Sinistra, centrosinistra e quarto polo: dove stava la novità? Di certo non nell'unità

10 Ottobre 2017 /

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di Loris Campetti
Bisogna essere grati a Giuliano Pisapia che finalmente ha detto parole chiare sulla possibilità di costruire un quarto polo, a sinistra del partito di Renzi: quel matrimonio non s’ha da fare, perché l’unione delle sigle, dei movimenti e delle persone che non si rassegnano a sottomettersi al pensiero unico sarebbe contro natura, dato che senza e contro il Pd di Renzi non c’è futuro. Il futuro è nel centrosinistra, senza inventarsi rotture verticali con le politiche e i partiti socialdemocratici, laburisti e cattolici democratici (quelli, va detto, che stanno mostrando la corda in tutta Europa e oltre Atlantico).
Partiti da cui il popolo di sinistra è in fuga, ovunque. Semplicemente, Pisapia ha in mente una strategia entrista con l’obiettivo di trascinare il renzismo lungo una strada sminata dall’esplicito inquinamento della destra-destra. Perché la politica è l’arte del possibile, perché Machiavelli la sapeva lunga, perché il liberismo mitigato da avanzi di welfare è meglio del turboliberismo. Amen.
Ma è davvero una novità, la fine di un presunto bipolarismo l’operazione verità di Pisapia? O non è vero, al contrario, che a far precipitare lo scontro a sinistra è stata semplicemente la deflagrazione delle incompatibilità personali, la più vistosa quella tra l’ex sindaco di Milano (ex per sua scelta, va ricordato) e l’ex presidente del consiglio nonché ex ministro nonché ex segretario del partito erede del Pci, Massimo D’Alema? Pisapia non ha mai davvero creduto in un progetto alternativo a quello renziano.

Nel mitico appuntamento fondativo (di nulla) in piazza SS. Apostoli l’unico vero intervento di sinistra (di classe, aveva scritto agli organizzatori) l’aveva fatto Sabrina Ferilli. Di conseguenza, chiunque si scagli lancia in resta contro il manovratore deve togliere il disturbo, fare passi indietro, o a lato, sostiene Pisapia. Dal canto suo, D’Alema, prima che a un’alternativa di sinistra punta a una vendetta personale ai danni del rottamatore; è comprensibile che l’idea di essere rottamato una seconda volta e per di più da un altro ex sindaco lo mandi in bestia, ma tutto questo che c’entra con la lotta contro il liberismo e con l’impegno a riportare alle urne con un progetto di sinistra milioni di elettori delusi e abbandonati? E ancora: l’Mpd pensa a un progetto inedito, radicale, di sinistra, o vuole semplicemente resuscitare lo “spirito originario” del Pd finalizzato a chiudere il conflitto che aveva segnato il Novecento tra comunisti e democristiani, inglobandone le due culture, pratiche, filosofie?
Mettendo a fuoco la guerra tra titani (o totani?) con Pisapia contro D’Alema, mi è tornata in mente una storia di 18 anni fa, quando il leader kurdo del Pkk Abdullah Ocalan cercò asilo in Italia ma l’asilo arrivò quando già era stato costretto (altro che “allontanamento volontario” come disse il nostro governo) a togliersi dai cabasisi, come direbbe Montalbano, per finire automaticamente nelle grinfie dei suoi aguzzini turchi. Il presidente del consiglio che gli aveva caldamente consigliato di andarsene (la Turchia era e resta membro della Nato, non si poteva e non si può offendere, bisognava ridargli Ocalan così come oggi bisogna tenersela buona perché blocchi i potenziali migranti verso l’Italia) era Massimo D’Alema, mentre l’avvocato di Ocalan che non l’aveva sufficientemente sconsigliato di lasciare l’Italia era Giuliano Pisapia. Che c’entra questa storia vecchia di quasi vent’anni con gli attuali progetti delle sinistre? Niente, naturalmente. Prendetela semplicemente come un esercizio della memoria.
