La lezione di Macerata: la posta dell'antifascismo

12 Febbraio 2018 /

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di Sergio Sinigaglia
Nella storia della nostra Repubblica ci sono stati momenti topici che, soprattutto dal punto di vista politico-sociale, ne hanno determinato i destini. Dall’attentato a Togliatti (“A D’Onofrio dacce er via” urlò dalla tumultuosa piazza romana un militante, nelle ore successive, ma D’Onofrio “er via” non lo diede), alla rivolta del luglio ’60 delle famose magliette a strisce, fino all’occupazione di Palazzo Campana del 1967, prologo dell’italico 68, fino all’Autunno caldo della moltitudine operaia, sono stati diversi diversi i momenti/svolta. Questo dal punto di vista della Storia.
Poi c’è la storia depositata nella memoria dei protagonisti. Di chi c’era e ha trasmesso il patrimonio di lotte e mobilitazioni che, seppur parzialmente meno conosciuto, ha determinato in quei momenti il verificarsi degli eventi. Accadde ai funerali delle vittime della Strage di Piazza Fontana, quando una folla oceanica invase Piazza Duomo ai funerali delle vittime. E disse al “partito della tensione”: “Noi non abbiamo paura”. Accadde ne 1972 quando i treni operai partiti dal Centro-Nord arrivarono a Reggio Calabria, nella città sconvolta dalla rivolta gestita dai fascisti guidati da Ciccio Franco, per “Reggio capoluogo”, a portare nel profondo Sud il patrimonio di lotte maturato tre anni prima.
Accadde nel 1973 e nel 1974 con le grandi mobilitazioni contro le stragi della Italicus e di Piazza della Loggia. Accadde nel settembre del 1977 a Bologna con il “convegno contro la repressione” dopo i “fatti del marzo”, convegno che sancì in modo netto la fine di un’epoca. E se poi andiamo al movimento dei movimenti “esploso” dopo la rivolta di Seattle, sono stati numerosi i momenti di massa che ne hanno scandito il percorso. A partire dalla grande mobilitazione contro la guerra in Iraq.

In questa ottica come possiamo inserire la manifestazione di sabato 10 febbraio a Macerata? Certamente non può essere paragonata ai numeri impressionanti degli eventi sopra ricordati, ma dal punto di vista della partita che sabato si giocava sicuramente assume un significato rilevante. P superfluo ricordare come il contesto in cui si sono calate le drammatiche vicende maceratesi, sia lontano anni luce, non solo, è superfluo evidenziarlo, dall’Italia in bianco e nero prima ricordata, ma dalle stesse dinamiche sociali di movimento che hanno caratterizzato l’entrata nel terzo millennio. Ma appunto il 10 febbraio si trattava di vincere una scommessa estremamente complicata.
I/le coraggiosi/e compagni/e dei centri sociali che hanno deciso di assumersi una responsabilità enorme, e contro tutti hanno sfidato il Potere nelle sue varie articolazioni, sapevano di essere davanti a un bivio. Lascio solo immaginare cosa avrebbe significato trovarsi di fronte a poche centinaia di persone, spaventate e intimidite dai diktat di Minniti, in uno scenario caratterizzato dal divieto di manifestare, con dinamiche in salsa genovese. E invece…
E invece il coraggio, la determinazione di chi ha capito quale fosse la posta in palio ha determinato gli eventi. Cioè ha provocato un pronunciamento di massa che ha scardinato gli apparati di organizzazioni sempre più il simulacro di ciò che furono. Ha prodotto un effetto a catena per cui centri sociali della penisola, associazioni e movimenti di base, gruppi e collettivi femministi, sindacati di base e soprattutto la base sociale delle stesse organizzazioni che pavidamente avevano dichiarato di essere contrari a partecipare alla manifestazione, un niet senza se e senza ma, hanno rotto gli argini, costretto le autorità a rimangiarsi il divieto, e invaso come un fiume in piena Macerata.
Una Macerata sicuramente blindata che ha accolto i manifestanti in uno scenario surreale. Ma con una grande differenza. Al contrario di ciò che è accaduto a Fermo dopo la morte di Emanuel, questa volta una parte non indifferente di maceratesi è scesa in strada. Nonostante l’abituale campagna terroristica che si verifica in questi casi da parte di mass media, le migliaia di persone arrivate da tutta Italia, hanno trovato al proprio fianco una parte significativa della città. Insomma si è trattata di una grande vittoria.
Una vittoria da cui ripartire. Il 10 febbraio può essere una svolta. Può generare fiducia, consapevolezza, una spinta propulsiva che contagi persone e territori. I trentamila che erano a Macerata sono tornati, ne siamo sicuri, nelle loro località con una nuova determinazione. Lo scenario è tremendamente difficile. Siamo sicuramente una minoranza, in un Paese sempre più impaurito e involuto, ma come è noto sono state le minoranze virtuose e generose a fare la storia. Soprattutto in Italia. Allora senza tanti proclami prendiamo esempio dalle compagne e dai compagni di Macerata, i quali di fronte ad un evento improvviso, tragico ed enorme, hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, e altruisticamente hanno lavorato per questo grande successo.

“Anche nei tempi più oscuri abbiamo il diritto di attenderci una qualche illuminazione. Ed è molto probabile che essa ci giungerà non tanto da teorie o da concetti, quanto dalla luce incerta, vacillante e spesso fioca che alcuni uomini e alcune donne, nel corso della loro vita e del loro lavoro, avranno acceso in ogni genere di circostanze, diffondendola nell’arco di tempo che fu loro concesso di trascorrere sulla terra”.
Hannah Arendt

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