazione precisa dell’uso illecito dei dati. Per quale obiettivo sono stati utilizzati i profili italiani (214.134 dichiarati a fronte degli 87 milioni nel mondo, ma Antonello Soro sospetta ben di più)?
È vero che se ne evince una precisa finalità politica? Tra l’altro, «Cambridge Analytica» non è sola ed è verosimilmente in cattiva compagnia. Troppi indizi, infatti, portano a ritenere che nell’ultima campagna elettorale (quella lunga, non solo gli ultimi trenta giorni) un bel numero di persone abbia subito una propaganda personalizzata.

Le identità digitali, che gli interessati neppure conoscono, vengono plasmate anche attraverso banali esche – giochetti, prove di intelligenza, induzioni al piccolo narcisismo privato – che incrociate a tutto il «tracciato» descrivono le appartenenze culturali e politiche (o pure antipolitiche).
Un mostruoso registro di un bel pezzo di umanità. Al confronto spy story e trame gialle appaiono letteratura fiabesca. Solo la migliore fantascienza ci ha fatto immaginare qualcosa. «Stiamo ancora lavorando per stabilire se Facebook ha raccolto illecitamente dati grazie alle rubriche telefoniche di chi non è iscritto al social ma ha scaricato l’applicazione WhatsApp che è di sua (Facebook, ndr) proprietà». Così ha sottolineato Soro, per evidenziare l’espansione imprevedibile dei confini del caso.
La vicenda è la punta evidente di un sommovimento profondo che è avvenuto nella trama democratica, e testimonia quanto le forme classiche della politica e delle istituzioni non reggano il livello del conflitto. Altro che «errore personale», come si è schermito Zuckerberg di fronte alla commissione del congresso americano. Si tratta di una strategia lungamente preparata.
Con il Regolamento dell’Unione europea si definiranno le sanzioni economiche, salate. Tuttavia, il capitolo decisivo che si apre riguarda l’urgenza di conoscere gli algoritmi, nei termini suggeriti nei suoi testi da Michele Mezza; nonché di «negoziarli». Non è lecito che un procedimento di calcolo, ancorché sofisticato, detenga le leve del comando.
A parte le problematiche antitrust sollevate dall’Autorità per la concorrenza, il vero nodo è quello politico, nel senso profondo del termine, vale a dire l’organizzazione della pòlis e la formazione dell’opinione pubblica.
Il potere ha divorziato dalla politica, ci ha ammonito Bauman. Gli oligarchi della rete e i loro cugini delle finanze sono la cupola dominante. Se la sfera politica non ritorna in scena con competenza e dignità, prepariamoci ad un’era davvero imbarazzante.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto l’11 aprile 2018

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