Senza più alibi, per chi ha in mente un progetto di sinistra sarebbe arrivato il momento di agire. Ma chi pensa che basti mettere insieme l’Mdp con Sinistra italiana, con Possibile, con Rifondazione e con l’Altra Europa – operazione tutt’altro che semplice, in un contesto segnato da leaderismi e narcisismi e surplus di testosterone – per costruire il quarto polo, dev’essersi distratto nell’ultimo quindicennio. Le fusioni a freddo tra sigle senz’anima e senza popolo non vanno in controtendenza rispetto alla scissione dell’atomo cara alla nostra sinistra, semplicemente la perpetuano.
Un percorso diverso, non antagonista alle forme organizzate esistenti della sinistra e insieme aperto alla società civile è quello suggerito e in qualche modo praticato da Anna Falcone e Tomaso Montanari, iniziato al Brancaccio e che sta proseguendo con assemblee in cento città. Un percorso inclusivo, capace di raccogliere proposte e pratiche di opposizione civile al pensiero unico che è il prodotto del liberismo sposato dalle destre e dai centrosinistra. Che abbia come mito fondativo una vittoria e non una sconfitta: il referendum del dicembre scorso che ha salvato il più importante dei nostri beni comuni, la Costituzione. “Il momento è ora”, perché “guasto è il mondo, preda/ di mali che si susseguono, dove la ricchezza si accumula/ e gli uomini vanno in rovina” (Oliver Goldsmith, The Deserted Village)”. Così inizia il documento diffuso ieri dai promotori del Brancaccio: “Crediamo che davvero non si possa più aspettare, e lo diciamo con umiltà e con il massimo rispetto per ogni percorso politico. Il momento è ora…”.
Un’alleanza civica, popolare, “tra cittadini e forze politiche, per la democrazia e l’eguaglianza”, in una stagione in cui è la finanza a dettare le leggi, da Atene a Barcellona a Roma, mentre il compito della politica, delle politiche date, è eseguire. Dunque è di contenuti e programmi che bisogna parlare, non di leader ma di scuola e lavoro, di diritti e democrazia in assoluta discontinuità rispetto ai partiti dati, che si chiamino di centrodestra o di centrosinistra cambia ben poco.
Un progetto, per dirlo con le parole di papa Francesco, capace di rovesciare “la scandalosa realtà di questo mondo”. Vi ricordate quando volevamo cambiare “lo stato di cose presente?”. Un progetto fatto non in nome ma con chi è più colpito dalla crisi e dalle risposte neoliberiste a essa; il metodo è fondamentale, in una stagione segnata dalla post-democrazia; un metodo opposto a quello che informa la legge elettorale in discussione che approfondisce la rottura tra società civile e politica; un metodo che metta al centro la libertà delle persone e non quella dei mercati e mercanti. Cominciano a capirlo in molti, da Podemos a Corbyn che porta i crisantemi sulla tomba della terza via blairiana.
Nel documento presentato ieri alla stampa da Anna Falcone e Tomaso Montanari ci sono molte suggestioni stimolanti, peraltro sostenute dal confronto che si sta svolgendo in decine e decine di assemblee pubbliche affollate da giovani cittadini. Una in particolare merita di essere condivisa, presa in prestito dallo storico inglese Tony Judt: “C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro modo di vivere, oggi. Per trent’anni abbiamo trasformato in virtù il perseguimento dell’interesse materiale personale… Sappiamo quanto costano le cose, ma non quanto valgono. Non ci chiediamo più, di una sentenza di tribunale o di una legge, se sia buona, se sia equa, se sia corretta, se contribuirà a rendere migliore la società, o il mondo. Erano queste un tempo le domande politiche per eccellenza, anche se non era facile dare una risposta: dobbiamo reimparare a porci queste domande. Dobbiamo sottoporre a critica radicale l’ammirazione per i mercati liberi da lacci e laccioli, il disprezzo per il settore pubblico, l’illusione di una crescita senza fine. Non possiamo continuare a vivere cosi”.
