di Bruno Giorgini
Dice solennemente il presidente della Repubblica che le forze politiche devono dar prova “di senso di responsabilità in nome dell’interesse generale”, riferendosi alla situazione postelettorale. Quasi nello stesso tempo venerdì 9 Marzo in prima pagina del Corriere, Massimo Gramellini nel suo Caffè titolato “Bancomat a cinque stelle”, scrive che “In diverse città del Sud fioriscono le richieste di moduli per il reddito di cittadinanza” e continua esercitando il suo sarcasmo sia verso “i richiedenti” evidentemente digiuni di leggi e dettati costituzionali, che verso i cinque stelle colpevoli di avere proposto un reddito di cittadinanza.
Obiettivo per cui “può darsi che il voto di scambio non sia affatto finito”, ovviamente al Sud. L’acuminato testo termina poi invitando “i nuovi tribuni del popolo” ad allegare al reddito di cittadinanza un bignamino della Costituzione “o almeno una qualunque edizione del telegiornale”. Dove si intravedono e/o si lasciano immaginare le “plebi meridionali” d’antan da educare se non più col moschetto dei carabinieri reali, almeno col suddetto bignamino o col Telegiornale (sic).
Si badi bene: il Corsera non è un qualunque social media dove gli sproloqui spesso accadono e le fake news corrono veloci, bensì il massimo giornale dell’establishment con direttori e vicedirettori prestigiosi a controllare che non si contino balle (dovrebbero), mentre Gramellini si presenta e accredita, dalle parole stampate alle apparizioni televisive, come uomo liberal tollerante e intelligente.
Invece la notizia è in larga misura falsa, e La Repubblica dopo avere abboccato venerdì, il sabato cerca di sbrogliare la matassa e riparare alla brutta figura cercando riscontri fin quando è costretta a ammettere che ci sono state al massimo circa duecento (200) richieste di informazione in tutto il Sud ai patronati per quanto attiene le varie forme di reddito per i più poveri (il voto di scambio di Gramellini).
Alcuni maligni individuano anche l’origine dei boatos in qualche funzionario molto vicino al PD pugliese, ma tant’è, la questione non sta nell’origine ma nel perchè giornali che si credono seri – magari reazionari ma seri – si siano precipitati come una muta di cani sull’osso, e uno come Gramellini ci abbia addirittura scritto in prima pagina con tono supponente e parole di scherno del tutto inappropriate. E tali sarebbero state anche se le persono fossero state migliaia, perchè sempre il disprezzo verso i cittadini, specie se poveri, è in primis volgare, in seconda battuta: indegno. Gramellini probabilmente potrebbe risponder che egli intendeva prendersela non con i poveri – giammai – ma con il M5S, populista. Epperò la pezza sarebbe peggiore del buco. Il fatto è che il voto ha messo in luce in modo eclatante e massivo una nuova questione meridionale, le “plebi” facendo irruzione nel palcoscenico della politica nazionale. Gli invisibili sono diventati visibili, votando alla grande per un partito, il M5S. Il che tra l’altro rende arduo definire quell’interesse generale invocato da Mattarella.
La carta geografica del voto che campeggia su giornali, schermi televisivi, social network segnala implacabile la divisione politica tra Nord e Sud. La bassitalia, come si diceva negli anni ’50 del novecento, è colorata di giallo, a rappresentare le aree dove il M5S è egemone cominciando da Pescara fino a coprire l’ Italia insulare, fatta salva qualche piccola isola blu, colore del centrodestra. Blu che invade e permea tutto il Centro Nord, con le residue aree rosse in Toscana e Emilia laddove si è affermata la coalizione di centrosinistra, nonché in Trentino Alto Adige.
In termini numerici dal Piemonte all’Umbria il M5S si attesta tra il 19% in Trentino Alto Adige e il 29% in Liguria, per arrivare da oltre il 30% (Marche e Lazio) al 39% in Abruzzo, quindi balzando in tutto il Sud ben al di là del 40% fino a oltre il 48% in Sicilia e Campania. Viceversa la coalizione di Centro Destra a trazione leghista conquista Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia con più del 40% dei voti, quindi Liguria, Emilia, Toscana, Umbria tra il 30 e il 40%. Schematizzando le due gambe che hanno fatto camminare anzi correre il M5S sono state il reddito di cittadinanza sul fronte economico sociale, e la rivendicazione di legalità (onestà onestà gridavano i militanti grillini a ogni piè sospinto) su quello della convivenza civile. Il che corrisponde a un elettorato più povero, precario e a basso se non nullo reddito, nonché spesso preda di clientele e vessazioni politico burocratiche quando non direttamente criminal mafiose.
Mentre la coalizione di Centrodestra si è concentrata sull’asse della flat tax, la tassa uguale per tutti al 15 o 23% (a seconda), e della sicurezza con una attenzione particolare verso e contro i migranti, specie clandestini, da cacciare. Ovvero un elettorato produttivo di reddito che si sente taglieggiato da tasse troppo alte se non del tutto inique, e con i propri beni a rischio di furti, rapine, degrado economico sociale (tipici sono gli immobili il cui valore diminuisce quando nel quartiere arrivano migranti e/o altre tipologie di poveri e marginali). Ora al di là del continuo ovvio richiamo di Di Maio ai cinque stelle come partito nazionale, e di Salvini a una Lega che è riuscita a penetrare il Sud, indubbiamente le due cartine rispecchiano diverse sensibilità nonché diversi stati di coscienza, desideri e bisogni rispetto alla situazione reale del paese. Va ricordato che da decenni la questione meridionale era scomparsa dal dibattito pubblico e dall’agenda politica, se non per quanto attiene la criminalità e le conseguenti organizzazioni mafia, camorra, ‘ndrangheta con tutte le altre varianti presenti sul mercato.
Il voto del Sud ai cinque stelle significa e comunica il senso di una rivolta contro l’establishment e per la giustizia economico sociale che ha scelto di convergere nell’urna, di praticare il voto come arma di lotta e rivendicazione. Così le “plebi” diventano popolo. Un popolo che attraverso il suffragio universale conquista potere, ovvero possibilità di liberazione e emancipazione. Un governo del paese che non recepisse queste istanze sarebbe monco, qualunque fosse la sua composizione politica. La questione meridionale è posta. Adesso si tratta di intraprendere la strada per risolverla. Al Nord come al Sud.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta Online il 12 marzo 2018 riprendendolo da Radio Popolare