di Loris Campetti
Pamela? Un angelo. Una povera ragazza nelle mani dei pusher fatta letteralmente a pezzi diventa un angelo perché il macellaio sembrerebbe essere un “uomo nero”. Luca? Un pazzo, mica un fascista, mica un razzista, che c’entra la politica, che c’entra l’ideologia. I sei africani feriti? Non hanno diritto neppure a un nome, del resto sono tutti neri come il peccato, c’è chi ai cronisti ha raccontato di un nigeriano dicendo “un uomo nero che mi ha guardato brutto”.
Macerata è l’Inferno, con strade e giardini occupati da spacciatori e puttane, tutti neri. Macerata un po’ Detroit e un po’ Peyton place. La provincia sana in cui la gente per bene timorata di Dio è spaventata da quegli stranieri a tinte forti, la sicurezza messa a rischio, la paura che tracima, il sindaco Pd che garantisce “Macerata non è razzista”, “ma il disagio è reale”. Gli stranieri a Macerata sono quattro gatti, altro che invasione.
E dire che fino a ieri questa cittadina di provincia veniva raccontata come il Paradiso, le dolci colline che ispirano poeti fotografi e l’Ente turismo, i vincisgrassi, il ciauscolo e le tagliatelle con il sugo di papera a San Giuliano per la festa del patrono; dalle Mura di Tramontana appare il placido Adriatico, da Sasso d’Italia, in fondo allo stradone dopo il quartiere di Ficana ecco gli austeri Sibillini. E la dignità dei terremotati, e lu patrò e lu garzò (il padrone e il suo operaio) che si danno del tu e vanno insieme al bar, l’ultimo conflitto sociale che si ricordi risale forse alla fine degli anni Sessanta.
Macerata “civitas Mariae” come è scolpito nella pietra sulla facciata del municipio, democristiana finché è durata la Dc poi il trasferimento in massa nel centrosinistra. Quello era il Paradiso, con i peccati nascosti nel confessionale, ma a essere sinceri c’era già anche l’inferno a Macerata: sotto la civitas Mariae scolpita nella pietra c’è una lapide sempre in pietra alla memoria di Giordano Bruno, “vittima della tirannide sacerdotale”. Il Bene e il Male.
Quante banalità, quante facilonerie, quanti luoghi comuni cavalcati da chi non conosce più, o non ha mai conosciuto il mondo in cui vive. Si potrebbe controbattere semplicemente con un’affermazione secca, di buon senso: Macerata è l’Italia, non è né più né meno razzista del resto d’Italia, né più né meno fascista, né più né meno impaurita dalle urla indecenti che arrivano dall’alto, dalla politica, dai media e da troppa intellettualità subalterna o silente.
Non siamo nel XX secolo e la globalizzazione ha spazzato via le differenze tra metropoli e provincia, come le notizie anche le folate di vento fetido viaggiano veloci e non fanno distinzioni. Il vento mortifero che soffia entra in tutte le case e da tutte le finestre, fa volare gli stracci nelle campagne e nelle fabbriche, deposita a terra odio, razzismo, fascismo, scatenando la guerra tra poveri.
Il sindaco Pd non sé visto al presidio antirazzista di Macerata, in verità s’è vista poca gente. Macerata non è razzista? Di certo ha abdicato alle sue responsabilità, si chiude in casa per salvare la sua presunta pulizia.
Macerata, la mia città, è l’Italia. Né Inferno né Paradiso.