Se questo è l’ordine delle cose da discutere, sapete qual è la domanda dei giornalisti, una volta appresa l’intenzione di Montanari di non presentarsi candidato nelle liste che con tanti e tante tenterà di costruire? Eccola: “Ma Anna Falcone si presenterà o neanche lei?”. E ancora: “Avete detto che vi confronterete con Mdp e le altre sigle di sinistra, ma con Renzi vi incontrerete?”. Non c’è speranza nella stampa democratica, speriamo ce ne sia nella società civile.
Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza – Anna Falcone e Tomaso Montanari: «Consideriamo chiusa la stagione del centro-sinistra. Il momento è ora: mettiamo a disposizione il metodo del Brancaccio affinché si arrivi ad un polo civico e di sinistra e, entro la fine dell’anno, ad una lista unica e unitaria»
Roma, 9 ottobre 2017 – «Crediamo che davvero non si possa più aspettare: il momento è ora. Di fronte all’ennesima legge elettorale-truffa, a un dibattito mediatico-politico concentrato su leadership e personalismi, invece che sulle soluzioni ai problemi delle persone e sulla costruzione di una nuova visione di società e di Paese, una parte importante di cittadini ed elettori si sta chiedendo se andare o no a votare alle prossime elezioni politiche». Così Anna Falcone e Tomaso Montanari nel corso della conferenza stampa di questa mattina.
«Per cambiare veramente lo stato delle cose – hanno detto – occorre qualcosa di veramente nuovo: un progetto unitario più grande e ambizioso dei singoli pezzi, che vada oltre le prossime elezioni e abbia come denominatore comune il contrasto alle politiche neoliberiste. È per questo che consideriamo chiusa la stagione del centro-sinistra. A giugno, abbiamo lanciato il percorso ‘del Brancaccio’. Ora, quattro mesi e molte assemblee dopo, è a tutti chiaro che era la strada giusta. Per questo rilanciamo lo stesso obiettivo, con l’imperativo di partire, senza ulteriori tentennamenti, per la costruzione di un Polo civico e di Sinistra che confluisca, nell’immediato, in una lista unica nazionale e, in prospettiva, in un soggetto capace di dar vita a quella Sinistra che, in questo Paese, non c’è ancora»
«Oggi – hanno proseguito Anna Falcone e Tomaso Montanari – siamo qui per prendere atto, finalmente, che sono maturati anche in altri le ragioni e la volontà di lavorare per una lista unica della Sinistra. Le vicende di questi ultimi giorni hanno reso evidente la faglia di separazione tra chi rimane arroccato a vecchi schemi e condizionato dall’egemonia del Partito democratico, e le forze che intendono davvero cambiare lo stato delle cose. Per questo vogliamo mettere a disposizione il metodo e l’esperienza del Brancaccio. Continueremo con le assemblee locali delle “Cento piazze per il Programma”, che culmineranno in un grande incontro nazionale, a novembre»
«Contemporaneamente, verificheremo con i responsabili di tutte le forze politiche che si dichiarano alternative alle destre e al Pd la possibilità di costruire un calendario e un metodo condivisi che portino, prima della fine dell’anno, ad una lista unica ed unitaria per le prossime elezioni. E ribadiamo la centralità di una vasta partecipazione dal basso, che porti ad eleggere – col metodo una testa un voto – e secondo le modalità più trasparenti e plurali possibili, una grande assemblea che decida democraticamente sul programma finale e su candidati realmente espressione dei cittadini, con il più ampio spazio per donne e giovani. Le regole di questo processo saranno fondamentali: noi crediamo, per esempio, che sia inaccettabile il modello mediatico e ambiguo delle primarie».
«Perché il nostro impegno sia credibile e sia l’inizio di una nuova stagione politica – hanno concluso – è necessario un radicale rinnovamento di linguaggio e di leadership, un rinnovamento anche generazionale che rappresenti nei volti e nelle storie una sinistra non solo finalmente unita, ma realmente nuova e credibile. La nostra stessa condizione di cittadini, e non di politici di professione, ci impone un ruolo di garanzia, di stimolo e di controllo: al quale non verremo meno. Da oggi inizieremo a realizzare questo programma: con tutte e tutti coloro che vorranno starci. La politica – come ha detto Jeremy Corbyn – non deve tornare nelle scatole. E non lo farà».

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