Un sogno chiamato Florida: la riscossa dell'immaginazione

19 Marzo 2018 /

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di Dario Zanuso e Aldo Zoppo
Un sogno chiamato Florida (The Florida Project), di Sean Baker, Usa 2017
Siamo nella periferia di Orlando in Florida. A due passi da Disneyworld, che attira frotte di turisti, sorge il Magic Castle: una lunga palazzina di due piani, dipinta con uno sgargiante viola. È uno dei tanti alberghetti che offrono, a prezzi modici (35 $ al giorno), una camera a chi non è in grado di permettersi una abitazione. Una sorta di ultima spiaggia per tante famiglie povere, oltre la quale si rischia di finire direttamente sulla strada. È affollato di persone che vivono di lavoretti malpagati, se non di espedienti. L’amministratore del motel (Willem Dafoe) si dà un gran da fare per cercare di mantenere un livello di ordine e decoro accettabile.
Questo mondo desolato è raccontato dal punto di vista di una bambina di sei anni, Moonee. La giovane madre, dopo aver perso il lavoro in un locale notturno, vive come può, per lo più di espedienti, ad esempio vendendo ai turisti creme rubate ad un vicino golf club. Affronta le avversità della vita senza arrendersi, con rabbia e sfrontatezza. Se serve non esita a prostituirsi, chiudendo la giovane figlia nel bagno.

La fantasia sfrenata di Monee e dei suoi amichetti, che seguiamo nelle loro scorribande dentro e fuori il Magic Castle, riesce a trasformare il grigiore del mondo nel quale sono immersi, in un universo fiabesco e colorato, dove ogni cosa, anche la più squallida, può diventare il pretesto per nuove avventure. Che, viste con le regole degli adulti, possono apparire anche come veri e propri atti vandalici. Arriverà però il momento in cui, con queste dure regole, occorrerà fare i conti.
Il film è stato presentato a Cannes e ha avuto la sua anteprima italiana al Torino Film Festival.

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