Ribellarsi è giusto

4 Aprile 2018 /

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di Paul B. Preciado, Libération, traduzione di Federico Ferrone
La storia è andata in mille pezzi, ma continuiamo a parlarne come se tutto andasse bene. Continuiamo a parlare della diffusione della democrazia in occidente, del progresso della modernità, della libertà americana, dell’ospitalità francese, della solidarietà del nord nei confronti del sud. Democrazia di merda. Modernità di merda. Libertà di merda. Ospitalità di merda.
La storia è in frantumi: l’identità nazionale, l’ordine sociale, la sicurezza, la famiglia eterosessuale e la frontiera costituiscono la realtà che l’Europa sta costruendo. Non succede da un’altra parte, non arriva da lontano, non riguarda gli altri. È quello che facciamo qui, ora, dentro le frontiere, riguarda noi.
La storia è stata distrutta e il terrore è tornato in superficie. Attorno a noi ci sono le condizioni istituzionali che permettono l’affermazione di quella che potremmo chiamare democrazia repressiva o fascismo democratico.
Dal fascismo al libero mercato
In Polonia gli ultranazionalisti sfilano a migliaia per chiedere la rifondazione di un’Europa cattolica, celebrando la giornata dell’indipendenza. In Italia l’estrema destra arriva al potere attraverso un’elezione democratica. E intanto, ovunque, il neoliberismo agisce come un bulldozer sociale, aprendo la strada e accelerando lo smantellamento istituzionale.

Nei paesi che hanno superato i regimi totalitari a metà degli anni settanta – Spagna, Grecia, Portogallo – il processo è ancora più semplice, più diretto, perché questi paesi non sono passati dal fascismo alla democrazia, ma dal fascismo al libero mercato.
In Grecia, la madre e l’avvocato di Pavlos Fyssas, rapper assassinato dai neonazisti di Alba dorata, sono il bersaglio di attacchi verbali e fisici senza che né la polizia né la magistratura intervengano per proteggerli.
In Spagna Jordi Sánchez, Jordi Cuixart, Quim Forn e Oriol Junqueras sono in prigione, accusati di indipendentismo secessionista e ribellione. Decine di persone sono accusate di difendere idee politiche contrarie alla corona spagnola. Il 21 febbraio l’inaugurazione di Arco, la fiera d’arte di Madrid, è stata segnata dal sequestro di numerose foto dell’artista Santiago Sierra, che aveva presentato i ritratti di Jordi Sánchez e Jordi Cuixart definendoli “prigionieri politici”. Il muro che era stato riservato alle fotografie nella galleria Helga de Alvear a Madrid è rimasto vuoto.
La storia viene distrutta. Ma non smettiamo di ripetere che tutto va bene. Mentre i ritratti di Sierra vengono messi da parte, nella vostra Spagna ignorata e vicina, i dodici rapper del collettivo La Insurgencia sono stati condannati a due anni di carcere per “incitazione al terrorismo”.
“Sono un romantico della lotta armata, amico, te lo dico, per me è rivoluzione o niente”. “Ho il diritto alla ribellione, me ne fotto se non è legale. Questa costituzione non lo prevede. Che il tribunale mi processi e mi chiuda in carcere, come farebbe l’inquisizione, come se fossi un eretico. Resistere significa vincere, l’ho imparato dal Partito comunista spagnolo”. Sono queste le parole che secondo l’ufficio del procuratore generale meritano la condanna al carcere. Poco dopo, il rapper Valtònyc è stato condannato a due anni e sei mesi di prigione per vilipendio della corona spagnola e incitamento al terrorismo.
Il cuore del mondo occidentale è rotto. Secoli di espulsioni, epurazioni e stermini delle minoranze ebree e musulmane, delle minoranze sessuali, somatiche, operaie. Secoli di umiliazione e saccheggio, di espropriazioni e oltraggi hanno distrutto il cuore dell’occidente. Ma abbiamo deciso di continuare a pavoneggiarci e vantarci dei nostri successi. Il desiderio di consumo, la paura, la frustrazione e l’odio sono i sentimenti che guidano chi governa le popolazioni del nostro amato occidente.
Il linguaggio spezzato
Da dove viene la nostra frustrazione? Dalla nostra avidità? Cosa odiamo quando odiamo “l’altro”, se non una nostra invenzione? Suely Rolnik, psicoterapeuta e collaboratrice brasiliana di Félix Guattari, sostiene che “capitalismo coloniale” è il nome della patologia collettiva contemporanea. Il nostro inconscio è malato di capitale, malato di sfruttamento razziale e sessuale. Malato d’identità. Le catene collettive del linguaggio sono state spezzate. Ma abbiamo deciso di continuare a produrre discorsi su noi stessi come se il problema fosse la soluzione.
Il pianeta Terra è a pezzi. La biosfera sta morendo. Ma ci vuole più disciplina a scuola, il servizio militare obbligatorio dev’essere reintrodotto per gestire la coesione sociale e abbiamo bisogno di più armi. La violenza di genere e l’aggressione sessuale si regolano criminalizzando gli aggressori, costruendo nuove prigioni e allungando le condanne. E noi abbiamo deciso di continuare a produrre quella che chiamiamo ricchezza, come se tutto andasse bene. Ogni giorno apriamo nuove miniere dove fino a ieri avevamo cercato di proteggere il territorio. La ricchezza è il capitale morto. Il capitale morto è la ruggine che corrode la vita. Ci siamo rifiutati di parlare con i nostri avi morti. È il nostro ultimo millennio. Parleremo alle macchine, i nostri unici figli. Chissà come la nostra progenie meccanica racconterà la fine della nostra storia.
Questo articolo è stato pubblicato dall’Internazionale il 2 aprile 2018

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